6^ emissione del 19 febbraio 2024, di un francobollo dedicato al 200° anniversario del sogno di SAN GIOVANNI BOSCO

Stato della CITTA’ del VATICANO 6^ emissione del 19 febbraio 2024, di un francobollo dedicato al 200° anniversario del sogno di SAN GIOVANNI BOSCO, dal valore di €1.30.

  • Valore facciale: € 1,30
  • Formato: 40 x 30 mm
  • Dentellatura: 13 x 13 ¼
  • Mini foglio da: 9 esemplari
  • Dimensione: 136 x 106 mm
  • Stampa: Offset 4 colori
  • Stamperia: Cartor (Francia)
  • Prezzo del mini foglio: Euro 11,70
  • Tiratura: 21.000 minifogli

Se sei interessato all’acquisto di questo francobollo, lo puoi acquistare, al prezzo di € 2,00,  inviando una richiesta alla email: protofilia1@gmail.com

Il Vaticano si unisce alla famiglia salesiana per celebrare il sogno fatto a nove anni da San Giovanni Bosco, un sogno che ha orientato i suoi passi futuri, ispirato il suo operato e il suo carisma. Il francobollo vaticano celebrativo dell’anniversario, elaborato da un dipinto su tela realizzato nel 1999 dal pittore Mario Bogani (1932- 2016) e conservato nella Basilica Superiore del Tempio Don Bosco-Colle Don Bosco (Castelnuovo D. Bosco, Asti), illustra la visione del piccolo Giovanni come egli stesso raccontò nelle sue Memorie, che costituì l’origine della vocazione del futuro fondatore della Congregazione dei Salesiani e la fonte ispiratrice della sua filosofia educativa permeata da tre principi: Ragione, Religione e Amorevolezza.

Giovanni Melchiorre Bosco, meglio noto come don Bosco (Castelnuovo d’Asti, 16 agosto 1815 – Torino, 31 gennaio 1888), è stato un presbitero e pedagogo italiano, fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. È stato canonizzato da papa Pio XI il 1º aprile 1934. È considerato uno dei santi sociali torinesi.

Don Giovanni Bosco

Biografia

Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 in una modesta cascina dove ora sorge la basilica di Don Bosco, nella frazione collinare I Becchi di Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco), figlio dei contadini Francesco Bosco (1784-1817) e Margherita Occhiena (1788-1856).

Il padre, nel 1811, era rimasto vedovo della prima moglie Margherita Cagliero, dalla quale aveva avuto due figli: Antonio (1808-1849) e Teresa Maria, morta nel 1810 due giorni dopo la nascita; da Margherita Occhiena, prima di Giovanni, aveva avuto Giuseppe (1813-1862).

Quando Giovanni aveva soltanto due anni, il padre contrasse una grave polmonite che lo condusse alla morte l’11 maggio 1817, a soli 33 anni.

A nove anni il piccolo Giovanni Bosco ebbe un sogno che egli stesso definì “profetico” e che più volte raccontò ai ragazzi del suo Oratorio.

«A nove anni ho fatto un sogno. Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole.

In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente. Un manto bianco gli copriva tutta la persona. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fissarla. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi. Aggiunse: «Dovrai farteli amici non con le percosse, ma con la mansuetudine e la carità. Su, parla, spiegagli che il peccato è una cosa cattiva e che l’amicizia con il Signore è un bene prezioso». Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e ignorante, che non ero capace di parlare di religione a quei monelli.

In quel momento i ragazzi cessarono le risse, gli schiamazzi e le bestemmie e si raccolsero tutti intorno a colui che parlava. Quasi senza sapere cosa facessi gli domandai: «Chi siete voi, che mi comandate cose impossibili?» «Proprio perché queste cose ti sembrano impossibili – rispose – dovrai renderle possibili con l’obbedienza e acquistando la scienza». «Come potrò acquistare la scienza?». «Io ti darò la maestra. Sotto la sua guida si diventa sapienti, ma senza di lei anche chi è sapiente diventa un povero ignorante». «Ma chi siete voi?». «Io sono il figlio di colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno». «La mamma mi dice sempre di non stare con quelli che non conosco, senza il suo permesso. Perciò ditemi il vostro nome». «Il mio nome domandalo a mia madre».

In quel momento ho visto vicino a lui una donna maestosa, vestita di un manto che risplendeva da tutte le parti, come se in ogni punto ci fosse una stella luminosissima. Vedendomi sempre più confuso, mi fece cenno di andarle vicino, mi prese con bontà per mano e mi disse: «Guarda». Guardai e mi accorsi che quei ragazzi erano tutti scomparsi. Al loro posto c’era una moltitudine di capretti, cani, gatti, orsi e parecchi altri animali. La donna maestosa mi disse: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Cresci umile, forte e robusto e ciò che adesso vedrai succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei figli». Guardai ancora ed ecco che al posto di animali feroci comparvero altrettanti agnelli mansueti che saltellavano, correvano, belavano, facevano festa attorno a quell’uomo e a quella signora. A quel punto nel sogno mi misi a piangere. Dissi a quella signora che non capivo tutte quelle cose. Allora mi pose una mano sul capo e mi disse: «A suo tempo, tutto comprenderai».

Aveva appena detto queste parole che un rumore mi svegliò. Ogni cosa era scomparsa. Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che facevano male per i pugni che avevo dato, che la faccia mi bruciasse per gli schiaffi ricevuti. Al mattino ho subito raccontato il sogno, prima ai fratelli che si misero a ridere, poi alla mamma e alla nonna. Ognuno diede la sua interpretazione. Giuseppe disse: «Diventerai un pecoraio». Mia madre: «Chissà che non abbia a diventare prete». Antonio malignò: «Sarai un capo di briganti». L’ultima parola la disse la nonna, che non sapeva né leggere né scrivere: «Non bisogna credere ai sogni». Io ero del parere della nonna. Tuttavia quel sogno non riuscii più a togliermelo dalla mente. » (Memorie, Don Bosco)

La formazione e gli studi

«La sottrazione di benevolenza è un castigo che eccita l’emulazione.»

(Il sistema preventivo, don Bosco)

In seguito a quel sogno, il giovane Bosco decise di seguire la strada del sacerdozio. A Capriglio vi era una scuola elementare all’interno della parrocchia, in cui si recò il ragazzino per studiare, ma don Lacqua, il cappellano che gestiva le lezioni, non lo accolse fra i suoi alunni perché apparteneva a un altro comune. Il caso volle che, morta la serva del curato, questi assunse Marianna Occhiena, sorella di Margherita e dunque zia di Giovanni Bosco, che pregò don Lacqua affinché accogliesse il nipote a scuola. Questi accettò malvolentieri, ma finì comunque per affezionarsi al ragazzo, difendendolo dai compagni che lo maltrattavano perché di un altro paese.

Per avvicinare alla preghiera e all’ascolto della messa i ragazzini del paese, Giovanni Bosco decise di imparare i giochi di prestigio e le acrobazie dei saltimbanchi, attirando così i coetanei e i contadini del luogo grazie a salti e trucchetti di magia, invitandoli però prima a recitare il Rosario e ad ascoltare una lettura tratta dal Vangelo.

Nel febbraio del 1826 Giovanni Bosco perse anche la nonna paterna che viveva con lui. Poiché ella riusciva a tenere a freno i tre ragazzi della famiglia, Margherita, spaventata dal fatto che il figlio potesse perdere la via giusta, chiese al parroco, don Sismondo, di concedergli la Comunione, benché l’età media dei ragazzi per accedere al sacramento fosse di dodici anni, mentre Giovanni Bosco aveva soltanto undici anni. Don Sismondo accondiscese e così il 26 marzo 1826, il ragazzo fece la sua Prima Comunione.

Essendo desideroso di studiare, Giovanni chiese allo zio Michele Occhiena, che aveva scambi con il Seminario di Chieri, di intercedere per lui affinché qualche sacerdote accettasse di istruirlo. Michele non riuscì però a ottenere alcun risultato. Nel settembre di quel 1829 a Morialdo era venuto a stabilirsi come cappellano don Giovanni Calosso, sacerdote settantenne; questi, dopo aver constatato quanto intelligente e desideroso di studiare fosse il giovane, decise di accoglierlo nella propria casa per insegnargli la grammatica latina e prepararlo così alla vita del sacerdote. Un anno dopo, e precisamente il 21 novembre del 1830, Giovanni Calosso fu colpito da apoplessia e moribondo diede al giovane amico la chiave della sua cassaforte, dove erano conservate 6.000 lire che avrebbero permesso a Giovanni di studiare ed entrare in Seminario. Il ragazzo, però, preferì non accettare il regalo del maestro e consegnò l’eredità ai parenti del defunto.

Il 21 marzo 1831 il fratellastro Antonio sposò Anna Rosso, di Castelnuovo, e la madre decise di dividere l’asse patrimoniale con lui, così che Giovanni poté tornare a casa e riprendere da settembre gli studi a Castelnuovo con la possibilità di una semi-pensione presso Giovanni Roberto, sarto e musicista del paese, che gli insegnò il proprio mestiere. A fine anno decise di andare a studiare a Chieri e l’estate la passò al Sussambrino, una cascina di Castelnuovo che suo fratello Giuseppe (1813-1862), insieme con l’amico Giuseppe Febraro, aveva preso a mezzadria.

Grazie all’aiuto del maestro, don Emanuele Virano, riuscì a recuperare tutto il tempo perduto ma, non appena questi fu nominato parroco di Mondonio e dovette abbandonare la scuola, il suo sostituto, don Nicola Moglia, di settantacinque anni, non riuscendo a contenere i suoi giovani studenti, fece perdere al giovane Bosco tempo prezioso, che egli comunque spese imparando diversi mestieri, quale quello del sarto grazie all’aiuto di Giovanni Roberto, e quello del fabbro nella fucina di Evasio Savio, un suo amico, grazie ai cui insegnamenti egli in seguito riuscì a fondare laboratori per i ragazzi dell’Oratorio di Valdocco.

Il sacerdozio

Il Seminario e l’amicizia con Luigi Comollo

A Chieri si stabilì a pensione presso la casa di Lucia Matta. Per mantenersi agli studi svolse vari lavori, come garzone, cameriere, addetto alla stalla e altri. Qui fondò la Società dell’Allegria, attraverso la quale, in compagnia di alcuni giovani di buona fede, tentava di far avvicinare alla preghiera i coetanei attraverso i suoi soliti giochi di prestigio e i suoi numeri acrobatici. Egli stesso raccontava che un giorno riuscì a battere un saltimbanco professionista, acquistandosi così il rispetto degli altri e la loro considerazione.

Durante gli anni di studio Giovanni Bosco strinse forte amicizia con Luigi Comollo, nipote del parroco di Cinzano. Il giovane era spesso maltrattato dai suoi compagni, insultato e picchiato, ma accettava spesso con un sorriso o una parola di perdono queste sofferenze. Il giovane Bosco, dal canto suo, non sopportava di vedere il coetaneo così maltrattato e spesso lo difendeva, azzuffandosi con i suoi aggressori.

Le parole di Comollo e le sue incessanti preghiere turbarono profondamente l’animo di Giovanni, tanto che egli stesso un giorno ricordò nelle sue Memorie: “Posso dire che da lui ho cominciato a imparare a vivere da cristiano”. Grazie al suo atteggiamento così mansueto e innocente, il futuro santo comprese quanto fosse importante per lui raggiungere la salvezza dell’anima e ciò rimase talmente impresso nella sua mente che, quando fondò l’Oratorio a Valdocco, trascrisse su un cartello nella propria stanza: «Toglimi tutto, ma dammi le anime».

Nell’autunno del 1832 Giovanni Bosco incominciò la terza grammatica. Nei due anni seguenti proseguì regolarmente, frequentando le classi che venivano chiamate umanità (1833-34) e retorica (1834-35), dimostrandosi un allievo eccellente, appassionato dei libri e di grande memoria.

Nel marzo 1834 Giovanni Bosco, che si avviava a terminare l’anno di umanità, chiese di essere ammesso nell’ordine francescano, ma cambiò idea prima di entrare in convento, seguendo un sogno misterioso e il consiglio diretto di don Giuseppe Cafasso. Decise allora di vestire l’abito clericale, entrando in seminario. Don Giuseppe Cafasso gli consigliò di completare l’anno di retorica e quindi di presentarsi all’esame per entrare nel seminario di Chieri. Giovanni superò l’esame, che si tenne a Torino, il 25 ottobre prese l’abito ecclesiastico e il 30 ottobre 1835 si presentò in seminario.

Il 3 novembre 1837 Giovanni iniziò lo studio della teologia, fondamentale per gli aspiranti al sacerdozio. In quel tempo occupava cinque anni, e comprendeva come materie principali la dogmatica (lo studio delle verità cristiane), la morale (la legge che il cristiano deve osservare), la Sacra Scrittura (la parola di Dio), la storia ecclesiastica (storia della Chiesa dalle origini del cristianesimo all’età contemporanea).

In seminario Giovanni Bosco ritrovò l’amico Comollo, con il quale poté così ristabilire la salda amicizia di un tempo. Ma il 2 aprile del 1839, Luigi Comollo, già debole fisicamente, cadde malato e si spense a soli 22 anni. Nella notte dal 3 al 4 aprile, notte che seguiva il giorno della sua sepoltura, secondo una testimonianza diretta di Giovanni Bosco e dei suoi venti compagni di camera, alunni del corso teologico, l’amico defunto apparve loro sotto forma di una luce che, per tre volte consecutive, disse: “Bosco! Bosco! Bosco! Io sono salvo!”. A ricordo dell’evento fu posta una lapide in un corridoio del Seminario di Chieri. Il giovane chierico da quel momento in poi decise di “mettere la salvezza eterna al di sopra di tutto, a considerarla come l’unica cosa veramente importante”. Il suo motto, ispirato a Gn 14,21, che richiudeva il suo programma di vita, fu sempre: Da mihi animas, coetera tolle (“Dammi le anime, prenditi tutto il resto), scritto a grossi caratteri su un cartello, che teneva nella sua stanza.

Il 29 marzo 1841 ricevette l’ordine del diaconato, il 26 maggio incominciò gli esercizi spirituali di preparazione al sacerdozio, che ricevette il 5 giugno 1841 nella cappella dell’Arcivescovado di Torino. Diventato prete, ricevette alcune proposte lavorative da parte di amici e conoscenti che, per ricompensare lui e la sua famiglia dei sacrifici fatti, lo volevano come istitutore a Genova o come cappellano. Egli però si rifiutò di accettare tali funzioni, sia per una propria inclinazione all’umiltà, sia per le accese omelie di Giuseppe Cafasso, che accusava i sacerdoti di ingordigia e avidità, sia per la perentoria affermazione della madre Margherita: «Se per sventura diventerai ricco, non metterò mai più piede a casa tua».

Su invito del Cafasso, decise di entrare, ai primi di novembre del 1841, in convitto a Torino, in un ex-convento accanto alla chiesa di San Francesco d’Assisi, dove il teologo Luigi Guala, aiutato dal Cafasso, preparava 45 giovani sacerdoti a diventare preti del tempo e della società in cui dovranno vivere. La preparazione durò tre anni.

Fondazione e sviluppo della Società salesiana

Il 12 aprile 1846, giorno di Pasqua, finalmente don Bosco trovò un posto per i suoi ragazzi, una tettoia con un pezzo di prato: la tettoia Pinardi a Valdocco.

Don Bosco con i suoi ragazzi

Nel 1854 don Bosco diede inizio alla Società salesiana, con la quale assicurò la stabilità delle sue opere e del suo spirito anche per gli anni futuri. Dieci anni dopo pose la prima pietra del santuario di Maria Ausiliatrice. Nel 1848 i progressi dell’opera furono elogiati pubblicamente da Pio IX, amico personale di don Bosco, da due anni salito al soglio pontificio.

Agli inizi del 1867 don Bosco era a Roma, ospite del conte Vimercati. Nel febbraio tornò verso il Piemonte passando dalle Marche e dalla Romagna. A Fermo incontrò, fra gli altri, il giovane Domenico Svampa, futuro vescovo e cardinale; a Forlì, dove la fama di don Bosco era già molto diffusa, fu ricevuto dal vescovo Pietro Paolo Trucchi, che era anche amico del conte Vimercati.

In quegli stessi anni molti collegi e istituti scolastici decentrati di stampo salesiano furono fondati in Piemonte, come ad esempio il collegio San Carlo a Borgo San Martino, vicino ad Alessandria.

Nel 1872, con Maria Domenica Mazzarello, fondò l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, con lo scopo di educare, con il medesimo spirito, la gioventù femminile.

Sempre nel 1872, per interessamento dell’arcivescovo di Genova Salvatore Magnasco e con il finanziamento di alcuni benefattori, don Bosco acquistò nell’allora cittadina di San Pier d’Arena, alle porte di Genova, la chiesa di San Gaetano e l’annesso convento già dei teatini, e nel novembre dello stesso anno i salesiani vi avviarono la loro opera di assistenza. Nasceva così il primo istituto salesiano al di fuori del Piemonte, che negli anni successivi fu ampliato e divenne un importante punto di riferimento per la cittadina ligure, che in quel momento stava vivendo un periodo di forte sviluppo demografico legato all’imponente crescita industriale. Convinto che l’istruzione professionale dei giovani delle classi più povere fosse fondamentale per il miglioramento della loro condizione sociale e lavorativa, don Bosco aprì, oltre all’oratorio, una scuola professionale per la formazione delle figure operaie maggiormente richieste in quel tempo (calzolai, falegnami, meccanici, sarti, tipografi, stampatori e legatori).

L’azione sociale e sindacale

Don Bosco, seguendo i giovani anche nei cantieri e nei luoghi di lavoro, si accorse come i padroni sfruttassero gli apprendisti, utilizzandoli anche come servitori e sguatteri. Non esistevano contratti scritti e il tempo lavorativo superava di gran lunga le otto ore, non c’erano mansionari per determinare il tipo di lavoro da eseguire, nessun riposo settimanale e nessuna tutela di sicurezza o della salute erano previste per i lavoratori non adulti. Don Bosco si presentava dai datori di lavoro come garante, ma pretendeva da loro regole precise. Così, nella capitale sabauda preunitaria, i primi contratti scritti per l’apprendistato portano la firma di don Bosco: l’8 febbraio 1852 a Torino, nella casa dell’oratorio San Francesco di Sales, il giovane apprendista falegname Giuseppe Odasso firmava il primo contratto di «apprendizzaggio» in tutta Italia, su carta bollata da 40 centesimi, garante appunto don Giovanni Bosco (per questo motivo gli ispettori del lavoro a lui devoti hanno richiesto alla CEI l’attribuzione al presbitero del ruolo di protettore degli ispettori del lavoro e degli ispettori tecnici del lavoro, ruolo riconosciuto ufficialmente dal 9 maggio 2022). Conservato nell’archivio della congregazione salesiana insieme con altri contratti, tra cui uno precedente del novembre 1851, ma in carta semplice, sono il primo esempio in assoluto per gli stati italici di questo tipo di tutela “sindacale”. Nacquero anche i primi laboratori dove don Bosco, aiutato da artigiani adulti, insegnava si ragazzi senza futuro una professione, un mestiere specializzato. Queste iniziative saranno poi il fulcro della futura scuola salesiana. Inoltre don Bosco, sull’esempio delle prime società di mutuo soccorso che andavano diffondendosi, associazioni libere tra lavoratori per accantonare dei fondi da utilizzare dai soci qualora colpiti da malattie o infortuni, promuoverà una “mutua” salesiana per i suoi “protetti”, pubblicandone il regolamento e facendolo entrare in vigore il 1º giugno 1850. Questa sua azione sociale sollevò malumori contro il sacerdote in diversi ambienti, dagli anticlericali ai valdesi, dai massoni a certi ambiti padronali, e tutto questo provocò una serie di attentati nei suoi confronti, dai quali però uscì sempre indenne. Inoltre, come già accennato, il fondatore dei salesiani si occupò dei giovani finiti a marcire nelle prigioni piemontesi. Prendendo accordi con le autorità reali, scettiche, chiese di permettere ai galeotti minorenni di uscire dalle galere per alcune ore al giorno in modo che potessero imparare dei mestieri e non ricadessero in futuro negli stessi errori, il tutto sotto la sola sorveglianza di don Bosco e dei suoi collaboratori e senza la presenza di guardie armate. Il progetto ebbe un tale successo che anche dall’estero vennero a studiare il “metodo salesiano” di recupero sociale. Quando nell’estate del 1854 a Torino scoppiò il colera nel Borgo Dora, dove si ammassavano gli immigrati, a due passi dall’oratorio di don Bosco, tutti gli studenti guidati dal santo si metteranno a disposizione delle autorità sanitarie per soccorrere la popolazione: miracolosamente nessuno di loro verrà contagiato dal morbo.

La morte

Don Bosco morì di bronchite a Torino all’alba del 31 gennaio 1888, all’età di 72 anni e il suo corpo è attualmente esposto all’interno di un’urna nel santuario di Maria Ausiliatrice, in una cappella in fondo alla navata destra.

Il messaggio educativo si può condensare attorno a tre parole: ragione, religione, amorevolezza. Alla base del suo sistema preventivo ci fu un profondo amore per i giovani, chiave di tutta la sua opera educativa.

Tra le opere pittoriche raffiguranti San Giovanni Bosco, la più conosciuta e divulgata, anche sotto forma di santino, è quella del pittore Luigi Cima, custodita nella chiesa di San Rocco a Belluno.

Il sogno delle due colonne

In fondo alla basilica di Maria Ausiliatrice di Torino, voluta da don Bosco, si trova il dipinto raffigurante il famoso “Sogno delle due colonne”, considerato profetico sul futuro della Chiesa.

Il sogno, raccontato dal futuro santo la sera del 30 maggio 1862, descrive una terribile battaglia sul mare, scatenata da una moltitudine di imbarcazioni contro una grande nave che simboleggerebbe la Chiesa cattolica, guidata da un comandante che rappresenterebbe il papa. La grande nave è scortata da molte navicelle che da lei prendono ordini e viene colpita ripetutamente.

A un tratto il papa, ferito gravemente, cade. Subito soccorso, viene colpito una seconda volta e muore. Appena morto il papa, un altro papa subentra al suo posto. Il nuovo pontefice viene eletto così rapidamente che la notizia della morte del primo giunge con la notizia dell’elezione del suo successore che, superando ogni ostacolo, guida la nave in salvo in mezzo a due colonne che si ergono altissime in mezzo al mare. Le colonne rappresenterebbero la prima l’Eucaristia, simboleggiata da una grande ostia con la scritta “Salus credentium”, e la seconda la Madonna, simboleggiata da una statua dell’Immacolata con la scritta “Auxilium Christianorum”. Tutte le navi nemiche fuggono, fracassandosi a vicenda, mentre le navicelle che hanno combattuto con il papa si ormeggiano anch’esse al sicuro tra le due colonne. Nel mare prende a regnare una grande calma.

La notte del 13 settembre 1953, il beato cardinale Schuster, allora arcivescovo di Milano, che si trovava a Torino come legato pontificio al Congresso eucaristico Nazionale, durante il solenne pontificale di chiusura dedicò a questo sogno una parte rilevante della sua omelia.

I miracoli per la beatificazione

All’epoca erano necessari due miracoli per la beatificazione: nel caso di don Bosco la Chiesa cattolica ha ritenuto miracolose le guarigioni di Teresa Callegari e Provina Negro.

Anche per la canonizzazione erano necessari all’epoca due miracoli e la Chiesa cattolica riconobbe come miracolose le guarigioni di Anna Maccolini e Caterina Lanfranchi. Le due guarigioni, giudicate scientificamente inspiegabili dalle commissioni mediche, furono dichiarate dalle commissioni teologiche come miracolose e ottenute per intercessione di don Bosco, il quale fu canonizzato da papa Pio XI il 1º aprile 1934, giorno di Pasqua. Papa Giovanni Paolo II nel 1988 lo nominò padre e maestro della gioventù (articolo parzialmente estrapolato dal sito Wikipedia).

Se sei interessato all’acquisto di questo francobollo, lo puoi acquistare, al prezzo di € 2,00,  inviando una richiesta alla email: protofilia1@gmail.com

/ 5
Grazie per aver votato!

You may also like...