87^ emissione del 29 Novembre 2023, di un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica ” il Senso civico ” dedicato agli eccidi di Cefalonia, Corfù, isole Ionie e dell’Egeo, nel 80° anniversario

87^ emissione del 29 Novembre 2023, di un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica ” il Senso civico ” dedicato agli eccidi di Cefalonia, Corfù, isole Ionie e dell’Egeo, nel 80° anniversario, dal valore indicato B corrispondente ad €1.25

  • data emissione: 29 Novembre 2023
  • dentellatura:  11 effettuata con fustellatura
  • dimensioni francobollo: 40 x 30 mm.
  • stampa: in rotocalcografia
  • tipo di cartabianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente; grammatura: 90 g/mq; supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq; adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco)
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 250.020
  • valore:  B  = € 1,25
  • colori: quattro
  • bozzettistaE. L’Abate
  • num. catalogo francobolloMichel ______ YT _______ UNIF ________
  • Il francobollo: riproduce la mappa geografica delle Isole Ionie ed Egee, arcipelaghi della Grecia dove ebbero luogo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 gli eccidi, che rappresentano una delle pagine più drammatiche della storia italiana. Completano il francobollo le legende “ECCIDI DI CEFALONIA, CORFÙ, ISOLE IONIE E DELL’EGEO”, “1943”, “CORFÙ”, “CEFALONIA”, “SAMOS”, “LEROS”, “KOS” e “RODI”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.

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L’eccidio di Cefalonia fu un crimine di guerra compiuto da reparti dell’esercito tedesco a danno dei soldati italiani presenti su quelle isole alla data dell’8 settembre 1943, giorno in cui fu annunciato l’armistizio di Cassibile che sanciva la cessazione delle ostilità tra l’Italia e gli anglo-americani. In massima parte i soldati presenti facevano parte della divisione Acqui, ma erano presenti anche finanzieri, Carabinieri e militari della Regia Marina. Analoghi avvenimenti si verificarono a Corfù che ospitava un presidio della stessa divisione Acqui.

La guarnigione italiana di stanza nell’isola greca si oppose al tentativo tedesco di disarmo, combattendo sul campo per vari giorni con pesanti perdite, fino alla resa incondizionata, alla quale fecero seguito massacri e rappresaglie nonostante la cessazione di ogni resistenza. I superstiti furono quasi tutti deportati verso il continente su navi che finirono su mine subacquee o furono silurate, con gravissime perdite umane.

Alcune immagini di quello che hanno passato i nostri soldati, il soldato Silvio Lotti e l’isola di Cefalonia

Premesse

Dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 a fianco della Germania, Mussolini decise di condurre una “guerra parallela” per non restare indietro di fronte alle vittorie conseguite dalla Wehrmacht. In particolare decise di invadere la Grecia, per cercare di affermare i Balcani come sfera di influenza italiana. La spedizione in Grecia tuttavia non ebbe l’esito previsto, e le operazioni presto si arenarono. L’esercito greco, più determinato, avvantaggiato dal terreno e dalla conoscenza dei luoghi, e appoggiato dall’aviazione britannica, riuscì anche a respingere profondamente le truppe italiane in territorio albanese. Nella primavera del 1941 grazie all’intervento tedesco che fece collassare le difese elleniche, gli uomini del generale Papagos furono costretti alla resa. La Grecia fu così sottoposta a occupazione, spartizione e controllo bipartito italotedesco. L’Italia ebbe il controllo delle Isole Ionie, inclusa Cefalonia, occupata dai paracadutisti italiani il 30 aprile 1941, ma guarnigioni tedesche erano dislocate in punti strategici a rinforzo dello schieramento italiano.

Gli schieramenti

Strategicamente molto importanti, le isole di Corfù, Zante e Cefalonia presidiavano l’accesso a Patrasso e al golfo di Corinto. La 33ª Divisione fanteria “Acqui” del generale Antonio Gandin fu stanziata nelle isole, col 18º Reggimento fanteria da montagna a presidio di Corfù e col grosso a Cefalonia, composto dal 17º e 317º Reggimento fanteria da montagna (giunto a Cefalonia nel maggio 1942), dal 33º Reggimento artiglieria, dal comando e dai servizi divisionali. A Cefalonia, oltre alla Acqui, erano presenti la 2ª Compagnia del VII Battaglione Carabinieri Mobilitato più la 27ª Sezione Mista Carabinieri, i reparti del I Battaglione Finanzieri mobilitato, il 110º Battaglione mitraglieri di corpo d’armata, il CLXXXVIII Gruppo artiglieria di corpo d’armata (con tre batterie da 155/14), il III Gruppo contraereo da 75/27 C.K., i marinai che presidiavano le batterie costiere (una da 152/40 e una da 120/50), il locale Comando Marina e tre ospedali da campo per un totale di circa 12 000 uomini. Fino a fine agosto, organica alla divisione era anche la 27ª Legione CC.NN. d’Assalto, che aveva sostituito la 18ª Legione già con la “Acqui” durante la campagna di Grecia, ma che fu richiamata in patria alla caduta del fascismo.

Le batterie di artiglieria in funzione antinave, armate con pezzi di preda bellica tedesca di provenienza francese e belga, ma affidate a personale italiano della Regia Marina, furono dislocate sulle coste dell’isola e in particolare nella penisola di Paliki e nei pressi di Argostoli. I reparti presenti a Cefalonia dipendevano dall’VIII Corpo d’armata, a difesa dell’Etolia-Acarnania, mentre il 18º Reggimento dipendeva dal XXVI Corpo d’armata dispiegato in Epiro e Albania. Questi due corpi d’armata comprendevano forze italotedesche in Grecia ed erano inquadrati sotto la 11ª armata con comando ad Atene, dipendente a sua volta dallo Heeresgruppe E tedesco; l’armata in quel momento era comandata dal generale Carlo Vecchiarelli. In questa stessa armata erano inquadrate la 104. Jäger-Division (VII corpo d’armata) e 1. Gebirgs-Division (XXVI corpo d’armata) che prenderanno parte ai successivi avvenimenti.

Progressivamente i tedeschi dispiegarono un loro presidio composto dal Festungs-Infanterie-Regiment 966 (966º Reggimento Fanteria da fortezza) su due battaglioni (Festungs-Bataillon 909 e Festungs-Bataillon 910) al comando dell’oberstleutnant (tenente colonnello) Hans Barge, e dalla 2ª batteria dello Sturmgeschütz-Abteilung 201 (201º Battaglione Semoventi d’assalto), composta da otto StuG III con cannone da 75 mm, più uno Sturmhaubitze 42 da 105 mm. Questi ultimi si posizionarono insieme con una compagnia del 909º nel pieno centro di Argostoli, il capoluogo dell’isola. L’operazione tedesca faceva parte di una progressiva manovra di “incapsulamento” dei reparti dell’11ª Armata di stanza in Grecia, per prevenire eventuali defezioni o cedimenti in caso di sbarco angloamericano.

La Acqui era composta da personale inesperto, come il 317º Reggimento neocostituito e composto da personale richiamato o che non combatteva da due anni, o come il 17º fanteria e il 33º artiglieria che avevano preso parte alla campagna di Grecia, mentre il 966º Reggimento tedesco era forte di circa 1 800 uomini. Lo svantaggio italiano si faceva anche sentire a livello di artiglieria, dove i pezzi, tranne quelli di preda bellica e i 75/27 contraerei, erano quasi tutti obsoleti. Praticamente assente era la Regia Aeronautica, mentre la Regia Marina – oltre a reparti di terra – aveva solo unità di naviglio sottile, tra cui alcuni MAS e dragamine.

I fatti di Cefalonia

Il precipitare della situazione

Fino ai primi mesi del 1943 la convivenza tra soldati italiani e tedeschi nell’isola non aveva presentato problemi e vennero anche svolte esercitazioni comuni di difesa; le cose cambiarono radicalmente dall’8 settembre di quello stesso anno, quando venne reso noto che il governo Badoglio aveva firmato un armistizio con i britannici e gli statunitensi, denunciando di fatto l’alleanza tra Italia e Germania.

Inizia la battaglia

Il 15 settembre i tedeschi, in quel momento inferiori di numero, fecero pervenire sull’isola nuove forze: il 3º battaglione del 98º Reggimento da montagna e il 54º Battaglione da montagna, appartenenti alla 1. Gebirgs-Division (1ª Divisione da montagna) Edelweiss, il 3º battaglione del 79º Reggimento artiglieria da montagna, e il 1º battaglione del 724º Reggimento cacciatori, quest’ultimo inquadrato nella 104. Jäger-Division (104ª Divisione cacciatori), sotto il comando del Maggiore Harald von Hirschfeld, coadiuvati dalla presenza dell’aviazione tedesca con i suoi Stuka alla quale gli italiani potevano opporre solo il fuoco di alcune mitragliere contraeree da 20 mm e il tiro contraereo dell’unico gruppo da 75/27 e di pezzi di artiglieria da campagna.

La precedente decisione di abbandonare le alture al centro dell’isola assunta da Gandin come segno pacificatore verso i tedeschi si trasformò in un cruciale svantaggio tattico, in quanto da quelle alture si sarebbero potuti battere i punti di sbarco ostacolando notevolmente i rinforzi tedeschi. Ciononostante, le truppe italiane si batterono tenacemente, contendendo per una settimana il terreno ai tedeschi. Dal 16 al 21 settembre la resistenza fu accanita, soprattutto da parte del 33º Reggimento di artiglieria e delle batterie costiere della Regia Marina, fino a quando non vennero a mancare le munizioni e la glicerina per lubrificare i pezzi. Alcune batterie da campagna dovettero essere abbandonate dopo essere state rese inutilizzabili perché esposte all’avanzata delle truppe tedesche, sempre protette da un efficace mantello aereo.

fosse comuni dove furono abbandonati i corpi dei nostri soldati fucilati dai tedeschi

Il 22 settembre il generale Gandin decise di convocare un nuovo Consiglio di Guerra nel quale si decise di arrendersi ai tedeschi. La tovaglia bianca sulla quale i comandanti mangiavano tutte le sere venne issata sul balcone della casa che era sede del comando tattico in segno di resa. A questo punto, Hitler in persona ordinò che i soldati italiani fossero considerati come traditori e fucilati. I soldati che erano stati in precedenza catturati e fatti prigionieri furono immediatamente e sommariamente giustiziati; i tedeschi che cercarono di opporsi furono dissuasi con la minaccia di essere a loro volta fucilati. I rastrellamenti e le fucilazioni andarono avanti per tutto il giorno seguente, e si fermarono solo il 28 settembre non risparmiando neanche Gandin, morto la mattina del 24. In particolare, 129 ufficiali furono fucilati presso una villa chiamata Casa Rossa e 7 subirono la stessa sorte il 25 settembre perché, nell’ospedale dove erano ricoverati, il giorno prima si era verificata la fuga di due ufficiali.

Compiuto l’eccidio, i tedeschi cercarono di farne scomparire le tracce: con l’eccezione di alcune lasciate insepolte o gettate in cisterne, la maggior parte delle salme furono bruciate e i resti gettati in mare. I superstiti furono caricati su navi destinate ai porti greci e dai porti greci ai treni con destinazione Polonia (Auschwitz, Treblinka e Ghetto di Minsk), ma due di esse (motonavi Sinfra e Ardena) incapparono in campi minati e affondarono, e la Mario Roselli fu colata a picco da aerei alleati, che non conoscevano il suo carico umano. Tra i pochissimi scampati all’eccidio e alla successiva prigionia ci fu il cappellano militare Romualdo Formato, autore negli anni 1950 di un libro intitolato appunto “L’eccidio di Cefalonia”, e lo scrittore e conduttore televisivo Luigi Silori.

Il francobollo del 2002 dedicato all’eccidio della Divisione Acqui a Cefalonia

Corfù e Zante

Anche le guarnigioni della “Acqui” stanziate a Corfù, Zante (Zacinto) e Leucade (Santa Maura) furono sopraffatte dai tedeschi, quest’ultima quasi subito data l’esiguità del presidio.

A Corfù i fanti del 18º reggimento fanteria e un gruppo di artiglieria del 33º reggimento artiglieria, circa 4 500 uomini comandati dal colonnello Luigi Lusignani, il 13 settembre, catturarono il presidio tedesco, composto da 450-550 militari della Wehrmacht, dei quali 441 (di cui 7 ufficiali) il 21 settembre furono fortunosamente trasferiti in Italia, scortati da alcune decine di carabinieri, su pescherecci mobilitati dal locale capo partigiano Papas Spiru: questi furono, in Italia, gli unici prigionieri di guerra tedeschi in mano a Badoglio, ed è verosimile che si debba a essi, per reciprocità, il mancato eccidio della “Acqui” a Corfù, a differenza di Cefalonia.

Il colonnello Lusignani il 12 e 13 settembre aveva già richiesto al Comando Supremo il reimbarco degli uomini con vari fonogrammi e inviando a Brindisi il maggiore Capra. In ogni caso Lusignani aveva considerato l’ordine di resa del generale Vecchiarelli come apocrifo.

A coadiuvare i fanti del 33º si erano affiancati il giorno 13 i fanti del I Battaglione del 49º Reggimento fanteria “Parma” comandati dal colonnello Elio Bettini, e altri reparti per un totale di 3 500 uomini. Il 21 settembre gli inglesi aviolanciarono su Corfù la missione militare Acheron. Successivamente i rinforzi tedeschi sbarcati il 24 e 25 settembre e dotati di un consistente supporto aereo sopraffecero gli italiani che si arresero il 26 settembre dopo furiosi combattimenti e l’esaurimento delle munizioni. Lusignani venne fucilato il giorno dopo insieme a Bettini e 27 ufficiali, mentre varie centinaia di soldati avevano perso la vita durante i combattimenti. A Lusignani e Bettini verrà concessa la medaglia d’oro al valor militare.

Una immagine della fucilazione dei soldati italiani e un meschino tedesco che esegue il colpo di grazia

Le perdite

Quando si parla di perdite della Divisione Acqui a Cefalonia è necessario distinguere tra:

  • perdite avvenute durante i combattimenti dal 15 al 22 settembre 1943 (data della resa italiana);
  • perdite avvenute dal 24 al 28 settembre a titolo di “rappresaglia” sui militari prigionieri;
  • perdite avvenute in mare – nei mesi successivi – a causa dell’affondamento di alcune navi che trasportavano i prigionieri in Grecia, ovvero il piroscafo Ardena di 1 098 tsl e stracarico di 840 prigionieri saltato su una mina il 28 settembre con la morte di 720 prigionieri e il piroscafo Marguerite anch’esso saltato su una mina il 13 ottobre 1943 con la morte di 544 dei 900 prigionieri a bordo (complessivamente, quindi, i morti in mare tra i prigionieri di Cefalonia furono 1 264); la motonave Mario Roselli, con prigionieri di Corfù, fu affondata nella rada di Corfù da un attacco aereo alleato il 10 ottobre, con 1 302 morti tra i 5 500 prigionieri italiani che vi erano stati caricati;
  • perdite avvenute in prigionia nei campi di concentramento tedeschi e di altri paesi da questi occupati.

Secondo Giorgio Rochat la Divisione Acqui avrebbe perso in combattimento 1 200 soldati e 65 ufficiali; circa 5 000 uomini, fra ufficiali e soldati, nei massacri indiscriminati seguenti la resa, cui vanno aggiunti 193 ufficiali fucilati fra il 24 e il 25 settembre e 17 marinai assassinati il 28, giungendo a una stima di circa 6 500 caduti, simile a quella cui giungono indirettamente i tedeschi (i rapporti indicavano 5 000 soldati italiani sopravvissuti agli scontri). L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia quantifica le perdite complessive dei soldati stanziati a Cefalonia a 390 ufficiali e 9 500 uomini di truppa. Pur nell’impossibilità di giungere a un dato preciso, oggi si può dunque affermare che le «cifre su Cefalonia sono verosimilmente comprese fra un minimo di 3 500 e un massimo di 5 000» (articolo parzialmente estrapolato dal sito Wikipedia).

Testo bollettino

Cefalonia, Corfù, Samo, Lero, Kos, Rodi: sono alcuni dei nomi delle isole ioniche e dell’Egeo sul cui suolo e le prospicienti acque i militari italiani hanno combattuto aspramente durante il secondo conflitto mondiale. Queste isole ai margini del fronte principale delle operazioni italiane in Grecia, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 diventarono teatro di spaventose carneficine ai danni di coloro che, onorando il giuramento di fedeltà alla bandiera, non intesero mai ammainarla.

Di fronte al rapido evolvere della crisi susseguita alla proclamazione dell’armistizio di Cassibile, molti reagirono, come a Cefalonia e Corfù, all’arroganza dell’ex alleato e vi si opposero mossi da un amor di Patria e da altruismo straordinari, scrivendo pagine di ammirevole coraggio, alcune delle quali poco conosciute in Italia. Altri, rifiutando di schierarsi a fianco dei nazisti, “resistettero senz’arma” andando a ingrossare le fila degli Internati Militari Italiani (IMI) nei campi di concentramento di mezza Europa, e dove fu loro negato finanche lo status di prigionieri di guerra.

Oltre alle perdite registrate negli scontri di quei giorni contro i tedeschi, di cui 1.300 solo a Cefalonia, circa 3.000 furono i prigionieri successivamente trucidati, ben 2.000 i dispersi in mare e un numero imprecisato di uomini morirono nei campi di internamento. Al termine della guerra 8.000 tra soldati, marinai, avieri, carabinieri e finanzieri su 12.000 assegnati a quel fronte mancarono all’appello, rendendo onore all’Italia.

Il loro sacrificio non fu solo un atto eroico quanto, soprattutto, un atto di coerenza e di lealtà verso l’uniforme che indossavano e verso la Patria; un’azione coraggiosa sublimata fino all’estremo sacrificio, nella consapevolezza che il valore della vita terrena non fosse commisurato alla sua durata, bensì alle gesta e ai valori accomunati dal desiderio che la Patria riprendesse il suo autentico e libero percorso nella storia.

Onorare la memoria di quei Caduti, testimoni di una forza, di un’umanità e di un sacrificio capaci di travalicare la dimensione temporale, significa onorare l’Italia che oggi rappresentiamo nel mondo, attraverso le operazioni e le missioni militari.

La commemorazione di quei tragici accadimenti, a ottant’anni di distanza, resta, dunque, un dovere morale che esprimiamo come militari e come cittadini italiani promuovendo quotidianamente, anche attraverso il nostro operato, i fondanti valori repubblicani, di democrazia e tutela della dignità umana e della vita.

Sicuramente fu, quella di Cefalonia, delle isole ioniche e dell’Egeo, una delle prime manifestazioni del riscatto nazionale. Un filo ideale, un ugual sentire, unirono quegli eventi che ispirarono i militari italiani a lottare per la Resistenza insieme a chi in Patria e nei campi di prigionia si rifiutò di piegarsi e di collaborare.

Fra le testimonianze più significative lasciate da quanti affrontarono la detenzione nazista rimane la suggestiva lettera di Enrico Zampetti, sottotenente della Divisione Acqui, catturato a Corfù e, successivamente, internato in diversi lager della Polonia e della Germania. Si tratta di parte di un patrimonio storico e culturale da riscoprire e tramandare e che abbiamo inteso richiamare, nella circostanza, in questo progetto filatelico.

Un monito quindi, rivolto a noi ed alle future generazioni perché sappiano nutrire e difendere il nostro Paese con giustizia, coraggio e senso dell’onore.

Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone

Capo di Stato Maggiore della Difesa

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