POSTE VATICANE 15^ EMISSIONE DEL 08 settembre 2021, di n.1 francobollo celebrativo il 450° anniversario della nascita di Caravaggio
450 anni orsono nasceva a Milano Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, un artista geniale dalla personalità irrequieta e tormentata caratterizzata, come la sua pittura, da contrasti di luci e ombre. Sebbene presto famoso e conteso dagli uomini più potenti d’Italia, Caravaggio traeva la sua ispirazione dai bassifondi e dai margini della società. Nelle opere dell’artista il tema religioso si coniuga con quello sociale poiché il divino viene rivelato dai poveri. Il foglietto vaticano celebrativo dell’anniversario riproduce il Martirio di San Matteo realizzato tra il 1600 e il 1601 e custodito nella cappella Contarelli nella Chiesa San Luigi dei Francesi a Roma. Il Caravaggio firma quest’opera autoritraendosi sul fondo della drammatica rappresentazione, come sporgente da una quinta di una scena di teatro. In questa drammatizzazione il carnefice è collocato al centro del quadro nell’atto di uccidere il Santo Evangelista, il quale è disteso sotto di lui con lo sguardo rivolto al cielo in direzione dell’angelo che gli porge la palma, segno del premio che lo attende in Paradiso.
- data: 8 settembre 2021
- valori facciali: € 5,40
- stamperia: Printex (Malta)
- Stampa: offset 4 colori
- formato foglietto : 96 x 138 mm
- formato francobollo: 30,5 x 41 mm
- dentellatura: 13,77 x 13,66
- formato foglio: 104 x 174 mm
- tiratura: 35.000 minifogli
- num. catalogo: Michel_2036_ YT _1890_ UNIF _1896_
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Michelangelo Merisi, universalmente detto Caravaggio, (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) è stato un pittore italiano.
Formatosi a Milano e attivo a Roma, Napoli, Malta e in Sicilia fra il 1593 e il 1610, Caravaggio acquisì grande fama internazionale in vita e subito dopo la morte, costituendo la corrente del caravaggismo ed esercitando una forte influenza sulla pittura barocca del XVII secolo, ma venne poi dimenticato fino alla riscoperta critica nel XX secolo, ed è oggi considerato uno dei più celebri rappresentanti dell’arte occidentale di tutti i tempi.
I suoi dipinti dimostrano un’eccezionale sensibilità nell’osservazione della condizione umana fisica ed emotiva, accentuata dalla grande fedeltà al modello dal vivo e dall’uso scenografico della luce, considerate al tempo caratteristiche rivoluzionarie in totale contrapposizione alla prassi accademica raffaellesca.
Animo particolarmente irrequieto, nella sua breve esistenza affrontò gravi vicissitudini. Data cruciale nella vita di Caravaggio fu il 28 maggio 1606: responsabile di un omicidio durante una rissa e condannato a morte, dovette fuggire per il resto della sua vita per scampare alla pena capitale.
Biografia
Giovinezza e formazione (1571-1594)
Prima del ritrovamento dell’atto di Battesimo di Michelangelo Merisi, si credeva che il pittore fosse nato nel paese di Caravaggio, nel 1573. A seguito della scoperta archivistica nel Liber Baptizatorum della Parrocchia di Santo Stefano in Brolo, è ormai certo che Caravaggio nacque nella città di Milano, probabilmente il 29 settembre (giorno di San Michele Arcangelo, dal quale forse il nome Michelangelo. Meno certa è invece la data del 25 settembre), visto che l’atto di battesimo è datato 30 settembre 1571. Tale documento recita: «Adi 30 fu battezzato Michel angelo filio de domino Fermo Merixio et domina Lutia de Oratoribus/ compare domino Francesco Sessa».
I genitori del pittore – Fermo Merisi e Lucia Aratori – erano comunque nativi di Caravaggio. Il cognome, a volte trascritto in alcuni documenti come Merigi, Amerighi o Merighi, viene più spesso confermato come Merisi e, più tardivamente, anche nella variante Merisio.
Apprendistato
Nel 1577, per sfuggire alla peste, la famiglia Merisi lasciò Milano per tornare al paese, tuttavia il padre contrasse la malattia e morì dopo poco tempo, seguito dal nonno Bernardino e dallo zio Pietro.
A soli 13 anni, terminata l’epidemia in città, il giovane Michelangelo fu mandato a lavorare a bottega a Milano presso il laboratorio di Simone Peterzano, pittore del manierismo lombardo che si professava diretto allievo di Tiziano (si veda l’iscrizione in calce al suo autoritratto). Il contratto di lavoro, datato 6 aprile 1584, venne firmato dalla madre per poco più di quaranta scudi d’oro. Le varie date dei documenti sono certe, considerando che in quel periodo era appena stato riformato il calendario. L’apprendistato del giovane si protrasse per circa quattro anni, durante i quali apprese la lezione dei maestri della scuola pittorica lombarda e veneta. Dalle Considerazioni sulla pittura di Giulio Mancini, uno dei biografi dell’artista, abbiamo notizia del carattere del giovane Caravaggio in quegli anni: «Studiò in fanciullezza per quattro o cinque anni in Milano, con diligenza ancorché di quando in quando facesse qualche stravaganza causata da quel calore e spirito così grande».
Gli anni dal 1588, anno di scadenza con Peterzano, fino al 1592, ultima testimonianza della sua presenza in Lombardia prima di raggiungere Roma, risultano piuttosto nebulosi. Secondo Mancini, la madre del pittore morì a Milano il 29 novembre 1590, dunque, risolta la spartizione dell’eredità (della quale è pervenuta la documentazione), il giovane Merisi lasciò definitivamente la Lombardia circa alla metà del 1592.
Tuttavia, secondo documenti emersi nel 2010 dall’Archivio di Stato di Roma (testimonianza del barbiere Pietropaolo Pellegrino), l’artista non visse stabilmente nella Città eterna almeno fino al 1596, anno nel quale è documentata la sua residenza presso la bottega del pittore siciliano Lorenzo Carli. Tuttavia, i legami stilistici con la grande scuola veneta di Giorgione, Tiziano e Tintoretto sarebbero ancor più facilmente spiegabili, anche se occorre precisare che il suo stile avrebbe potuto risentire in ogni caso degli influssi veneti, poiché il dominio della Serenissima arrivava, all’epoca, fino a Bergamo.
I primi successi a Roma (1594-1606)
La sua presenza a Roma dal 1592 al 1593 non è sostenuta da fonti storiche certe, tuttavia sappiamo che nel 1594 fu sicuramente ospite di monsignor Pandolfo Pucci da Recanati, da lui soprannominato monsignor Insalata, per via dell’unico alimento che gli forniva. Secondo le fonti Caravaggio dipingeva ritratti e copie di devozione. Nel periodo 1595-1596 cominciò ad entrare nell’ambiente artistico romano, dove conobbe il già noto pittore messinese Lorenzo Carli, all’epoca con una bottega in via della Scrofa, e dove il giovane Merisi trovò lavoro e soggiorno. Grazie a lui, conobbe a sua volta il giovane siciliano Mario Minniti, che diventerà uno dei suoi più cari amici almeno fino agli inizi del XVII secolo, quando il Minniti fece ritorno in Sicilia. Lasciata la bottega del Carli, dedicata a fasce più modeste di mercato, ebbe un breve sodalizio con Antiveduto Gramatica, quindi frequentò, per alcuni mesi, la bottega del pittore Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, uno dei maggiori esponenti del tardo manierismo. Per una breve malattia, Merisi fu ricoverato all’ospedale della Consolazione, interrompendo così il rapporto con il Cesari. In questo periodo probabilmente, Caravaggio fu impiegato come esecutore di nature morte e di parti decorative di opere più complesse, ma non se ne ha testimonianza certa. Un’ipotesi, priva di riscontri, è che Caravaggio possa aver realizzato i festoni decorativi della cappella Olgiati, nella basilica di Santa Prassede a Roma, cappella poi affrescata dallo stesso Cavalier d’Arpino.
L’amicizia con il cardinal Del Monte
Dimesso dal ricovero, grazie al suo amico pittore Costantino Spata, nel 1597 Merisi conobbe il cardinal Francesco Maria del Monte, grandissimo uomo di cultura e appassionato d’arte che, incantato dalla sua pittura, gli acquistò alcuni quadri, tra i quali il famosissimo I bari. Il giovane lombardo entrò quindi al suo servizio, rimanendovi per circa tre anni.
La fama dell’artista cominciò a salire all’interno dei più importanti salotti dell’alta nobiltà romana. L’ambiente fu scosso dalla sua pittura rivoluzionaria, immediatamente al centro di discussioni e accese polemiche. Grazie alle commissioni del suo influente e illuminato prelato, Caravaggio mutò il proprio stile, abbandonando le tele di piccole dimensioni e i singoli ritratti e cominciando a dedicarsi alla realizzazione di opere complesse, con gruppi di più personaggi descritti in episodi specifici. Uno dei primi lavori di questo periodo è il Riposo durante la fuga in Egitto. Nel giro di pochi anni la sua fama crebbe moltissimo e Caravaggio divenne un mito vivente per un’intera generazione di pittori, che ne esaltò stile e tematiche.
Le opere romane dal 1599 in poi
Nel 1599 Caravaggio, grazie all’aiuto del cardinale Francesco Maria del Monte, ricevette la prima commissione pubblica per tre grandi tele da collocare all’interno della cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma. I dipinti che Caravaggio doveva realizzare riguardavano episodi tratti dalla vita di san Matteo: la Vocazione e il Martirio. In meno di un anno il pittore concluse le due opere che gli aprirono il successo, così che ebbe immediatamente altri importanti incarichi. Dapprima da parte del commerciante Fabio Nuti, per un quadro identificato nella Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Palermo, a lungo ritenuta dipinta in Sicilia nel 1609. Quindi, per la basilica di Santa Maria del Popolo. Per ordine del monsignor Tiberio Cerasi, che aveva acquistato una cappella in questa chiesa (la cappella Cerasi, appunto), gli furono commissionati due dipinti: la Crocefissione di san Pietro e la Conversione di san Paolo. Contemporaneamente Francesco Contarelli (nipote o figlio illegittimo di Matteo Contarelli) nel 1602 gli chiese la realizzazione di una terza tela per San Luigi dei Francesi: San Matteo e l’angelo. Il pittore, nonostante conoscesse bene il gusto dei suoi committenti, scelse soggetti popolari, che esprimessero in una dimensione reale e drammatica lo svolgersi degli eventi, rappresentando i valori spirituali della corrente pauperista all’interno della Chiesa cattolica.
Il marchese Giustiniani, ricco banchiere genovese nel giro della corte pontificia (oltre che vicino di casa del cardinal Del Monte, visto che a Roma abitava in palazzo Giustiniani con il fratello cardinal Benedetto Giustiniani), fu protettore di Caravaggio per molti anni; collezionò moltissime sue opere e contribuì grandemente alla formazione culturale del pittore. In più di un’occasione, grazie alle sue ramificate influenze, riuscì a salvarlo dalle gravi questioni legali nelle quali era spesso implicato per colpa di un’indole aggressiva.
Un’altra opera comunemente ed erroneamente ritenuta rifiutata è la prima versione della Conversione di San Paolo, dipinta su legno di cipresso per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Come dimostrato da Luigi Spezzaferro, la pala non fu rifiutata ma sostituita con l’attuale in seguito a nuovi accordi intervenuti tra l’artista e gli eredi del committente Tiberio Cerasi.
I guai con la legge e l’omicidio Tommasoni
Durante il soggiorno presso palazzo Madama, dimora del cardinal Del Monte, il 28 novembre del 1600 Merisi malmenò e percosse con un bastone Girolamo Stampa da Montepulciano, un nobile ospite del prelato: ne seguì una denuncia. Gli episodi di risse, violenze e schiamazzi andarono via via aumentando; spesso il pittore fu arrestato e condotto nelle carceri di Tor di Nona.
Non sarebbe comunque stato quello il primo guaio con la legge per il turbolento artista. Il Bellori sostenne che, intorno al 1590-1592, Caravaggio, già distintosi per risse tra bande di giovinastri, commise un omicidio a causa del quale fuggì da Milano prima per Venezia, poi per Roma. Il suo arrivo nella città papale sarebbe stato dunque la conseguenza di una fuga.
Nel 1601 fu rilasciato dal carcere, tornando a dipingere dapprima la Cattura di Cristo e poi Amor vincit omnia. Nel 1603 fu nuovamente processato, questa volta per la diffamazione di un altro pittore, Giovanni Baglione, che querelò sia Caravaggio sia i suoi seguaci Orazio Gentileschi e Onorio Longhi, colpevoli di aver scritto rime offensive nei suoi confronti. Grazie all’intervento dell’ambasciatore francese, Merisi, condannato al processo, fu liberato e trasferito agli arresti domiciliari, seppur per poco (aveva scontato già un mese di carcere a Tor di Nona).
Tra il maggio e l’ottobre del 1604 il pittore fu arrestato varie volte per possesso d’armi e ingiurie alle guardie cittadine; inoltre, fu querelato da un garzone d’osteria per avergli tirato in faccia un piatto di carciofi.
Nel 1605 fu costretto a scappare a Genova per circa tre settimane, dopo aver ferito gravemente un notaio, Mariano Pasqualone di Accumoli, a causa di Lena, amante e modella di Caravaggio. L’intervento dei protettori dell’artista riuscì a insabbiare l’accaduto anche se, al ritorno a Roma, il pittore fu querelato da Prudenzia Bruni, sua padrona di casa, per non aver pagato l’affitto; per ripicca, Merisi prese nottetempo a sassate la sua finestra, finendo nuovamente querelato. Nel novembre dello stesso anno il pittore fu degente per una ferita, che egli sostenne essersi procurato cadendo sulla propria spada.
Il fatto più grave però si svolse a Campo Marzio, la sera del 28 maggio 1606 (anno successivo all’elezione di papa Paolo V, zio di Scipione Borghese, grande estimatore di Caravaggio): a causa di una discussione causata da un fallo nel gioco della pallacorda (una sorta di tennis) il pittore fu ferito e, a sua volta, ferì mortalmente il rivale, tal Ranuccio Tommasoni da Terni, con il quale aveva avuto già in precedenza discussioni spesso sfociate in risse. Anche questa volta c’era di mezzo una donna, Fillide Melandroni, le cui grazie erano contese da entrambi. Probabilmente dietro l’assassinio di Ranuccio c’erano anche questioni economiche, forse qualche debito di gioco non pagato dal pittore, o addirittura questioni politiche: la famiglia Tommasoni infatti, era notoriamente filo-spagnola, mentre Michelangelo Merisi era un protetto dell’ambasciatore di Francia.
Il verdetto per il delitto di Campo Marzio fu severissimo: Caravaggio fu condannato alla decapitazione, che poteva esser eseguita da chiunque lo avesse riconosciuto per strada. Nei suoi dipinti cominciarono ossessivamente a comparire teste mozzate, e il suo macabro autoritratto prendeva spesso il posto del condannato.
Degli autoritratti di come fosse effettivamente il reale volto del pittore, forse uno dei più verosimili resta quello di un fuggitivo nella sua scena del “Martirio di san Matteo”. Tuttavia il ritratto più noto del Merisi rimane quello a opera di Ottavio Leoni, che lo conobbe personalmente ma lo eseguì almeno 11 anni dopo la morte. Il Leoni ritrasse anche Galileo Galilei, contemporaneo del Merisi, nel 1624; alcuni hanno riconosciuto, in quest’ultimo, la grande somiglianza con il Pilato nella celebre tela Ecce Homo di Caravaggio del 1601.
La fuga da Roma
La permanenza in città non era praticamente più possibile: ad aiutare Caravaggio a fuggire fu il principe Filippo I Colonna che gli offrì asilo all’interno di uno dei suoi feudi laziali di Marino, Palestrina, Zagarolo e Paliano. Il nobile romano mise in atto una serie di depistaggi, con l’aiuto di altri componenti della sua famiglia, che testimoniarono la presenza del pittore in altre città, facendone così perdere le tracce.
Il primo periodo napoletano.
Alla fine del 1606, Caravaggio giunse a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, dove rimase circa un anno.
La fama del pittore era ben nota. I Colonna lo raccomandarono a un ramo collaterale della famiglia residente a Napoli: i Carafa-Colonna. Qui il Merisi visse un periodo felice e prolifico, realizzando diverse opere. Dei molti dipinti eseguiti durante il primo periodo napoletano, solo due sono ancora in città.
Il primo è il suggestivo Sette opere di Misericordia (1606-1607), uno dei lavori più importanti del Caravaggio. Le “sette opere di Misericordia corporali” sono condensati in un’unica scena. Questo aspetto fu di grande stimolo per la pittura barocca partenopea successiva e il passaggio del Merisi a Napoli, infatti, diede luogo alla nascita di molti esponenti caravaggeschi tra i pittori locali.
L’altro dipinto rimasto a Napoli, ovvero una seconda versione della Flagellazione di Cristo, fu eseguito tra il 1607 e il 1608 per la chiesa di San Domenico Maggiore e poi spostato al museo di Capodimonte.
Il soggiorno a Malta e in Sicilia
Nel 1607 Michelangelo Merisi partì per Malta, sempre per intercessione dei Colonna, e qui entrò in contatto con il gran maestro dell’ordine dei cavalieri di san Giovanni, Alof de Wignacourt, cui il pittore fece anche un ritratto. Il suo obiettivo era diventare cavaliere per ottenere l’immunità, poiché su di lui pendeva ancora la condanna alla decapitazione. Dopo un anno di noviziato, il 14 luglio 1608 Caravaggio fu investito della carica di “cavaliere di grazia”, rango inferiore rispetto ai “cavalieri di giustizia” di origine aristocratica. Anche qui ebbe dei problemi: fu arrestato per un duro litigio con un cavaliere del rango superiore e perché si venne a sapere che su di lui pendeva una condanna a morte. Fu rinchiuso nel carcere di Sant’Angelo a La Valletta, il 6 ottobre: riuscì incredibilmente a evadere e a rifugiarsi in Sicilia, a Siracusa. Il 6 dicembre i cavalieri espulsero con disonore Caravaggio dall’ordine: «Come membro fetido e putrido».
A Siracusa, Caravaggio fu ospite di Mario Minniti, l’amico, conosciuto durante gli ultimi anni romani. Nella città siciliana s’interessò molto all’archeologia, studiandone i reperti ellenistici e romani: durante una visita assieme allo storico Vincenzo Mirabella coniò il nome “orecchio di Dionigi” per descrivere la “Grotta delle Latomie”. Durante questo soggiorno dipinse, per la Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, una pala d’altare raffigurante il Seppellimento di santa Lucia (la patrona della città siciliana), la cui ambientazione sembra proprio quella delle grotte da lui ammirate.
A Messina dipinse la Resurrezione di Lazzaro, tetra incompiuta e cimiteriale rappresentazione, la cui parte centrale è occupata dal corpo di Lazzaro spasmodicamente teso nel gesto del braccio verso la luce, e l’Adorazione dei pastori.
Il secondo periodo napoletano
Alla fine dell’estate del 1609 Caravaggio tornò a Napoli. Qui, probabilmente in ottobre, affrontato con violenza da alcuni uomini al soldo del suo rivale maltese, all’uscita della Locanda del Cerriglio (nei pressi di via Monteoliveto), rimase sfigurato e cominciò a circolare la notizia della sua morte. La fase creativa del suo secondo periodo napoletano è ricostruita dagli storici con molte congetture: dipinse sicuramente il San Giovanni Battista disteso (1610) appartenente a una collezione privata a Monaco di Baviera, la Negazione di san Pietro, il San Giovanni Battista e il Davide con la testa di Golia, quest’ultimo molto importante dal punto di vista storiografico in quanto raffigurante un autoritratto del Caravaggio nella testa mozzata, sorte dalla quale il Merisi tentava da anni di fuggire.
Ancora al periodo di Napoli sono da attribuire i due quadri con medesimo soggetto: la Salomè con la testa del Battista, che il pittore avrebbe dovuto recapitare ai Cavalieri dell’Ordine, e la Salomè con la testa del Battista a Madrid, cominciata durante il primo periodo napoletano.
Poi vi furono tre tele per la chiesa di Sant’Anna dei Lombardi di Napoli, il San Francesco che riceve le Stimmate, il San Francesco in meditazione e una Resurrezione (quest’ultima nota oggi attraverso una copia di Louis Finson ad Aix en Provence), tutte perdute durante il terremoto del 1805 che causò il crollo di una parte dell’edificio.
Infine, dipinse il Martirio di sant’Orsola (1610) per Marcantonio Doria, oggi conservato nel palazzo Zevallos di Napoli. Questo è considerato l’ultimo dipinto di Caravaggio.
Ultimi giorni di vita
Da Roma gli fu inviata la notizia che papa Paolo V stava preparando una revoca della condanna a morte. Da Napoli quindi, dove abitava presso la marchesa Costanza Colonna nel palazzo Cellammare, si mise in viaggio nel luglio 1610 con una feluca-traghetto che, settimanalmente, navigava verso Porto Ercole (oggi frazione del promontorio di Monte Argentario, in Toscana) e ritorno, ma diretto segretamente allo scalo portuale di Palo di Ladispoli, sotto il feudo degli Orsini, in territorio papale, luogo distante circa 40 km da Roma. In quel feudo avrebbe atteso, in tutta sicurezza, il condono papale prima di ritornare, da uomo libero, nella Città eterna.
L’ipotesi più certa racconta che l’arrivo a Palo di Ladispoli, disatteso dalla sorveglianza costiera, ne causò il suo fermo per accertamenti. Tuttavia la feluca, non potendo aspettare, sbarcò il Merisi e continuò la rotta a nord, presso Porto Ercole, dove effettivamente doveva giungere, tuttavia portandosi dietro il bagaglio dell’artista. Quelle casse però, contenevano anche il prezzo concordato dal Merisi col cardinale Scipione Borghese per la sua definitiva libertà, ed in particolare tre sue tele: una “Maria Maddalena in estasi”, che dopo la sua morte fu invece restituita alla marchesa Colonna, un “San Giovanni Battista” (conosciuto anche come il “Buon Pastore”), questo successivamente consegnato a Scipione Borghese, quindi un altro “San Giovanni Battista disteso”‘ ora conservato in una collezione privata. Il bagaglio, letteralmente vitale, andava assolutamente recuperato: la versione ufficiale affermerebbe che gli Orsini gli avrebbero offerto un’imbarcazione per raggiungere Porto Ercole, e recuperare quindi il prezioso carico. L’artista quindi raggiunse Porto Ercole via mare, approdando lungo la spiaggia del tombolo della Feniglia, ma non è chiaro se la precedente feluca-traghetto stesse invece già ritornando a Napoli, coi suoi bagagli a bordo.
Provato, affaticato e malato di febbre alta, probabilmente a causa di un’infezione intestinale trascurata, restò a Porto Ercole, quindi curato inutilmente nel sanatorio Santa Maria Ausiliatrice della allora Confraternita locale di Santa Croce, che alloggiava presso il retro della chiesetta di Sant’Erasmo, situata nel borgo alto, e che assistette al suo decesso, a soli 38 anni, il 18 luglio 1610.
Attività artistica
Il suo realismo nasce dall’etica religiosa instaurata da Carlo Borromeo: non consiste nell’osservare e copiare la natura ma nel rifiutare le convenzioni, nel puntare sul vero rinunciando alla ricerca del “bello”, nel rinunciare all’invenzione per puntare sui fatti. Quanto alla morte: «il pensiero della morte è dominante nel Caravaggio, come già in Michelangelo Buonarroti. Ma per Michelangelo la morte era liberazione e sublimazione, per il Caravaggio è soltanto la fine, l’enigma della tomba». La religiosità di Caravaggio trova riscontro nell’impulso dato da alcuni settori della Controriforma cattolica (San Filippo Neri, Sant’Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo) alla pratica di culto rivolta a più ampi strati popolari.
Stile pittorico
La particolare tecnica pittorica di Caravaggio fu il suo successo. Fino al suo inizio nella pittura, lo stile di molti artisti era legato a un metodo basato prevalentemente sullo studio dell’arte classica, con forti influssi derivati dai protagonisti del rinascimento italiano. Su tutti le figure di Michelangelo e Raffaello, nell’Italia centrale, mentre nel Settentrione la pittura si rifaceva soprattutto a Tiziano, Correggio e Leonardo.
La rivoluzione di Caravaggio sta nel naturalismo, espresso nei soggetti e nelle atmosfere nei quali la capacità di dare a un corpo una forma tridimensionale è evidenziata dalla particolare illuminazione che teatralmente sottolinea i volumi dei corpi che escono improvvisamente dal buio della scena. Sono pochi i quadri nei quali il pittore lombardo dipinge lo sfondo, che passa in secondo piano rispetto ai soggetti, i soli protagonisti della sua opera. Per la realizzazione dei suoi dipinti, Caravaggio nel suo studio posizionava lanterne in modo che i modelli fossero illuminati solo in parte e a luce radente: con questo artificio, faceva emergere da uno sfondo scuro solo specifiche porzioni della scena dipinta, che acquistano in tal modo un rilievo quasi scultoreo.
Nell’opera del pittore sono evidenti dunque forti contrasti di luci e ombre. La luce plasma le figure, determina ambienti e situazioni ed è concepita o come apparizione simbolica (essa è “Grazia” nella Vocazione di San Matteo in San Luigi dei Francesi) o come fatto drammatico nell’intensità dei gesti dei personaggi (Martirio di San Matteo nella medesima chiesa romana). Nella pittura caravaggesca il valore materico-percettivo della luce si fonde con quello teologico-mistico.
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