POSTE ITALIANE 37-38-39 e 40^ emissione del 20 Settembre 2020 di un foglietto con n.4 francobolli celebrativi della Breccia di Porta Pia, nel 150° anniversario
POSTE ITALIANE 37-38-39 e 40^ emissione del 20 Settembre 2020 di un foglietto con n.4 francobolli celebrativi della Breccia di Porta Pia, nel 150° anniversario.
Il Ministero dello Sviluppo con le Poste Italiane emette il 20 settembre 2020 un foglietto con n.4 francobolli celebrativi della Breccia di Porta Pia, nel 150° anniversario, relativi al valore della tariffa A, corrispondenti ad € 2.80 cadauno.
- data: 20 settembre 2020
- dentellatura: 11
- stampa: rotocalcografia
- tipo di carta; carta bianca patinata neutra -autoadesiva non fluorescente
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura foglietto: 200.000
- tiratura francobolli: ognuno 200.000
- dimensioni francobollo: 30 x 40 mm
- dimensione foglietto: 235 x 146,6 mm
- contenuto foglietto: 4 francobolli
- valore: A= €2.80
- bozzettista: Maria Carmela Perrini
- vignetta: i quattro francobolli, inseriti in verticale in un foglietto, raffigurano, rispettivamente dall’alto in basso:
- sullo sfondo del tricolore italiano, copia custodita nel Museo Storico dei Bersaglieri del monumento al Bersagliere di Publio Morbiducci esposta nel piazzale antistante Porta Pia;
- la facciata interna di Porta Pia;
- il logo del Raduno dei Bersaglieri del 2020 a Roma realizzato in occasione del 150° anniversario della Breccia di Porta Pia;
- l’opera pittorica “I Bersaglieri” di Michele Cammarano conservato nella Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma.
Completano i francobolli la leggenda “150 ANNI DELLA “BRECCIA DI PORTA PIA””, la scritta “ITALIA” e il valore tariffario “A”.
Caratteristiche del foglietto:
riproduce il dipinto “La breccia di Porta Pia” di Carel Max Quaedvlieg (Collezioni Apolloni, Roma). Completano il foglietto le leggende “BRECCIA DI PORTA PIA” e “ROMA 1870”
- num. catalogo foglietto: Michel______ YT _______ UNIF BF102
- num. catalogo francobolli: Michel ________ YT _______ UNIF _4062-4063-4064-4065
Se sei interessato all’acquisto di questo foglietto lo puoi acquistare al prezzo di € 14.50. Inviandomi una richiesta alla email: protofilia1@gmail.com
La presa di Roma, nota anche come breccia di Porta Pia, fu l’episodio del Risorgimento che sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia.
Avvenuta il 20 settembre 1870, decretò la fine dello Stato Pontificio quale entità storico-politica e fu un momento di profonda rivoluzione nella gestione del potere temporale da parte dei papi. L’anno successivo la capitale d’Italia fu trasferita da Firenze a Roma (legge 3 febbraio 1871, n. 33). L’anniversario del 20 settembre è stato festività nazionale fino al 1930, quando fu abolito a seguito della firma dei Patti Lateranensi.
Le premesse
Il desiderio di porre Roma a capitale del nuovo Regno d’Italia era già stato esplicitato da Cavour nel suo discorso al parlamento italiano il 27 marzo1861. Cavour prese poco dopo i contatti a Roma con Diomede Pantaleoni, che aveva ampie conoscenze nell’ambiente ecclesiastico, per cercare una soluzione che assicurasse l’indipendenza del papa.
Il principio era quello della “libertà assoluta della Chiesa” cioè la libertà di coscienza, assicurando ai cattolici l’indipendenza del pontefice dal potere civile. Inizialmente si ebbe l’impressione che questa trattativa non dispiacesse completamente a Pio IX e al cardinale Giacomo Antonelli, ma questi dopo poco, già nei primi mesi del 1861, cambiarono atteggiamento e le trattative non ebbero seguito.
Poco dopo Cavour affermò in parlamento che riteneva «necessaria Roma all’Italia» e che prima o poi Roma sarebbe stata la capitale, ma che per far questo era necessario il consenso della Francia. Sperava che l’Europa tutta sarebbe stata convinta dell’importanza della separazione tra potere spirituale e potere temporale e quindi riaffermò il principio di «libera Chiesa in libero Stato». Cavour già nell’aprile scrisse al principe Napoleone per convincere l’imperatore a togliere da Roma il presidio francese che lì si trovava.
Il conte di Cavour vi acconsentiva in linea di massima, perché sperava che la stessa popolazione romana avrebbe risolto i problemi senza bisogno di repressioni da parte di governi stranieri, e che il Papa avrebbe infine ceduto alle spinte unitarie. Le uniche riserve espresse riguardavano la presenza di truppe straniere. La convenzione però non arrivò a conclusione per la morte di Cavour, il 6 giugno del 1861.
Bettino Ricasoli, successore di Cavour, cercò di riaprire i contatti con il cardinale Antonelli già il 10 settembre 1861, con una nota in cui faceva appello «alla mente ed al cuore del Santo Padre, perché colla sua sapienza e bontà, consenta ad un accordo che lasciando intatti i diritti della nazione, provvederebbe efficacemente alla dignità e grandezza della chiesa». Ancora una volta Antonelli e Pio IX si mostrarono contrari.
Da quel momento ci fu uno stallo nelle attività diplomatiche, mentre rimaneva viva la spinta all’azione di Garibaldi e dei mazziniani. Ci furono una serie di tentativi tra cui quello più noto si concluse all’Aspromonte ove i bersaglieri fermarono, dopo un breve conflitto a fuoco, Garibaldi che stava risalendo la penisola con una banda di volontari diretto a Roma.
Agli inizi del 1863, il governo Minghetti riprese le trattative con Napoleone III, ma dopo questi avvenimenti Napoleone pretese maggiori garanzie. Si arrivò quindi alla convenzione di settembre 1864, un accordo con Napoleone che prevedeva il ritiro delle truppe francesi, in cambio di un impegno da parte dell’Italia a non invadere lo Stato Pontificio. A garanzia dell’impegno da parte italiana, la Francia chiese il trasferimento della capitale da Torino ad un’altra città, che sarebbe stata poi Firenze. Entrambe le parti espressero comunque una serie di riserve, e l’Italia si riservava completa libertà d’azione nel caso che una rivoluzione scoppiasse a Roma, condizioni che furono accettate dalla Francia, che riconobbe in questo modo i diritti dell’Italia su Roma. Nel settembre 1867 Garibaldi fece un nuovo tentativo sbarcando nel Lazio. In ottobre i francesi sbarcarono a Civitavecchia e si unirono alle truppe pontificie scontrandosi con i garibaldini. L’esercito italiano, in ottemperanza alla Convenzione di settembre, non varcò i confini dello Stato Pontificio. Il 3 novembre i garibaldini furono sconfitti nella Battaglia di Mentana. Tornata la pace, i soldati francesi, nonostante quanto previsto dalla Convenzione di settembre, lasciarono una guarnigione di stanza nella fortezza di Civitavecchia e due presidi, uno a Tarquinia e uno a Viterbo (in tutto 4.000 uomini).
L’8 dicembre 1869 il papa indisse a Roma il concilio ecumenico Vaticano I volendo risolvere il problema dell’infallibilità papale, questa decisione destò preoccupazione nella classe politica italiana per il timore che servisse al Papa per intromettersi con maggior autorità negli affari politici dello stato. Il 9 dicembre Giovanni Lanza, nel discorso di insediamento alla presidenza della Camera dei deputati, dichiarò che «siamo unanimi a volere il compimento dell’unità nazionale; e Roma, tardi o tosto, per la necessità delle cose e per la ragione dei tempi, dovrà essere capitale d’Italia». Alla fine del 1869 lo stesso Lanza, alla caduta del terzo gabinetto Menabrea, si insediò come nuovo capo del Governo.
Nel 1870 si propagarono nella penisola diverse insurrezioni di matrice mazziniana. Tra le più note vi fu quella di Pavia, dove il 24 marzo un gruppo di repubblicani assaltò una caserma. Il caporale Pietro Barsanti, in servizio nella caserma ed anch’egli mazziniano, rifiutò di reprimere i rivoltosi, contribuendo anzi a fomentare la rivolta. Arrestato e negatagli la grazia sovrana, Barsanti fu giustiziato il 26 agosto tra numerose polemiche. Lo stesso Giuseppe Mazzini, nel suo ultimo tentativo di battere sul tempo la monarchia, partì per la Sicilia tentando di sollevare un’insurrezione ma venne arrestato il 13 agosto 1870 e condotto in prigione a Gaeta.
Il 15 luglio 1870 il governo di Napoleone III dichiarò guerra alla Prussia (dichiarazione consegnata il 19). L’Italia decise di attendere lo sviluppo della situazione. Il 2 agosto la Francia, desiderosa di ottenere l’appoggio dell’Italia, avvertì il governo italiano che era disponibile a ritirare le proprie truppe da Civitavecchia e dalla provincia di Viterbo. Il 20 agosto alla Camera furono presentate interpellanze da vari deputati, tra cui il Cairoli e il Nicotera (dellaSinistra), che chiesero di denunciare definitivamente la Convenzione del 15 settembre e di muovere su Roma. Nella sua risposta il governo ricordò che la Convenzione escludeva i casi straordinari e proprio questa clausola aveva permesso a Napoleone III di intervenire a Mentana. Nel frattempo comunque i francesi abbandonarono Roma. Il ritiro fu completato il 3 agosto 1870. Di nuovo si mosse la diplomazia italiana chiedendo una soluzione della Questione romana. L’imperatrice Eugenia, che svolgeva in quel momento le funzioni di reggente, inviò la nave da guerra Orénoque a stazionare davanti a Civitavecchia.
Quando le vicende della guerra franco-prussiana stavano già volgendo al peggio per i francesi, Napoleone III inviò a Firenze il principe Napoleone per chiedere direttamente a Vittorio Emanuele II un intervento militare, ma, nonostante alcune pressioni in tal senso (in particolare del generale Cialdini), la richiesta non ebbe seguito. Il 4 settembre 1870 cadeva il Secondo Impero, e in Francia veniva proclamata la Terza Repubblica. Questo stravolgimento politico aprì di fatto all’Italia la strada per Roma.
La lettera di Vittorio Emanuele II a Pio IX
L’8 settembre, alcuni giorni prima dell’attacco, Gustavo Ponza di San Martino, senatore del Regno, partì da Firenze per consegnare al papa una lettera autografa di re Vittorio Emanuele II. L’indomani venne ricevuto dal cardinale Giacomo Antonelli, il quale lo ammise alla presenza del pontefice.
Nell’epistola Vittorio Emanuele, che si rivolgeva al pontefice «con affetto di figlio, con fede di cattolico, con lealtà di Re, con animo d’italiano», dopo aver paventato le minacce del «partito della rivoluzione cosmopolita», esplicitava «l’indeclinabile necessità per la sicurezza dell’Italia e della Santa Sede, che le mie truppe, già poste a guardia del confine, debbano inoltrarsi per occupare le posizioni indispensabili per la sicurezza di Vostra Santità e pel mantenimento dell’ordine».
La risposta del Papa fu rispettosa ma ferma:
«Sire, Il conte Ponza di San Martino mi ha consegnato una lettera, che a V. M. piacque dirigermi; ma essa non è degna di un figlio affettuoso che si vanta di professare la fede cattolica, e si gloria di regia lealtà. Io non entrerò nei particolari della lettera, per non rinnovellare il dolore che una prima scorsa mi ha cagionato. Io benedico Iddio, il quale ha sofferto che V. M. empia di amarezza l’ultimo periodo della mia vita. Quanto al resto, io non posso ammettere le domande espresse nella sua lettera, né aderire ai principii che contiene. Faccio di nuovo ricorso a Dio, e pongo nelle mani di Lui la mia causa, che è interamente la Sua. Lo prego a concedere abbondanti grazie a V. M. per liberarla da ogni pericolo, renderla partecipe delle misericordie onde Ella ha bisogno.» |
(Papa Pio IX, 9 settembre 1870) |
L’attacco allo Stato Pontificio
Il piano d’invasione dell’esercito italiano prevedeva l’ammassarsi di cinque divisioni ai confini dello Stato Pontificio in tre punti distinti:
- A nord-est, presso Orvieto, vi era la II Divisione al comando del generale Nino Bixio;
- Ad est vi era il grosso dell’esercito (40 mila uomini su 50 mila), costituito da tre divisioni: l’XI, guidata dal generale Enrico Cosenz; la XII, al comando del generale Gustavo Mazè de la Roche; la XIII, agli ordini del generale Emilio Ferrero;
- A sud, sulla vecchia frontiera napoletana, era stanziata la IX Divisione, al comando del generale Diego Angioletti.
Si trattava in tutto di circa 50.000 uomini. Il comando supremo delle operazioni era affidato al Luogotenente generale Raffaele Cadorna. Nino Bixio avrebbe dovuto occupare Viterbo e, con l’aiuto della flotta, Civitavecchia per poi dirigersi verso Roma. Il generale Angioletti, entrando da sud, avrebbe occupato Frosinone e Velletri per poi convergere verso l’Urbe. Qui l’esercito si sarebbe riunito per sferrare l’attacco finale.
La sera del 10 settembre Cadorna ricevette l’ordine di attraversare il confine pontificio tra le cinque pomeridiane dell’11 ed entro le cinque antimeridiane del 12 settembre. Nel pomeriggio del giorno 11, fu Nino Bixio ad entrare per primo nel territorio dello Stato Pontificio: il generale avanzò verso Bagnorea (oggi Bagnoregio) e Angioletti si diresse su Ceprano (poco più di 20 km da Frosinone). Gli ordini di Kanzler, comandante dell’esercito pontificio, erano di resistere all’attacco delle camicie rosse, ma in caso d’invasione dell’esercito sabaudo, l’ordine era di ripiegare verso Roma. Così fecero gli Zuavi di stanza nelle località via via occupate dall’esercito italiano. Il 12 settembre Kanzler dichiarava lo stato d’assedio nell’Urbe.
Bixio si mosse lungo la strada che scorre ad est del lago di Bolsena attraversando Montefiascone per finire a Viterbo (in tutto circa 45 km). Gli Zuavi di stanza a Viterbo ripiegarono verso Civitavecchia, dove giunsero il 14 settembre. Nel frattempo il generale Ferrero aveva occupato Viterbo prima di Bixio che, pertanto, accelerò la marcia verso il porto di Civitavecchia. La piazzaforte si era preparata per resistere a un lungo assedio. Ma il comandante, il colonnello spagnolo Serra, la sera del 15 settembre si arrese senza combattere. La mattina seguente la piazzaforte e il porto di Civitavecchia furono occupati dall’esercito e dalla marina italiane.
Negli stessi giorni Angioletti prendeva possesso delle province di Frosinone e Velletri: entrato in territorio pontificio il 12 settembre, occupò la città di Frosinone il 13 e tre giorni dopo entrò in Velletri. Il Luogotenente generale Cadorna, stanziato in Sabina, col grosso dell’esercito si diresse verso Roma lungo la riva destra del Tevere, seguendo il tracciato della vecchia via Salaria. Ricevette però l’ordine di non seguire una via diretta verso Roma. Secondo il rapporto stilato dallo stesso Cadorna, “motivi politici” avrebbero imposto di allungare la strada. Cadorna occupò alcuni centri minori, come Rignano e Civita Castellana. Il 14 settembre le tre divisioni sotto il suo comando si riunirono alla Giustiniana (circa 12 km a nord-ovest di Roma). Entro due giorni furono raggiunte da Bixio e da Angioletti.
Il 15 settembre Cadorna inviò una lettera al generale Kanzler: gli chiese di acconsentire all’occupazione pacifica della città. Kanzler rispose che avrebbe difeso Roma con tutti i suoi mezzi a disposizione. Al generale Cadorna fu ordinato di portarsi in prossimità delle mura romane evitando però momentaneamente qualsiasi scontro con le truppe pontificie e attendere la negoziazione della resa. Il piano d’attacco dell’esercito italiano prevedeva che Cosenz, Mazé de la Roche e Ferrero avrebbero attaccato la cinta muraria che si dipana dal Tevere alla Via Prenestina (da Porta del Popolo a Porta Maggiore). Angioletti avrebbe attaccato il fianco sud mentre Bixio, proveniente da Civitavecchia, sarebbe entrato a Trastevere. In caso di trattative infruttuose, l’esercito italiano avrebbe fatto ricorso alla forza, evitando, tuttavia, di penetrare nella Città Leonina.
L’attacco alla città fu portato su diversi punti. Il cannoneggiamento delle mura iniziò alle 5 di mattina del 20 settembre. Pio IX aveva minacciato di scomunicare chiunque avesse comandato di aprire il fuoco sulla città. La minaccia non sarebbe stata un valido deterrente per l’attacco, comunque l’ordine di cannoneggiamento non giunse da Cadorna bensì dal capitano d’artiglieria Giacomo Segre, giovane ebreo comandante della 5ª batteria del IX° Reggimento, che dunque non sarebbe incorso in alcuna scomunica. Il primo punto a essere bombardato fu Porta San Giovanni, seguito dai Tre Archi di Porta San Lorenzo e da Porta Maggiore. Si udirono altri fragori dall’altra parte della città: si trattava dell’azione diversiva della divisione Bixio, posizionata a ridosso di San Pancrazio. Iniziarono i bombardamenti anche sul “vero fronte”, quello compreso tra Porta Salaria e Porta Pia. Furono le batterie 2º (capitano Buttafuochi) e 8º (capitano Malpassuti) del 7º Reggimento di artiglieria di Pisa ad aprire il fuoco alle 5:10 su Porta Pia.
Poco dopo le ore 9 iniziò ad aprirsi una vasta breccia a una cinquantina di metri alla sinistra di Porta Pia. Una pattuglia di bersaglieri del 34º battaglione fu inviata sul posto a constatarne lo stato. I comandanti d’artiglieria ordinarono di concentrare gli sforzi proprio in quel punto (erano le 9:35). Dopo dieci minuti d’intenso fuoco, la breccia era abbastanza vasta (circa trenta metri) da permettere il passaggio delle truppe. Cadorna ordinò immediatamente la formazione di due unità di assalto per penetrare nel varco, assegnandone il comando ai generali Mazé e Cosenz: si trattava di un battaglione di fanteria e di uno di bersaglieri, accompagnati da alcuni carabinieri. Ma l’assalto non fu necessario: verso le ore dieci, dal campo pontificio fu esposta la bandiera bianca. Mentre la resistenza cessava a Porta Pia, la bandiera bianca fu issata lungo tutta la linea delle mura. I generali Ferrero e Angeletti la rispettarono, invece Bixio continuò il bombardamento per circa mezz’ora. Mazé e Cosenz proseguirono nel loro assalto; le truppe italiane oltrepassarono la breccia di Porta Pia sparando e facendo prigionieri.
Dopo l’irruzione da parte delle truppe italiane dentro la cinta muraria vi furono ancora scontri qua e là che si spensero in poche ore con la resa chiesta dal generale Kanzler. La divisione Angioletti occupò Trastevere, quella di Ferrero l’area compresa tra Porta San Giovanni, Porta Maggiore, Porta San Lorenzo, via di San Lorenzo, Santa Maria Maggiore, via Urbana e via Leonina fino a Ponte Rotto. Le truppe di Mazè si attestarono tra Porta Pia, Porta Salaria e via del Corso occupando piazza Colonna, piazza di Termini e il Palazzo del Quirinale. Quelle di Cosenz presidiarono piazza Navona e piazza del Popolo. Per ordine di Cadorna, così come convenuto con il governo, non furono occupate la Città Leonina, Castel Sant’Angelo e i colli Vaticano e Gianicolo. Alle 17:30 del 20 settembre Kanzler e Fortunato Rivalta (capo di Stato maggiore) firmarono la capitolazione alla presenza del generale Cadorna.
POSTE ITALIANE 37-38-39 and 40th issue of 20 September 2020 of a leaflet with 4 stamps celebrating the Breccia di Porta Pia, on the 150th anniversary
The Ministry of Development with the Italian Post Office will issue on 20 September 2020 a leaflet with 4 stamps celebrating the 150th anniversary of the Breccia di Porta Pia, relating to the value of tariff A, corresponding to € 2.80 each.
date: September 20, 2020
indentation: 11
printing: rotogravure
Type of paper; neutral white coated paper – self-adhesive non-fluorescent
printed: I.P.Z.S. Rome
leaflet circulation: 200,000
stamp circulation: 200,000 each
stamp size: 30 x 40 mm
sheet size: 235 x 146.6 mm
leaflet content: 4 stamps
value: A = € 2.80
sketch artist: Maria Carmela Perrini
vignette: the four stamps, inserted vertically in a leaflet, depict, respectively, from top to bottom:
1.against the background of the Italian flag, a copy kept in the Historical Museum of the Bersaglieri of the monument to the Bersagliere by Publio Morbiducci displayed in the square in front of Porta Pia;
2. the internal facade of Porta Pia;
3. the logo of the 2020 Rally of the Bersaglieri in Rome created on the occasion of the 150th anniversary of the Porta Pia breach;
4.the pictorial work “I Bersaglieri” by Michele Cammarano preserved in the National Gallery of Modern and Contemporary Art in Rome.
The stamps are completed by the legend “150 YEARS OF THE“ BRECCIA DI PORTA PIA ””, the writing “ITALIA” and the tariff value “A”.
Characteristics of the leaflet:
reproduces the painting “The breach of Porta Pia” by Carel Max Quaedvlieg (Apolloni Collections, Rome). The leaflet is completed by the legends “BRECCIA DI PORTA PIA” and “ROMA 1870”
num. leaflet catalog: Michel______ YT _________UNIF__________
num. stamp catalog: Michel_______ YT_________ UNIF ____________
If you are interested in purchasing this leaflet, you can purchase it for € 14.50. By sending me a request to the email: protofilia1@gmail.com
The capture of Rome, also known as the breach of Porta Pia, was the episode of the Risorgimento that sanctioned the annexation of Rome to the Kingdom of Italy.
Occurred on September 20, 1870, it decreed the end of the Papal State as a historical-political entity and was a moment of profound revolution in the management of temporal power by the popes. The following year the capital of Italy was transferred from Florence to Rome (law February 3, 1871, n. 33). The anniversary of September 20 was a national holiday until 1930, when it was abolished following the signing of the Lateran Pacts.
The premises
The desire to make Rome the capital of the new Kingdom of Italy had already been made explicit by Cavour in his speech to the Italian parliament on March 27, 1861. Cavour soon made contact in Rome with Diomede Pantaleoni, who had extensive knowledge in the ecclesiastical environment, to seek a solution that would ensure the independence of the pope.
The principle was that of “absolute freedom of the Church”, that is, freedom of conscience, ensuring the independence of the pope from civil power for Catholics. Initially there was the impression that this negotiation did not completely displease Pius IX and Cardinal Giacomo Antonelli, but after a while, already in the first months of 1861, they changed their attitude and the negotiations were not followed up.
Shortly afterwards Cavour stated in parliament that he considered “Rome necessary for Italy” and that sooner or later Rome would be the capital, but that to do this the consent of France was necessary. He hoped that all of Europe would be convinced of the importance of the separation between spiritual power and temporal power and therefore reaffirmed the principle of “free Church in a free state”. Cavour already wrote to Prince Napoleon in April to persuade the emperor to remove the French garrison that was there from Rome.
The Count of Cavour agreed to this in principle, because he hoped that the Roman population itself would solve the problems without the need for repression by foreign governments, and that the Pope would eventually yield to unitary forces. The only reservations expressed concerned the presence of foreign troops. However, the agreement did not come to an end due to Cavour’s death on 6 June 1861.
Bettino Ricasoli, Cavour’s successor, tried to reopen contacts with Cardinal Antonelli as early as 10 September 1861, with a note in which he appealed “to the mind and heart of the Holy Father, so that with his wisdom and goodness, he would consent to an agreement that leaving the rights of the nation intact, would effectively provide for the dignity and grandeur of the church. ” Once again Antonelli and Pius IX were opposed.
From that moment there was a stalemate in diplomatic activities, while the thrust of Garibaldi and the Mazzinians remained alive. There were a series of attempts including the best known one ended at Aspromonte where the Bersaglieri stopped, after a brief firefight, Garibaldi who was going up the peninsula with a band of volunteers headed for Rome.
At the beginning of 1863, the Minghetti government resumed negotiations with Napoleon III, but after these events Napoleon demanded greater guarantees. Then came the agreement of September 1864, an agreement with Napoleon which provided for the withdrawal of French troops, in exchange for a commitment by Italy not to invade the Papal State. As a guarantee of the Italian commitment, France asked for the transfer of the capital from Turin to another city, which would later be Florence. However, both sides expressed a number of reservations, and Italy reserved complete freedom of action in case a revolution broke out in Rome, conditions which were accepted by France, which thus recognized Italy’s rights over Rome. In September 1867 Garibaldi made a new attempt by landing in Lazio. In October the French landed in Civitavecchia and joined the papal troops clashing with the Garibaldini. The Italian army, in compliance with the September Convention, did not cross the borders of the Papal State. On 3 November the Garibaldi soldiers were defeated in the Battle of Mentana. Once peace returned, the French soldiers, despite the provisions of the September Convention, left a garrison stationed in the fortress of Civitavecchia and two garrisons, one in Tarquinia and one in Viterbo (4,000 men in all). On December 8, 1869, the pope called the Vatican I ecumenical council in Rome, wanting to solve the problem of papal infallibility, this decision aroused concern in the Italian political class for fear that it would serve the Pope to meddle with greater authority in the political affairs of the state. On 9 December Giovanni Lanza, in his inauguration speech for the presidency of the Chamber of Deputies, declared that “we are unanimous in wanting to achieve national unity; and Rome, late or soon, for the necessity of things and for the reason of the times, must be the capital of Italy ». At the end of 1869 Lanza himself, after the fall of the third Menabrea cabinet, took office as the new head of the government.
In 1870 various insurrections of Mazzini origin spread across the peninsula. Among the best known was that of Pavia, where on 24 March a group of republicans attacked a barracks. Corporal Pietro Barsanti, on duty in the barracks and also from Mazzini, refused to repress the rioters, even helping to foment the revolt. Arrested and denied sovereign grace, Barsanti was executed on August 26 amid numerous controversies. Giuseppe Mazzini himself, in his latest attempt to beat the monarchy on time, left for Sicily trying to raise an insurrection but was arrested on 13 August 1870 and taken to prison in Gaeta.
On July 15, 1870, the government of Napoleon III declared war on Prussia (declaration delivered on 19). Italy decided to wait for the situation to develop. On 2 August, France, eager to obtain Italy’s support, warned the Italian government that it was willing to withdraw its troops from Civitavecchia and the province of Viterbo. On August 20, the Chamber was presented with questions by various deputies, including Cairoli and Nicotera (from the Left), who asked to definitively denounce the Convention of September 15 and to move on Rome. In its reply, the government recalled that the Convention excluded extraordinary cases and precisely this clause had allowed Napoleon III to intervene in Mentana. In the meantime, however, the French left Rome. The withdrawal was completed on August 3, 1870. Italian diplomacy moved again asking for a solution to the Roman question. Empress Eugenia, who at that time was acting as regent, sent the warship Orénoque to station in front of Civitavecchia.
When the events of the Franco-Prussian war were already turning for the worst for the French, Napoleon III sent Prince Napoleon to Florence to ask Vittorio Emanuele II directly for a military intervention, but, despite some pressure to do so (in particular from General Cialdini ), the request was not followed up. On September 4, 1870, the Second Empire fell, and the Third Republic was proclaimed in France. This political upheaval actually opened the way for Italy to Rome.
The letter of Vittorio Emanuele II to Pius IX
On 8 September, a few days before the attack, Gustavo Ponza di San Martino, senator of the Kingdom, left Florence to deliver to the pope an autographed letter from King Vittorio Emanuele II. The next day he was received by Cardinal Giacomo Antonelli, who admitted him to the presence of the pontiff.
In the epistle Vittorio Emanuele, who addressed the pontiff “with the affection of a son, with the faith of a Catholic, with the loyalty of a King, with an Italian soul”, after having feared the threats of the “party of the cosmopolitan revolution”, he made explicit ” ‘indeclinable necessity for the security of Italy and the Holy See, that my troops, already placed to guard the border, must advance to occupy the positions indispensable for the safety of Your Holiness and for the maintenance of order ”.
The Pope’s response was respectful but firm:
“Sire,
Count Ponza di San Martino gave me a letter, which V. M. liked to direct me; but it is not worthy of an affectionate son who boasts of professing the Catholic faith, and boasts of royal loyalty. I will not go into the details of the letter, so as not to renew the pain that a first glimpse caused me. I bless God, who has suffered that V. M. fills the last period of my life with bitterness. As for the rest, I cannot admit the questions expressed in your letter, nor adhere to the principles it contains. I appeal to God again, and place my cause, which is entirely His, into His hands. I beg him to grant abundant thanks to V. M. to free her from every danger, to make her share in the mercies she needs.
(Pope Pius IX, 9 September 1870)
The attack on the Papal State
The invasion plan of the Italian army provided for the massing of five divisions on the borders of the Papal State in three distinct points:
1. To the north-east, near Orvieto, there was the 2nd Division under the command of General Nino Bixio;
2. To the east was the bulk of the army (40,000 men out of 50,000), made up of three divisions: the XI, led by General Enrico Cosenz; the XII, under the command of General Gustavo Mazè de la Roche; the XIII, under the orders of General Emilio Ferrero;
3. To the south, on the old Neapolitan border, the IX Division was stationed under the command of General Diego Angioletti.
There were about 50,000 men in all. The supreme command of the operations was entrusted to the Lieutenant General Raffaele Cadorna. Nino Bixio was supposed to occupy Viterbo and, with the help of the fleet, Civitavecchia and then head towards Rome. General Angioletti, entering from the south, would have occupied Frosinone and Velletri and then converged towards the city. Here the army would gather to launch the final attack.
On the evening of 10 September Cadorna received the order to cross the papal border between five in the afternoon of 11 and by five in the morning on 12 September. In the afternoon of the 11th, it was Nino Bixio who first entered the territory of the Papal State: the general advanced towards Bagnorea (today Bagnoregio) and Angioletti headed for Ceprano (just over 20 km from Frosinone). The orders of Kanzler, commander of the papal army, were to resist the attack of the red shirts, but in the event of an invasion by the Savoy army, the order was to fall back to Rome. So did the Zouaves stationed in the places gradually occupied by the Italian army. On 12 September Kanzler declared a state of siege in the city.
Bixio moved along the road that runs east of Lake Bolsena through Montefiascone to finish in Viterbo (around 45 km in all). The Zouaves stationed in Viterbo retreated to Civitavecchia, where they arrived on 14 September. In the meantime, General Ferrero had occupied Viterbo before Bixio who, therefore, accelerated the march towards the port of Civitavecchia. The stronghold had prepared itself to withstand a long siege. But the commander, the Spanish Colonel Serra, surrendered without a fight on the evening of September 15. The following morning the fortress and the port of Civitavecchia were occupied by the Italian army and navy.
In the same days Angioletti took possession of the provinces of Frosinone and Velletri: he entered the papal territory on 12 September, occupied the city of Frosinone on 13 and three days later entered Velletri. Lieutenant General Cadorna, stationed in Sabina, with the bulk of the army headed towards Rome along the right bank of the Tiber, following the route of the old Via Salaria. However, he received the order not to follow a direct route to Rome. According to the report drawn up by Cadorna himself, “political reasons” would have required the road to be extended. Cadorna occupied some smaller towns, such as Rignano and Civita Castellana]. On September 14, the three divisions under his command reunited at the Giustiniana (about 12 km north-west of Rome). Within two days they were joined by Bixio and Angioletti.
On 15 September Cadorna sent a letter to General Kanzler: he asked him to consent to the peaceful occupation of the city. Kanzler replied that he would defend Rome with all his means at his disposal. General Cadorna was ordered to move close to the Roman walls, however, temporarily avoiding any clash with the papal troops and awaiting the negotiation of the surrender. The attack plan of the Italian army provided that Cosenz, Mazé de la Roche and Ferrero would attack the walls that stretch from the Tiber to the Via Prenestina (from Porta del Popolo to Porta Maggiore). Angioletti would have attacked the southern flank while Bixio, coming from Civitavecchia, would have entered Trastevere. In the event of unsuccessful negotiations, the Italian army would have resorted to force, avoiding, however, entering the Leonine City.
The attack on the city was carried out on several points. The cannonade of the walls began at 5 am on September 20. Pius IX had threatened to excommunicate anyone who commanded to open fire on the city. The threat would not have been a valid deterrent for the attack, however the cannonade order did not come from Cadorna but from the artillery captain Giacomo Segre, a young Jewish commander of the 5th battery of the 9th Regiment, who therefore would not have incurred any excommunication. The first point to be bombed was Porta San Giovanni, followed by the Three Arches of Porta San Lorenzo and Porta Maggiore. More roars were heard from the other side of the city: it was the diversionary action of the Bixio division, located close to San Pancrazio. The bombings also began on the “real front”, the one between Porta Salaria and Porta Pia. It was the 2nd (Captain Buttafuochi) and 8th (Captain Malpassuti) batteries of the 7th Artillery Regiment of Pisa that opened fire at 5:10 on Porta Pia.
Shortly after 9 a.m. a large breach began to open about fifty meters to the left of Porta Pia. A patrol of Bersaglieri from the 34th battalion was sent to the scene to ascertain their status. The artillery commanders ordered to concentrate the efforts at that point (it was 9:35). After ten minutes of intense fire, the breach was large enough (about thirty meters) to allow the passage of troops. Cadorna immediately ordered the formation of two assault units to penetrate the passage, assigning the command to the generals Mazé and Cosenz: it was an infantry battalion and one of bersaglieri, accompanied by some carabinieri. But the assault was not necessary: around ten o’clock, the white flag was displayed from the papal field. As resistance ceased at Porta Pia, the white flag was hoisted along the entire line of the walls. Generals Ferrero and Angeletti respected it, but Bixio continued the bombing for about half an hour. Mazé and Cosenz continued their assault; the Italian troops crossed the breach of Porta Pia, shooting and taking prisoners.
After the break-in by the Italian troops inside the walls there were still clashes here and there that died out in a few hours with the surrender requested by General Kanzler. The Angioletti division occupied Trastevere, that of Ferrero the area between Porta San Giovanni, Porta Maggiore, Porta San Lorenzo, via di San Lorenzo, Santa Maria Maggiore, via Urbana and via Leonina up to Ponte Rotto. Mazè’s troops settled between Porta Pia, Porta Salaria and via del Corso, occupying piazza Colonna, piazza di Termini and the Quirinal Palace. Those of Cosenz presided over Piazza Navona and Piazza del Popolo. By order of Cadorna, as agreed with the government, the Leonine City, Castel Sant’Angelo and the Vatican and Gianicolo hills were not occupied. At 5.30 pm on September 20, Kanzler and Fortunato Rivalta (Chief of Staff) signed the capitulation in the presence of General Cadorna.