56^ emissione di un francobollo commemorativo di DON GIOVANNI MINZONI, nel 100° anniversario della scomparsa
56^ emissione di un francobollo commemorativo di DON GIOVANNI MINZONI, nel 100° anniversario della scomparsa, dal valore indicato in B, corrispondente ad €1.25
- data emissione: 06 Settembre 2023
- dentellatura: 11 effettuata con fustellatura
- dimensioni francobollo: 40 x 30 mm.
- stampa: in rotocalcografia
- tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente; grammatura: 90 g/mq; supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq; adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco)
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura: 250.020
- valore: B = €1,25
- colori: cinque
- bozzettista: Emanuela L’Abate
- num. catalogo francobollo: Michel _4559_ YT _______ SANS _3973__
- Il francobollo: il francobollo raffigura un ritratto di Don Giovanni Minzoni, in primo piano sulla Pieve di San Giorgio di Argenta, chiesa in cui fu cappellano e arciprete. A sinistra è presente la sagoma del sacerdote in bicicletta, mezzo con cui era solito muoversi. Completano il francobollo le legende “DON GIOVANNI MINZONI” e “1885 – 1923”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
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Giovanni Minzoni (Ravenna, 29 giugno o 1 luglio 1885 – Argenta, 23 agosto 1923) fu un presbitero italiano, noto anche colloquialmente come Don Minzoni. Medaglia d’argento al valore militare durante il periodo da cappellano nel corso della prima guerra mondiale, e vicino alle posizioni cristiano-sociali del partito popolare, fu da sempre oppositore del fascismo, e non mancò di mostrare la sua contrarietà e opposizione al nuovo regime che si venne instaurando in Italia nel 1922. Nell’agosto del 1923 fu aggredito da due squadristi fascisti e, a seguito delle lesioni riportate, morì poche ore più tardi.
Biografia
Giovinezza e prima guerra mondiale
Nato in una famiglia piccolo borghese – il padre, dapprima ferroviere, aveva rilevato una locanda – Giovanni Minzoni entrò in seminario nel 1897 e nel 1909 fu ordinato sacerdote. Durante gli anni del seminario ebbe modo di entrare in contatto con Romolo Murri e il modernismo teologico, avvicinandosi quindi al movimento democratico cristiano.
L’anno seguente fu nominato cappellano ad Argenta, comune del Ferrarese. Si interessò subito alla vita politica e civile del paese e fu vicino alle istanze dei lavoratori, che in quegli anni si andavano coagulando attorno alle nascenti Camere del Lavoro. Nel 1912 lasciò Argenta per studiare alla scuola sociale della diocesi di Bergamo, dove si addottorò nel 1914.
Alla morte del parroco di Argenta nel gennaio 1916 fu designato a succedergli, ma nell’agosto successivo fu chiamato alle armi per prestare servizio nella prima guerra mondiale. Inizialmente operò in un ospedale militare di Ancona, ma successivamente chiese di essere inviato al fronte: vi giunse come tenente cappellano del 255º reggimento fanteria della brigata Veneto. Durante la battaglia del solstizio sul Piave, dimostrò un coraggio tale da essere decorato sul campo con la medaglia d’argento al valore militare.
I contrasti con il regime fascista
Al termine del conflitto tornò ad Argenta e divenne parroco di San Nicolò. Qui si dedicò a tradurre in pratica i presupposti del cattolicesimo sociale, tanto nei confronti dei ragazzi quanto a beneficio delle classi lavoratrici. Promosse la costituzione di cooperative di ispirazione cattolica tra i braccianti e le operaie del laboratorio di maglieria. In ambito educativo promosse inoltre il doposcuola, il teatro parrocchiale, la biblioteca circolante, i circoli maschili e femminili. Grazie all’incontro con don Emilio Faggioli, già fondatore nell’aprile del 1917 del gruppo scout «Bologna I», e poi assistente ecclesiastico regionale dell’ASCI, don Minzoni si convinse della validità dello scautismo, per cui decise di fondare un gruppo scout nella propria parrocchia.
Nel ferrarese in quegli anni si respirava un clima da guerra civile: il 20 dicembre 1920 si erano registrati sei morti nel corso dell’eccidio del Castello Estense. Il 7 maggio 1921 fu vittima dello squadrismo fascista il sindacalista socialista Natale Gaiba, consigliere comunale ad Argenta e amico di Don Minzoni. Questo e molti altri episodi convinsero il sacerdote a opporsi esplicitamente al fascismo già prima della marcia su Roma, e a manifestare vicinanza alle vittime dello squadrismo, anche a quelle di matrice socialista.
L’educazione dei giovani era al centro delle sue preoccupazioni pastorali; la sua indubbia capacità organizzativa rese così stentatissima la costituzione ad Argenta dell’Opera Nazionale Balilla. Contrastò inoltre l’istituzione dell’Avanguardia giovanile fascista. Combattuto tra la preoccupazione di non acuire la conflittualità in un contesto già profondamente diviso e il desiderio di testimoniare le proprie convinzioni democratiche e religiose, don Minzoni attese l’aprile 1923 per rendere esplicita la propria adesione al Partito Popolare Italiano. Divenne in tal modo il punto di riferimento degli antifascisti di Argenta.
L’8 luglio 1923 Emilio Faggioli fu invitato nel teatro parrocchiale di Argenta a tenere una conferenza sulla validità educativa dello scautismo. “Attraverso questo tirocinio e disciplina della volontà e del corpo”, affermò don Faggioli, “noi intendiamo formare degli uomini di carattere”. Dalla galleria lo interruppe allora il segretario del fascio di Argenta “C’è già Mussolini…!”. Monsignor Faggioli riprese il suo intervento spiegando all’uditorio che lo scautismo agisce sopra e al di fuori delle fazioni politiche. “Vedrete da oggi lungo le vostre strade i giovani esploratori col largo cappello e il giglio sopra il cuore. Guardate con simpatia questi ragazzi che percorreranno cantando la larga piazza d’Argenta.” “In piazza non verranno!” esclamò ancora il segretario del fascio. Gli rispose allora don Minzoni stesso: “Finché c’è don Giovanni, verranno anche in piazza!”. L’applauso dei giovani troncò il dialogo. Gli oltre settanta iscritti al gruppo degli esploratori cattolici di Argenta erano una realtà, e le minacce non erano servite al loro scopo.
Non tardò il tentativo del console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale Raul Forti, originario di Argenta, di portare don Minzoni nel proprio campo: facendo leva sui suoi trascorsi militari, gli propose infatti di diventare cappellano militare della MVSN. Don Minzoni rifiutò adducendo come motivazione la presenza di molti ex comunisti nei ranghi della milizia fascista.
L’omicidio
La sera del 23 agosto 1923, intorno alle 22:30, mentre stava rientrando in canonica in compagnia del giovane parrocchiano Enrico Bondanelli, don Minzoni fu aggredito da due squadristi di Casumaro, Giorgio Molinari e Vittore Casoni, facenti capo al futuro Console della milizia Italo Balbo: fu da costoro colpito alle spalle con sassi e bastoni con una violenza tale da provocargli la frattura delle ossa del cranio. Il giovane Bondanelli, percosso a sua volta e ferito, dovette abbandonare ogni difesa, mentre gli aggressori si allontanavano velocemente. Il sacerdote riuscì in un primo momento a rialzarsi e, nonostante il forte dolore, fece qualche passo ma cadde sulle ginocchia. Bondanelli, con grande difficoltà, lo aiutò ad arrivare a casa, dove alcuni paesani lo trasportarono di peso nel suo letto, data ormai la sua impossibilità di camminare. Fu visitato da un dottore, ma le condizioni del sacerdote erano gravissime. Morì intorno a mezzanotte, circondato dai parrocchiani che erano accorsi per prestargli aiuto. Poco prima della morte Don Minzoni aveva scritto: «a cuore aperto, con la preghiera che mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo».
Responsabilità della morte
Per decisione della dirigenza fascista ferrarese, le ricerche sui responsabili dell’omicidio furono archiviate nel novembre 1923. L’anno successivo – sull’onda dello scandalo politico provocato dal delitto Matteotti – i quotidiani Il Popolo e La Voce Repubblicana ritornarono sull’episodio denunciando Italo Balbo quale presunto mandante: quest’ultimo giornale in particolare pubblicò alcuni documenti riguardanti ordini da lui impartiti di bastonature di antifascisti e sue pressioni sulla magistratura. Nel 1924 Balbo, divenuto nel frattempo Console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), a seguito di tali rivelazioni fu costretto a dimettersi dalla carica, perdendo la causa per diffamazione da lui intentata al quotidiano e fu condannato a pagare le spese processuali.
Nel dicembre 1924 fu riaperta l’inchiesta sul delitto. Il 14 luglio 1925 fu aperto un nuovo processo presso la corte di assise di Ferrara, che giunse a conclusione due settimane dopo, il 1º agosto 1925, in un clima di esplicita intimidazione di giornalisti e testimoni. Nell’ambito di questo processo, fu accertato in tribunale che il colpo mortale era stato inferto con un comune bastone da passeggio. Nonostante le tre condanne chieste dalla pubblica accusa, tutti gli imputati vennero assolti all’unanimità dai dodici giudici popolari.
Nel 1946 la Corte di cassazione annullò il secondo processo e l’anno successivo ne fu istruito un terzo, nuovamente presso la Corte di Assise di Ferrara. Quest’ultimo processo si concluse con la condanna per omicidio preterintenzionale degli imputati superstiti, che comunque furono scarcerati per sopravvenuta amnistia.
Memoria e riconoscimenti
Il 13 ottobre 1973, davanti al Duomo di San Nicolò di Argenta venne posto un monumento in bronzo opera di Angelo Biancini in occasione delle celebrazioni per il Cinquantesimo anniversario della sua morte che venne inaugurato dal Presidente della Repubblica.
A sessant’anni dalla morte, nel 1983 le spoglie di don Minzoni furono traslate dal cimitero monumentale di Ravenna alla chiesa di San Nicolò di Argenta, dove furono inumate alla presenza, tra gli altri, del presidente del Senato Francesco Cossiga. Nell’occasione Giovanni Paolo II scrisse:
«Don Minzoni morì “vittima scelta” di una violenza cieca e brutale, ma il senso radicale di quella immolazione supera di gran lunga la semplice volontà di opposizione ad un regime oppressivo, e si colloca sul piano della fede cristiana. Fu il suo fascino spirituale, esercitato sulla popolazione, sulle forze del lavoro ed in particolare sui giovani, a provocare l’aggressione, si volle stroncare soprattutto la sua azione educativa diretta a formare la gioventù per prepararla nel contempo ad una solida vita cristiana e ad un conseguente impiego per la trasformazione della società. Per questo gli Esploratori Cattolici sono a lui debitori.»
(Papa Giovanni Paolo II, Lettera all’Arcivescovo di Ravenna in occasione del 60º della morte di don Minzoni) (testo parzialmente tratto dal sito Wikipedia)
Testo bollettino
Giovanni Minzoni nasce a Ravenna il 29 giugno 1885. Nel giugno del 1896, a 11 anni, entra in Seminario a Ravenna. È il compagno buono, a cui non si ricorre mai invano per un consiglio. Viene consacrato sacerdote il 18 settembre 1909. L’8 febbraio 1910, viene inviato cappellano ad Argenta. Questa terra sembra di nessuno per l’abbandono sociale e religioso in cui è lasciata. Comprende il bisogno urgente di allevare cristianamente i giovani e i ragazzi e a questi si dedica subito con straordinaria abnegazione.
A quei tempi i Vescovi vietavano ai preti l’uso della bicicletta: non era consono al loro ministero. Don Minzoni sul Diario: «Non capisco il Vescovo. Ho una parrocchia molto grande; a piedi posso visitare 4/5 famiglie al giorno, in bicicletta quattro volte di più». E va in bicicletta. Gli argentani, che sapevano del divieto, iniziano da qui ad apprezzare ed amare il loro cappellano.
Per meglio comprendere la realtà in cui vive, dal 1912 al 1914 frequenta la Scuola sociale di Bergamo, dove si laurea Dottore in Scienze sociali con il massimo dei voti.
Dal maggio 1915 l’Italia è in guerra con l’Austria-Ungheria. Il 10 luglio 1916 arriva anche per lui la cartolina precetto, don Minzoni ha 31 anni. È arruolato nella Sanità per un suo problema di vista. Chiede però e ottiene di divenire Cappellano militare, con il grado di Tenente, nel 255° Reggimento della Brigata Veneto.
Scrive don Minzoni: «Devo cercare di conciliare la mia vocazione col dovere di servire la Patria. Mi vedranno non un eroe, ma almeno un sacerdote che senza avere gridato “evviva la guerra”, ha saputo accorrere là dove vi era una giovane vita da confortare, una lacrima da sublimare».
Il 15 giugno 1918 don Minzoni promuove una operazione atta a salvare alcuni soldati italiani. Per questo atto eroico ottiene la Medaglia d’Argento al V.M. oltre a 2 Croci al Merito di Guerra, saranno in totale 11 le decorazioni assegnate all’Eroe alla fine del conflitto.
Dopo il fronte torna nella sua Argenta dove il 24 giugno 1919 è nominato Arciprete. Fonda due circoli di Azione cattolica, uno maschile e uno femminile. Riattiva l’Opera Pia Liverani, destinata all’istruzione ed educazione delle fanciulle. Rinnova il Ricreatorio e amplia, con la costruzione di una vasta galleria, il salone-teatro, che continua ad essere l’unica sala cinematografica della zona. Riorganizza la Filodrammatica dei giovani. Si interessa dell’Unione Professionale Cattolica, tramite questa crea una cooperativa “La Ex combattenti” e affitta una vasta tenuta agricola per dare lavoro ai reduci. Attiva un laboratorio femminile di maglieria, facendo in modo che le macchine siano comproprietà delle lavoratrici.
Nella notte fra il 16 e il 17 aprile 1921, circa 400 fascisti armati circondano Argenta e si abbandonano ad ogni sorta di violenza. È l’avvento del fascismo ad Argenta. Solo don Minzoni si oppone pubblicamente e diviene per la popolazione tutta, credenti e non, un aiuto, un riferimento.
Il 24 luglio 1923 don Minzoni attiva due reparti di Giovani Esploratori cattolici, ai quali aderiranno in breve una settantina di ragazzi. Svanisce ogni speranza per i fascisti locali di poter organizzare un gruppo di “Balilla”. Quest’ultima iniziativa gli costerà il martirio. Il 23 agosto 1923 viene barbaramente assassinato da due sicari inviati dal fascismo ferrarese.
Sergio Caranti
Curatore del Museo don Giovanni Minzoni di Argenta
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