POSTE ITALIANE 6^ EMISSIONE DEL 12 marzo 2021 di un francobollo commemorativo di Giovanni Agnelli, nel centenario della nascita
Il Ministero dello Sviluppo con le Poste Italiane emette il 12 marzo 2021 un francobollo commemorativo di Giovanni Agnelli, conosciuto anche come Gianni, nel centenario della nascita, relativo al valore della tariffa B, corrispondente ad €1.10.
- data: 12 marzo 2021
- dentellatura: 11
- stampa: rotocalcografia
- tipo di carta: carta bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente
- colori: quadricomia
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura: 300.000
- dimensioni: 40 x 30 mm
- valore: B = €1.10
- bozzettista: a cura del Centro Filatelico della Direzione Operativa dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A.
- num. catalogo: Michel_4283 YT _4043 UNIF 4126
- La vignetta: riproduce sullo sfondo dello Stabilimento Fiat Mirafiori, un ritratto di Giovanni Agnelli, , affiancato dalla sua firma autografa. Completano il francobollo la leggenda “GIOVANNI AGNELLI”, le date “1921 – 2003” , la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
Se sei interessato all’acquisto di questo francobollo lo puoi acquistare al prezzo di € 1.50 inviandomi una richiesta alla mia: email:protofilia1@gmail.com
Gianni Agnelli, all’anagrafe Giovanni Agnelli (Torino, 12 marzo 1921 – Torino, 24 gennaio 2003), è stato un imprenditore e politico italiano, principale azionista e amministratore al vertice della FIAT, senatore a vita, nonché ufficiale del Regio Esercito. Era anche noto come “l’Avvocato” per via del suo titolo di studio, la laurea in giurisprudenza, anche se, non avendo mai sostenuto l’esame da procuratore, il titolo non gli competeva. Fu per molti anni sindaco di Villar Perosa.
Biografia
Famiglia
Figlio di Edoardo e di Virginia Bourbon del Monte, nacque a Torino nella casa di famiglia in corso Oporto (ora corso Matteotti). Il nonno era il senatore Giovanni Agnelli, fondatore insieme ad altri della FIAT. Il padre Edoardo morì tragicamente in un incidente aereo quando Gianni aveva 14 anni. Riprese il nome del nonno, cui tutti si riferivano come «il Senatore». Sposò nel 1953, a Strasburgo, nel castello di Osthoffen, Marella Caracciolo dei Principi di Castagneto, dalla quale ebbe due figli, Edoardo e Margherita.
Fu educato secondo un modello altoborghese con fitte frequentazioni nel mondo dell’aristocrazia, favorite dal legame con i principi di Piemonte, nei canoni di rigido formalismo del costume dell’epoca, che voleva i figli delle famiglie di maggior rango affidati alle cure di istitutrici straniere e di precettori privati, seppure talvolta anticonformisti e di prestigio intellettuale come Franco Antonicelli.
Gioventù
A Torino frequenta il Liceo classico Massimo d’Azeglio, dove consegue la licenza liceale nel 1938. In quello stesso anno intraprende un viaggio negli Stati Uniti, dove visita New York, Detroit e Los Angeles. Rientra in Italia fortemente impressionato dagli Stati Uniti – dove tutto gli pareva contrassegnato da dimensioni imponenti, al punto da ricondurre in seguito a quella prima impressione il marcato occidentalismo e filoamericanismo della maturità – e rafforzato nell’idea, già instillatagli dal nonno, che la civiltà e la potenza americane fossero fuori del raggio delle nazioni europee.
Durante il periodo bellico nel 1940 segue il corso per ufficiale di complemento presso la Scuola di Applicazione di Cavalleria di Pinerolo. Con il grado di sottotenente viene arruolato nel 1º Reggimento “Nizza Cavalleria” e inviato con il CSIR come addetto al comando sul fronte russo. Rientrato in Italia alla fine del 1941, nel gennaio 1942 viene aggregato al Reggimento Cavalleggeri di Lodi e assegnato al comando di uno squadrone autoblindo, con il quale viene inviato a Tripoli il 23 novembre 1942, poche settimane prima della conquista di Tripoli da parte dell’Ottava Armata britannica. Partecipa alla Campagna di Tunisia, dove è insignito della Croce di guerra al valor militare il 14 febbraio 1943. Su richiesta del nonno viene rimpatriato il successivo 29 aprile, sbarcando in Sicilia.
Il dopoguerra
Al termine del 1946, a quasi un anno dal decesso del nonno, Vittorio Valletta, divenuto dominus indiscusso dell’azienda, ebbe un colloquio con il giovane successore del defunto senatore per decidere delle sorti dell’azienda. Il sessantatreenne manager, pose al nuovo proprietario questo dilemma: «Esistono solo due possibilità: o il presidente della Fiat lo fate voi o lo faccio io», al quale il giovane Agnelli rispose: «Ma di certo voi, professore». Con questa risposta il “professore” si è guadagnato la sua autonomia manageriale e il giovane erede la sua libertà di godersi la giovinezza, seguendo un consiglio che gli avrebbe dato lo stesso nonno: «Prenditi qualche anno di libertà prima di immergerti nelle preoccupazioni dell’azienda». In seguito, comunque, Valletta lamenterà, più volte, l’eccessiva latitanza del principale azionista dall’impegno aziendale.
Intanto, già nel 1947, Gianni Agnelli diviene presidente della squadra di calcio che il padre Edoardo aveva portato al ruolo di “prima donna” nel calcio italiano: la Juventus, squadra cui sarà affezionato per tutta la vita. Viaggia in continuazione in tutto il mondo, frequentando i luoghi più mondani d’Europa, le persone più famose del jet-set internazionale: attrici, principi, magnati, uomini politici tra cui John Fitzgerald Kennedy, allora Senatore democratico e i banchieri David D. Rockefeller e André Meyer.
Intreccia numerose relazioni sentimentali, delle quali solo una, peraltro piuttosto burrascosa, farebbe pensare a un legame stabile: è il rapporto con Pamela Digby (1920 – 1997), già Pamela Digby-Churchill, ex nuora di Winston Churchill. Al termine di questa relazione, nell’estate del 1952, Gianni è vittima di un terribile incidente d’auto: correndo da Torino verso Monte Carlo, si schianta contro un autocarro. Lo estraggono dalle lamiere piuttosto malconcio, la gamba destra è nuovamente, seriamente ferita e per la seconda volta rischia l’amputazione. La gamba sarà operata più volte, ma una complessa protesi gli consentirà di continuare a praticare uno dei suoi sport preferiti: lo sci (e sarà proprio sciando che se la romperà per la terza volta nel 1987). Supera l’incidente abbastanza bene, tuttavia rimarrà leggermente, ma visibilmente, claudicante per tutta la vita.
Nel 1953 sposa la principessa Marella Caracciolo di Castagneto, appartenente a un’antica nobile famiglia di origini napoletane. Nel 1959 diviene presidente dell’Istituto Finanziario Industriale (IFI), una società finanziaria pura che è una delle casseforti di famiglia e che assieme all’IFIL, altra cassaforte di famiglia, controllano la Fiat. Diventa inoltre Amministratore Delegato della stessa Fiat nel 1963, una carica che deve condividere con Gaudenzio Bono, un “vallettiano” a tutto tondo, e in ogni caso il timone dell’azienda automobilistica rimane per ora nelle mani del “professore” sempre presidente.
La presidenza della FIAT
Anni sessanta
Il 30 aprile 1966, l’ormai ultraottantenne presidente FIAT Vittorio Valletta propose, quale suo sostituto, il nome di Gianni Agnelli all’Assemblea Generale degli Azionisti, che ne deliberò l’approvazione, restituendo il timone aziendale alla famiglia Agnelli, dopo oltre 20 anni di presidenza Valletta. Il nuovo assetto dirigenziale, naturalmente, teneva conto dell’inesperienza di Agnelli, mantenendo Valletta quale delegato speciale per i programmi produttivi, i rapporti con le maestranze e le iniziative estere, mentre Gaudenzio Bono assumeva le cariche di amministratore delegato unico e direttore generale.
Insediatosi al timone della Fiat all’età di 45 anni, dopo avervi svolto praticamente solo ruoli di rappresentanza, Gianni Agnelli si trovò dinnanzi a due problemi. Il primo riguardava l’esecuzione dell’accordo con l’Unione Sovietica per la costruzione di uno stabilimento presso una cittadina sul Volga (che verrà chiamata Togliatti), per il quale la Fiat doveva fornire all’Autoprominport (l’ente sovietico preposto) lo stabilimento “chiavi in mano” e il know-how per la produzione. Il contratto era stata l’ultima opera di Valletta e la morte di questi, avvenuta nel 1967, rischiava di renderne difficoltosa l’attuazione, ma la gestione non si presentò particolarmente onerosa: i sovietici rispettarono i termini stabiliti e tutto procedette secondo il programma stabilito.
Il secondo problema è assai più grave. Venendo incontro al presidente dell’Alfa Romeo Giuseppe Luraghi, che da anni va predicando l’impossibilità di far quadrare i conti aziendali senza un’adeguata “massa critica” di volumi produttivi (e cogliendo l’occasione di aprire un grosso stabilimento al Sud), il governo italiano ha deciso di finanziare l’Alfa per la costruzione di uno stabilimento nell’Italia meridionale, ove si produca un modello di autovettura di livello medio, nella stessa fascia di mercato, più o meno, della Fiat 128, che verrà lanciata di lì a poco.
Secondo Gianni Agnelli, nell’orticello del mercato italiano dell’auto di fascia bassa e media, concupito già dalle concorrenti europee grazie alla graduale riduzione dei dazi all’interno della CEE, non c’è spazio per un altro concorrente italiano, specialmente se questo può contare sui finanziamenti a carico del contribuente. Ma tutti i tentativi per contrastare a livello politico questo progetto falliscono; la sede designata è Pomigliano d’Arco, un paese a pochi chilometri da Napoli, ove già operano la piccola Alfa Motori Avio, e l’Aerfer, azienda parastatale di medie dimensioni, che produce parti di velivoli commerciali per conto di grosse aziende americane (che verrà poi incorporata in Aeritalia, divenuta successivamente Alenia). Per trovare i quadri tecnici intermedi in numero sufficiente a far funzionare lo stabilimento, la neonata Alfasud non può che rivolgersi alla FIAT, cui sottrae questi personaggi offrendo loro stipendi di entità superiore rispetto a quelli dell’azienda torinese.
Analogamente si procede con la cosiddetta Fiat Velivoli, specializzata in fabbricazione di aerei, prevalentemente di uso militare, spesso su licenza di grosse aziende estere, che viene aggregata all’Aerfer di Pomigliano d’Arco, nella società a partecipazione statale Aeritalia (divenuta molti anni dopo Alenia). La partecipazione Fiat rimarrà solo un fatto finanziario, poiché il controllo operativo è di Finmeccanica: il restante 50% delle azioni verrà definitivamente alienato da Fiat nel 1975. Così va anche per altre realtà minori.
Nel 1969 la Ferrari cede alla Fiat il controllo della sua casa di auto sportive: il reparto corse resterà gestito per molti anni ancora dall’ing. Ferrari. Il primo febbraio del 1970 viene acquisita dalla famiglia Pesenti, a un prezzo simbolico di un milione di lire, la Lancia, glorioso marchio di auto di prestigio (era detta “la Mercedes italiana”) fondata a Torino da Vincenzo Lancia nel 1907, ormai in stato di quasi insolvenza.
Il sogno di Gianni Agnelli è l’internazionalizzazione della FIAT. Due anni dopo l’assunzione della guida della Fiat, Gianni Agnelli concorda con François Michelin, proprietario del pacchetto di controllo della Citroën, che si trova in cattive acque, l’acquisto della partecipazione con l’intenzione di giungere successivamente al controllo totale della casa automobilistica francese, progetto che non riesce a portarlo a termine per incomprensioni.
Alla fine, quattro anni dopo, il sogno s’infrange e Gianni Agnelli dovrà rinunciare alla sua internazionalizzazione, almeno attraverso questa via, e la quota Fiat viene ceduta alla Peugeot. L’Avvocato ripiega, sperimentando altre vie, verso un altro modello di internazionalizzazione che passerà attraverso gli stabilimenti Zastava per la produzione del mod. 128 (Jugoslavia) e Tofaş per la produzione del mod. 124 (Turchia). Già presente sul mercato polacco con la fabbricazione del mod. 125, il 29 ottobre 1971, la Fiat sigla un importante contratto di licenza e collaborazione industriale con la Pol-Mot. Ne segue, presso gli stabilimenti F.S.M. di Tychy, la produzione su larga scala della Fiat 126. Il modello, prodotto alla media di oltre mille vetture al giorno, contribuì notevolmente alla motorizzazione dell’intera Polonia e dei mercati d’oltre cortina. Poco dopo verrà decisa l’avventura di una produzione oltre oceano: creare uno stabilimento in Brasile (Belo Horizonte nello stato di Minas Gerais) ove si produrrà inizialmente la 127, opportunamente modificata per quel mercato (il nome del modello brasiliano sarà 147). L’ambizioso progetto di Giovanni Agnelli, per rendere noto al mondo il marchio FIAT, si realizza nel giro di una decina d’anni con le unità produttive presenti su 4 continenti:
- Europa – Italia (Fiat, Lancia, Autobianchi, Ferrari), Spagna (Seat), Jugoslavia (Zastava), Polonia (F.S.M.).
- Sud America – Brasile (Automoveis), Argentina (Concorde).
- Asia – Turchia (Tofas).
- Africa – Piccole unità produttive in Egitto e Sud Africa.
Non sono trascorsi che tre anni dal suo insediamento al vertice della FIAT, che Gianni Agnelli deve affrontare un problema piuttosto difficile: il rinnovo del contratto di lavoro dei metalmeccanici (1969). La vertenza procede per tutta la prima metà dell’anno più o meno aspramente rispetto alle volte precedenti, ma all’inizio di settembre le cose cambiano radicalmente ed emergono nuove, inattese, forme di sciopero: incomincia quello che verrà subito battezzato autunno caldo.
Dal punto di vista del business le cose vanno bene: la crisi economica del 1964 è ormai superata, la richiesta di autovetture è in continuo aumento, tanto che la Fiat non riesce a soddisfarla e i tempi di consegna si allungano. Proprio in quest’autunno entra in funzione lo stabilimento di Rivalta di Torino, ove si provvederà al montaggio della nuova media cilindrata (per quei tempi), la 128, destinata a prendere il posto della famosa 1100 (mod. 103). È un’auto dalla linea moderna e accattivante, il prezzo è contenuto e piace subito, ma per averla bisogna attendere fino a nove mesi.
Anni settanta
Nella prima metà degli anni settanta Gianni Agnelli deve affrontare la prima grossa crisi della Fiat, la più grande forse a partire dalla prima guerra mondiale: l’autofinanziamento non è più possibile (l’investimento brasiliano ha pesato non poco e i primi risultati sono deludenti), le vendite di auto in Italia calano e la concorrenza straniera, grazie alla piena attuazione del Trattato di Roma in materia di barriere doganali nell’Europa, si fa sempre più agguerrita, erodendo alla Fiat quote crescenti di mercato) e la Fiat non può più fare a meno, come è stato fino a quel momento, di ricorrere massicciamente al credito.
Viene assunto in quel periodo un nuovo responsabile della finanza aziendale: Cesare Romiti (autunno del 1974) che raggiungerà nel quasi quarto di secolo di permanenza in Fiat, il massimo vertice. Auspice Romiti, Gianni Agnelli trasforma la Fiat S.p.A. da un’azienda industriale in una holding finanziaria. Da questa dipenderanno tante holding di settore, una per ogni settore produttivo, alle quali saranno sottoposte le rispettive società operative. Il processo dura più di cinque anni e nascono così (citiamo solo quelle di dimensioni maggiori): la Fiat-Allis, settore macchine agricole, l’Iveco, settore veicoli industriali, La Macchine Movimento Terra, la Teksid (fonderie, produzioni metallurgiche e altro). Ultima, ma solo in ordine di tempo, la Fiat Auto (autovetture e veicoli commerciali leggeri).
Separazione secondo il mercato servito e internazionalizzazione. L’avvento di Agnelli al timone della Fiat segna anche una svolta nella politica finanziaria dell’azienda: l’Avvocato si avvicina sempre più alla Mediobanca di Enrico Cuccia (forse anche a seguito delle traversie finanziarie della Fiat e ai buoni rapporti che intercorrono fra Romiti e Cuccia) dalla quale il suo predecessore Valletta si era sempre tenuto a una cortese distanza.
Nel 1976 accadono due nuovi eventi: la meteora De Benedetti e l’alienazione della SAI. Carlo De Benedetti è un giovane imprenditore rampante: ha rilevato l’azienda del padre, ha acquisito, per poco prezzo e per gradi, alcune aziende operanti nel settore della componentistica auto, che non se la passavano bene, e le ha ristrutturate e razionalizzate inserendole nella sua Gilardini, di cui ha il controllo con il 60% delle azioni. Si avvale di diversi collaboratori e inoltre dal 1974 al 1976 è stato presidente dell’Unione Industriale di Torino.
Conosciuto il personaggio (è stato compagno di scuola del fratello Umberto), Gianni Agnelli gli propone di entrare in Fiat come direttore generale accanto a Romiti. Carlo De Benedetti accetta ma a patto di diventare azionista Fiat, cosicché Gianni Agnelli fa acquistare dalla Fiat la Gilardini (azienda il cui fatturato è prevalentemente costituito dalle forniture alla stessa azienda) e la paga con un pacchetto di azioni Fiat pari a circa il 5% del capitale sociale della medesima. De Benedetti, che si è portato dietro alcuni fedelissimi tra i quali il fratello Franco e l’ingegnere Giorgio Garuzzo, inizia un lavoro di sfoltimento del management aziendale. Poi, improvvisamente, a fine agosto, decide di andarsene.
L’altro evento riguarda la Compagnia di assicurazione SAI, di proprietà della famiglia Agnelli. Fondata dal nonno di Gianni negli anni venti per riporci le polizze delle sue aziende e quelle personali, segue lo sviluppo della Fiat giovandosi dell’automatica acquisizione del cliente che acquista a rate l’autovettura con finanziamento SAVA (la società della Fiat che fornisce il credito alla clientela). Rientrerà di fatto nel business assicurativo solo molti anni dopo, acquistando il pacchetto di maggioranza della Toro Assicurazioni dal fallimento del Banco Ambrosiano.
Alla fine del 1976 i problemi finanziari sembrano risolti con la cessione di poco più del 9% del capitale FIAT alla Lafico (Lybian Arab Foreign Investment Company), una banca controllata dal governo libico di Mu’ammar Gheddafi (in dieci anni il socio libico, nel mero ruolo di investitore, arriverà a possedere quasi il 16% del capitale Fiat). La cessione getta un certo sconcerto negli ambienti politici occidentali per le tensioni esistenti tra la Libia di Gheddafi e diversi altri stati, USA in testa.
La crisi si riaffaccia prepotente a fine anni settanta (la quota di mercato della FIAT Auto in Italia, il mercato più importante per l’azienda torinese, è scesa dal quasi 75% del 1968, a meno di due anni dall’esordio di Gianni Agnelli come responsabile attivo dell’azienda, al 51% del 1979, ovvero quasi 25 punti in meno in dieci anni, ma la crisi viene superata grazie alla ottima riuscita di modelli voluti dal nuovo direttore generale di FIAT Auto, Vittorio Ghidella: la Uno e, successivamente, la Croma e la Thema.
Anni ottanta
I conflitti della FIAT di Gianni Agnelli con le forze sindacali italiane rappresentano un esempio delle relazioni tra il mondo degli industriali e i sindacati negli anni ’80.
Uno dei più aspri scontri con il mondo sindacale si risolve in favore degli industriali nel 1980, quando uno sciopero generale, che ha portato al blocco della produzione, (il “blocco” dei cancelli FIAT durò ben 35 giorni) viene spezzato dalla cosiddetta “marcia dei quarantamila”, (dal – supposto – numero di lavoratori “qualificati” che il 14 ottobre dello stesso anno sfilano a Torino reclamando il diritto “di poter andare a lavorare”). Questa azione segna un punto di svolta e una brusca caduta del potere sino ad allora detenuto dai sindacati degli operai in Italia all’interno della FIAT.
Si tratta di un periodo in cui le cose vanno abbastanza bene; l’azienda, grazie al successo ottenuto con i nuovi modelli di cui si è detto e alla riduzione dei costi di produzione ottenuta con una forte spinta all’automazione dei processi produttivi (robotizzazione) che la porta a primeggiare nel mondo in questo campo, produce nuovamente buoni utili per i suoi azionisti e assume anche nuova mano d’opera. A metà degli anni ottanta inizia una trattativa di accordo societario con la Ford Europa ma poi, a trattative già avanzate, l’accordo sfuma (ottobre 1985).
Intanto incomincia a pesare anche in Italia la concorrenza di avversari temibilissimi: i giapponesi.
Anni 2000
Al principio degli anni 2000, Gianni Agnelli, convinto che la Fiat non ce la farà da sola ad affrontare la sfida del mercato mondiale, apre agli americani della General Motors (GM), con i quali conclude un’intesa: la grande azienda statunitense acquista il 20% della Fiat Auto pagandolo con azioni proprie (un aumento di capitale riservato alla Fiat) che valgono in totale circa il 5% dell’intero capitale GM e la Fiat ottiene una clausola put, il diritto esercitabile in questo caso dopo due anni ed entro gli otto successivi, di cedere a GM il rimanente 80% della Fiat Auto a un prezzo da determinarsi con certi criteri predefiniti e che GM sarà obbligata ad acquistare. Sono previste inoltre fusioni fra società costituite da stabilimenti Fiat Auto e stabilimenti Opel, la consociata europea di GM, con sede in Germania.
L’accordo si rompe cinque anni dopo (sia FIAT che GM si trovano in grosse difficoltà) con un risultato opposto a quanto ipotizzato originariamente: non è la Fiat Auto che viene interamente ceduta a GM, bensì è GM che paga per evitare l’esercizio del diritto di cessione (clausola put) da parte Fiat, cedendo a quest’ultima anche le quote GM di Fiat Auto. Le società operative miste, già costituite e operanti, vengono sciolte e ognuno si riprende la sua parte, anche se GM mantiene i diritti di produzione dei motori MultiJet, che saranno montati su tutta la gamma GM e costruiti in un apposito stabilimento GM-Powertrain a Tychy, in Polonia. La crisi economica del settore auto del Gruppo Fiat trova Agnelli già in lotta contro il tumore ed egli può partecipare ormai solo in maniera limitata allo svolgersi degli eventi.
La morte Il 24 gennaio 2003 Gianni Agnelli muore, all’età di 81 anni, a Torino nella sua storica residenza collinare Villa Frescòt (al confine con Pecetto Torinese) per carcinoma della prostata. La camera ardente viene allestita nella Pinacoteca del Lingotto, secondo il cerimoniale del Senato. Il funerale, si svolge nel Duomo di Torino, seguito da un’enorme folla. La moglie, con una lettera aperta al direttore del quotidiano La Stampa ringrazierà poi tutte le figure nazionali e internazionali e tutti i cittadini presenti. È sepolto nella monumentale cappella di famiglia presso il piccolo cimitero di Villar Perosa
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