POSTE ITALIANE 17^ EMISSIONE DEL 05 MAGGIO 2021 DI UN FRANCOBOLLO commemorativo di Napoleone, nel bicentenario della scomparsa
Il Ministero dello Sviluppo Economico, emette il 5 maggio 2021 un francobollo commemorativo di Napoleone, nel bicentenario della scomparsa, relativo al valore della tariffa B zona 1, corrispondente ad €1.15, il francobollo è distribuito dalle Poste Italiane.
- data: 05 maggio 2021
- dentellatura: 11
- stampa: rotocalcografia
- tipo di carta: carta bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente
- colori: sei
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura: 500.000
- francobollo dimensioni: 30 x 40 mm
- valore: B zona 1 = €1.15
- bozzettista: a cura del Centro Filatelico della Direzione Operativa dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A
- num. catalogo francobollo: Michel_4294 YT _4054_ UNIF _4137__
- Il francobollo: La vignetta riproduce un dipinto di Andrea Appiani denominato “Ritratto di Napoleone re d’Italia”, conservato nella Pinacoteca Ambrosiana presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano; in basso, a sinistra, è riprodotto il logo della Federazione Europea delle Città Napoleoniche realizzato per il Bicentenario della scomparsa di Napoleone. Completano il francobollo le leggende “NAPOLEONE”, “1769- 1821”, “EI FU …” la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B ZONA 1”.
Se sei interessato all’acquisto di questo francobollo lo puoi acquistare al prezzo di € 1.60 inviandomi una richiesta alla mia email: protofilia1@gmail.com
Napoleone Bonaparte , è nato ad Ajaccio in Corsica il 15 agosto 1769, da una famiglia della piccola nobiltà italiana, dal padre Carlo Maria Buonaparte, avvocato e dalla madre Maria Letizia Ramolino, discendente da nobili toscani e lombardi e morì a Longwood, Isola di Sant’Elena il 5 maggio 1821) è stato un politico e generale francese, fondatore del Primo Impero francese e protagonista della prima fase della storia contemporanea europea detta età napoleonica.
Grande uomo di guerra, protagonista di oltre venti anni di campagne in Europa, Napoleone è stato considerato il più grande stratega della storia dallo storico militare Basil Liddell Hart, mentre lo storico Evgenij Tàrle non esita a definirlo “l’incomparabile maestro dell’arte della guerra” e “il più grande dei grandi”. Grazie al suo sistema di alleanze e a una serie di brillanti vittorie contro le potenze europee, conquistò e governò larga parte dell’Europa continentale, esportando gli ideali rivoluzionari di rinnovamento sociale e arrivando a controllare numerosi Regni tramite persone a lui fedeli (Giuseppe Bonaparte in Spagna, Gioacchino Murat nel Regno di Napoli, Girolamo Bonaparte in Vestfalia, Jean-Baptiste Jules Bernadotte nel Regno di Svezia e Luigi Bonaparte nel Regno d’Olanda).
La sua riforma del sistema giuridico (confluita nel Codice Napoleonico), introdusse chiarezza e semplicità delle norme e pose le basi per il moderno diritto civile.
La disastrosa campagna di Russia (1812), segnò il tramonto del suo dominio sull’Europa. Sconfitto nella battaglia di Lipsia dagli alleati europei nell’ottobre del 1813, Napoleone abdicò il 4 aprile 1814, e fu esiliato nell’isola d’Elba. Nel marzo del 1815, abbandonata furtivamente l’isola, sbarcò a Golfe Juan, vicino ad Antibes e rientrò a Parigi senza incontrare opposizione, riconquistando il potere per il periodo detto dei “cento giorni”, finché non venne definitivamente sconfitto dalla settima coalizione nella battaglia di Waterloo, il 18 giugno 1815. Trascorse gli ultimi anni di vita in esilio all’isola di Sant’Elena, sotto il controllo dei britannici. Dopo la sua caduta il congresso di Vienna ristabilì in Europa i vecchi regni pre-napoleonici (Restaurazione).
Fu il primo regnante della dinastia dei Bonaparte. Sposò Giuseppina di Beauharnais nel 1796, e in seconde nozze l’arciduchessa Maria Luisa d’Austria, l’11 marzo 1810, dalla quale ebbe l’unico figlio legittimo, Napoleone Francesco, detto il re di Roma (1811-1832). La sua figura ha ispirato artisti, letterati, musicisti, politici, filosofi e storici, dall’Ottocento ai giorni nostri.
Carriera nell’esercito
Dopo un giudizio positivo, gli venne concessa l’ammissione alla Regia Scuola Militare di Parigi, fondata da Luigi XV su consiglio di Madame de Pompadour. Nel 1785 tentò di passare in Marina, ma in seguito all’annullamento degli esami d’ammissione di quell’anno, passò in artiglieria, desideroso di abbandonare gli studi al più presto e dedicarsi alla carriera militare. Alloggiava in una mansarda. Fra i suoi insegnanti figurava Gaspard Monge, creatore della geometria descrittiva.
Ottenne quindi la nomina a sottotenente a soli 16 anni e fu distaccato, il 1º settembre 1785, presso un reggimento d’artiglieria di stanza a La Fère, come sottoluogotenente, sotto gli ordini del barone du Teil, per assumere la luogotenenza, pochi mesi dopo, presso un reggimento di stanza a Valence, nel sud-est della Francia. In quei tempi si innamorò prima di due nobili fanciulle ma, in entrambi i casi venne rifiutato. La sua prima relazione fu con una prostituta. Nel 1787 tornò a Parigi, poi viaggiò in Corsica e infine raggiunse il reggimento ad Auxonne. Frattanto il giovane Napoleone continuava a detestare segretamente la Francia e i francesi e a coltivare la causa dell’indipendenza della Corsica, come testimoniato significativamente da un suo scritto del 1787. Allo scoppio della rivoluzione nel 1789, Napoleone, ventenne e ormai ufficiale del re Luigi XVI, riuscì a ottenere una lunga licenza grazie alla quale poté ritornare al sicuro in Corsica. Una volta stabilitosi qui si unì al movimento rivoluzionario dell’isola assumendo il grado di tenente colonnello della Guardia Nazionale. Per i suoi continui viaggi in Corsica, superando il tempo concessogli per la licenza militare, rischiò di essere considerato disertore, preoccupato ritornò a Parigi nello stesso anno. Napoleone conobbe Andoche Junot, che sarebbe stato in seguito governatore di Parigi. Il 1º dicembre viene nominato dal generale Dugommier aiutante generale. Riuscì a conquistare il forte dell’Eguillette, chiamato la piccola Gibilterra, e dopo gli altri forti nel dicembre 1793, liberò il porto di Tolone dai monarchici e dalle truppe inglesi che li appoggiavano. Secondo Chateaubriand, in questa occasione il giovane Napoleone si macchiò di massacri spietati contro la popolazione.
Tolone fu il suo primo clamoroso e avventuroso successo militare, che gli valse la nomina a generale di brigata il 22 dicembre e l’attenzione del futuro membro del Direttorio Paul Barras, che lo aiuterà poi nella successiva scalata al potere. Le sue avventure galanti lo portarono a sedurre Louise Gauthier, moglie di un deputato, e a fidanzarsi, il 21 aprile 1795, con Désirée Clary. Tuttavia la fortuna gli arrise quando il 13 vendemmiaio (5 ottobre 1795) Barras lo nominò, all’improvviso, comandante della piazza di Parigi, con l’incarico di salvare la Convenzione nazionale dalla minaccia dei monarchici (realisti). Con l’aiuto di Gioacchino Murat al comando della cavalleria, Napoleone colpì spietatamente i rivoltosi scongiurando un nuovo colpo di Stato. In seguito al brillante successo, Barras lo nominò generale del Corpo d’armata dell’Interno.
La campagna d’Italia
Il 9 marzo 1796 Napoleone sposò Giuseppina Tascher de La Pagerie, vedova Beauharnais, già moglie di un ufficiale ghigliottinato dopo la rivoluzione. Dopo soli due giorni partì per Nizza per assumere il comando dei 38.000 uomini mal equipaggiati dell’Armata d’Italia. Molto magro, il viso scavato, lo sguardo freddo dei grandi occhi grigioazzurro, i capelli lunghi sulle spalle e il volto “sulfureo”, il generale, cupo e spigoloso, descritto come “un matematico o un visionario”, impose la sua autorità, dimostrò la sua risolutezza, impressionò i suoi generali subordinati e predispose la rapida attuazione dei suoi ambiziosi piani di guerra.
Il 12 aprile 1796 cominciava la prima campagna d’Italia che avrebbe portato alla luce il genio militare e politico del generale Bonaparte il quale, nonostante l’inferiorità numerica e logistica, riuscì a sconfiggere ripetutamente le forze austriache, piemontesi e venete. Questi successi affascinarono anche il grande compositore Ludwig van Beethoven, che inizialmente dedicò al giovane generale repubblicano la sinfonia n. 3, “l’Eroica.
Dopo essere riuscito a sollevare il morale e lo spirito combattivo delle sue truppe, Napoleone manovrò con rapidità per disgregare e sconfiggere separatamente i due eserciti avversari; il giovane generale impiegò per la prima volta la cosiddetta “strategia della posizione centrale”. Le forze austriache e piemontesi vennero battute. Con l’armistizio di Cherasco, Napoleone costrinse Vittorio Amedeo III di Savoia a pesanti concessioni, ratificate con la Pace di Parigi (15 maggio), che assegnava alla Francia sia la Savoia sia la contea di Nizza e il 14 maggio dello stesso anno entrò a Milano. Il 16 maggio venne insediata a Milano l’Amministrazione Generale della Lombardia, entità politico-militare. Fu, quella di Castiglione delle Stiviere, la prima grande battaglia campale diretta da Napoleone, il quale dimostrò il suo genio tattico ribaltando a proprio favore una situazione che pareva compromessa e conquistando una delle più importanti vittorie della sua carriera militare. Nell’ottobre del 1796, si costituì la Legione Lombarda, prima forza armata composta da italiani ad adottare quale bandiera di guerra il Tricolore (verde, bianco e rosso). Contemporaneamente le ex-legazioni pontificie si costituirono in Repubblica Cispadana e adottarono (7 gennaio 1797) il tricolore quale bandiera nazionale. Col trattato di Tolentino, Papa Pio VI, fu costretto a riconoscere la cessione delle Legazioni di Forlì, Ravenna, Bologna e Ferrara. Per gestire questi territori, venne creata l’Amministrazione Centrale d’Emilia, la cui sede venne fissata da Napoleone stesso in Forlì a partire dal 18 aprile 1797. Sconfitti gli austriaci Napoleone invece di ritirarsi dai territori della Repubblica di Venezia (teatro di guerra tra le truppe francesi e austriache) decise di attaccare Venezia; la notte del 15 maggio 1797 le truppe francesi entrarono a Venezia e deposero il Doge Ludovico Manin, primo esercito straniero ad entrare in città dopo 1.100 anni, proclamando la Caduta della Repubblica di Venezia. Il successivo 29 giugno venne proclamata la Repubblica Cisalpina con capitale Milano; la stessa il 9 luglio incorporò la Repubblica Transpadana. Con il diretto intento di danneggiare il pontefice fu proclamata il 19 novembre 1797 la Repubblica Anconitana con capitale Ancona che fu poi unita alla Repubblica Romana: il tutto ebbe però breve durata, poiché nel 1800 lo Stato Pontificio fu ripristinato. Le forze austriache, comandate dall’arciduca Carlo d’Austria, intimorite dalla rapida marcia di Napoleone verso Vienna, dovettero accettare una tregua, a Leoben che si concretizzò nel trattato di Campoformio, il 17 ottobre 1797. Oltre all’indipendenza delle nuove repubbliche formatesi, la Francia acquisiva i Paesi Bassi e la riva sinistra del Reno, gli austriaci inglobavano i territori della Repubblica di Venezia. Terminava così, con una secca sconfitta dell’Austria, la campagna d’Italia.
Nel corso della campagna d’Italia, Napoleone manifestò la sua brillante capacità strategica, in grado di assimilare le nuove teorie innovative dei pensatori militari francesi e applicarle magistralmente sul campo. Ufficiale di artiglieria per formazione, utilizzò i mezzi d’artiglieria in modo innovativo come supporto mobile agli attacchi della fanteria.
La campagna d’Egitto e di Siria
Nel 1798 il Direttorio, preoccupato per l’eccessiva popolarità e per il notevole prestigio di Bonaparte, gli affidò l’incarico di occupare l’Egitto per contrastare l’accesso inglese all’India e quindi per danneggiarla economicamente. Napoleone aveva da anni accarezzato l’idea di una campagna in oriente, sognando di seguire le orme di Alessandro Magno ed essendo dell’idea che «L’Europa è una tana di talpe. Tutte le grandi personalità vengono dall’Oriente».
La spedizione cominciò il 19 maggio, quando Napoleone salpò da Tolone a capo dell’Armata d’Oriente, composta da oltre 60 navi da guerra, 280 navi da trasporto, 16.000 marinai e 38.000 soldati.
Presa Malta, dove i Cavalieri Ospitalieri capitolarono senza combattere, Napoleone arrivò in Egitto. Dopo un’importante vittoria nella battaglia delle piramidi, Napoleone schiacciò i mamelucchi di Murad Bey ed entrando a Il Cairo divenne padrone dell’Egitto. Pochi giorni dopo, il 1º agosto 1798, la flotta di Napoleone in Egitto fu completamente distrutta dall’ammiraglio Horatio Nelson, nella baia di Abukir, cosicché Napoleone rimase bloccato a terra. Dopo una ricognizione sul mar Rosso, decise di recarsi in Siria, e la campagna di Siria si concluse con un fallimento per mano del colonnello Antoine de Phélippeaux, che era stato suo compagno e acerrimo rivale alla scuola militare reale di Parigi.
Ritornato a Il Cairo, Napoleone sconfisse il 25 luglio 1799 un esercito di oltre diecimila ottomani guidati, s’imbarcò in gran segreto il 22 agosto sulla fregata Muiron alla volta della Francia.
Il 18 brumaio e il Consolato
Il 9 ottobre 1799 Bonaparte sbarcò a Fréjus e la sua corsa verso Parigi fu accompagnata dall’entusiasmo dell’intera Francia, certa che il generale fosse tornato in patria per assumere il controllo della situazione ormai ingestibile e, in effetti, era questa la sua intenzione; ci riuscì potendo mascherare il fallimento in Egitto proprio con i disordini in patria così come in Italia provocati dalla sua assenza. Giunto a Parigi, egli riunì i cospiratori decisi a rovesciare il Direttorio. Fatta trapelare la falsa notizia di un complotto realista per rovesciare la repubblica, Napoleone riuscì a far votare al Consiglio degli Anziani e al Consiglio dei Cinquecento una risoluzione che trasferisse le due Camere il 18 brumaio (9 novembre) fuori Parigi, a Saint-Cloud; Napoleone fu nominato comandante in capo di tutte le forze armate. Ciò fu fatto per evitare che durante il colpo di Stato qualche deputato potesse sollevare i cittadini parigini per difendere la Repubblica dal tentativo di Napoleone. Le truppe, in gran parte veterani delle campagne di Napoleone, al comando del cognato di quest’ultimo, il generale Charles Victoire Emmanuel Leclerc e del futuro cognato Gioacchino Murat, entrarono con le baionette inastate e dispersero i deputati. In serata, le Camere venivano sciolte e fu votato il decreto che assegnava i pieni poteri a tre consoli: Roger Ducos, Sieyès e Napoleone.
Il Consolato
Nominati consoli provvisori, i tre nuovi padroni della Francia redassero insieme a due commissioni apposite una nuova costituzione, la costituzione dell’anno VIII che, ratificata con un plebiscito popolare, legittimava il colpo di Stato. Fattosi nominare Primo Console, ossia concretamente superiore a qualsiasi altro potere dello Stato, Napoleone ricostruiva la Francia con una struttura amministrativa fortemente accentratrice che è rimasta tale fino a oggi: la Francia veniva frazionata in dipartimenti, distretti e comuni, rispettivamente amministrati da prefetti, sottoprefetti e sindaci. Le casse dello Stato venivano risanate dalle conquiste di guerra e dalla fondazione della Banca di Francia, nonché dall’introduzione del franco d’argento che poneva fine all’era degli assegnati e dell’inflazione. La lunga lotta contro il Cattolicesimo si concludeva con il Concordato del 1801, ratificato da papa Pio VII, che stabiliva il Cattolicesimo «religione della maggioranza dei francesi» (benché non religione di Stato), ma non riconsegnava al clero i beni espropriati durante la rivoluzione. Nel campo dell’istruzione, Napoleone istituì i licei e i politecnici, per formare una classe dirigente preparata e indottrinata, ma tralasciò l’istruzione elementare, essendo dell’idea che il popolo dovesse rimanere in una certa ignoranza per garantire un governo stabile e un esercito ubbidiente. Il consolato di Napoleone divenne «a vita» con il plebiscito del 2 agosto 1802. Si apriva la strada all’istituzione dell’Impero napoleonico.
Il Codice Napoleonico
Durante l’esilio a Sant’Elena, Napoleone sottolineò più volte che la sua opera più importante, quella che sarebbe passata alla storia più delle tante battaglie vinte, sarebbe stata il suo codice civile. Il Codice napoleonico legittimò alcune delle idee illuministiche e giusnaturalistiche fu esportato in tutti i paesi dove giunsero le armate di Napoleone, fu preso a modello da tutti gli Stati dell’Europa continentale e ancora oggi è la base del diritto italiano. Istituita l’11 agosto 1799, la commissione incaricata di redigere il codice civile (composta dal Secondo Console Jean-Jacques Régis de Cambacérès e da quattro avvocati), fu presieduta molto spesso dallo stesso Napoleone, il quale ne leggeva le bozze durante le campagne militari e inviava a Parigi, dal fronte, le sue idee sul progetto. Il 21 marzo 1804 il Codice Civile, immediatamente ribattezzato Codice Napoleonico, entrava in vigore. Creava una società prevalentemente borghese e liberale, di ispirazione laica, nella quale venivano consacrati i diritti di eguaglianza, sicurezza e proprietà.
Opposizioni interne e pacificazione dell’europa
Napoleone dovette guardarsi le spalle dai suoi nemici, infatti dovette porre dei provvedimenti nei confronti dei suoi oppositori, dopo alcuni tentativi di attentati. Napoleone ne approfittò per mettere fuori legge i giacobini, molti dei quali vennero esiliati in Guyana, e disperdere i monarchici. Approfittando della assenza di Napoleone nella campagna di Egitto, intanto in Italia gli austriaci ripresero possesso di alcuni territori, quindi Napoleone, divenuto nel frattempo Primo console guidò con grande abilità strategica la marcia del suo esercito; valicò le Alpi al passo del Gran San Bernardo e colse di sorpresa gli austriaci impegnati nell’assedio di Genova. Il nemico venne rapidamente battuto nella battaglia di Montebello, mentre Napoleone rientrò a Milano. Il 14 giugno 1800 si combatté la decisiva battaglia di Marengo. Fu la più famosa delle battaglie napoleoniche in Italia, aspramente combattuta e dalle conseguenze decisive. Napoleone venne inizialmente messo in difficoltà dall’attacco austriaco e rischiò la sconfitta, ma alle otto della sera la battaglia si concluse con la completa vittoria del Primo console. A rovesciare le sorti della battaglia fu l’arrivo nel primo pomeriggio delle truppe di rinforzo del generale Louis Desaix che permise a Napoleone di contrattaccare con successo l’esercito. A Milano venne provvisoriamente ricostituita la Repubblica Cisalpina che verrà sostituita dopo i Comizi di Lione dalla Repubblica Italiana (1802-1805).
La pace in Italia venne sancita con il trattato di Lunéville, che in pratica riconfermava il precedente trattato di Campoformio violato dagli austriaci. Nel 1802 Napoleone venne proclamato Presidente della Repubblica Italiana, titolo che conserverà sino al 17 marzo 1805 quando assumerà quello di Re d’Italia, mentre il patrizio milanese Francesco Melzi d’Eril ne fu nominato vice Presidente.
Imperatore dei francesi e re d’Italia
Divenuto console a vita, Napoleone era in pratica sovrano assoluto della Francia. Il 18 maggio 1804 il Senato lo proclamò Imperatore dei francesi.
Il 2 dicembre del 1804, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, fu celebrata la cerimonia di incoronazione. Napoleone si auto-incoronò imperatore dei francesi e quindi incoronò imperatrice sua moglie Giuseppina di Beauharnais. Al contrario di come si sostiene solitamente, Napoleone non prese la corona dalle mani del Papa che pure presenziò senza partecipare direttamente alla cerimonia, su volontà dell’imperatore stesso.
Successivamente, il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano, Napoleone fu incoronato Re d’Italia. L’incoronazione a Milano fu fastosa, e accompagnata dai suoi più fedeli collaboratori in Italia, come il cardinale Bellisoni, il Fenaroli, il Baciocchi, il Melzi e l’Aldini. In questa occasione Napoleone, postosi sul capo la corona imperiale, fatta realizzare per l’occasione, pronunciò le famose parole: “Dio me l’ha data, guai a chi la tocca”. Rinasceva in Francia la monarchia, ma non era la stessa monarchia rovesciata nel 1792, poiché Napoleone era padrone assoluto, anche se una monarchia che però non si rifaceva alla nobiltà feudale dell’Ancien Régime, ma nella quale si attuavano alcuni princìpi illuministici della borghesia.
La conquista dell’Europa
Nel 1805 si formò in Europa la terza coalizione contro Napoleone; egli aveva trascorso l’ultimo anno sulle coste della Manica, a preparare una vasta operazione militare contro la Gran Bretagna ma, comprendendo le difficoltà di un’operazione di sbarco nelle Isole Britanniche e preoccupato dai propositi aggressivi delle potenze continentali, decise fin da agosto di rinunciare ai suoi piani di invasione e di organizzare un rapido trasferimento a marce forzate dell’intero esercito, ora denominato Grande Armata, dalle coste della Manica fino al Reno e al Danubio per sconfiggere le forze nemiche sul continente. Napoleone aveva fatto bene i suoi conti: il 21 ottobre, infatti, al largo di Trafalgar la flotta francese comandata dall’ammiraglio Pierre Charles Silvestre de Villeneuve veniva completamente annientata dagli inglesi al comando di Horatio Nelson, che morì durante lo scontro, colpito da un tiro di moschetto. Svanivano per sempre i sogni di invasione dell’Inghilterra.
Per mettere in ginocchio l’Inghilterra, unica potenza ancora in armi contro la Francia, Napoleone avviò un embargo. Tuttavia questo embargo, chiamato Blocco Continentale (poiché, nelle intenzioni del Bonaparte, tutta l’Europa continentale avrebbe dovuto aderire all’embargo contro le isole britanniche) non diede i risultati sperati. Il fallimento del blocco fu dovuto al fatto che molti paesi europei, per motivi di convenienza economica, non vi aderirono completamente, continuando a mantenere scambi commerciali con l’Inghilterra. Napoleone inoltre, per colpire il Portogallo che manteneva aperti i suoi porti alla flotta inglese, invase la Spagna e il Portogallo stesso, mentre successivamente la scelta della Russia di uscire dal blocco, costringerà Napoleone ad affrontare una campagna all’est che per lui sarà catastrofica.
La Campagna di Russia
Nonostante gli accordi stabiliti a Tilsit, lo zar Alessandro I di Russia temeva l’egemonia napoleonica e rifiutò di collaborare con lui riguardo al Blocco Continentale, per non danneggiare l’economia russa e perché segretamente sperava di formare una nuova coalizione antifrancese. Napoleone decise di cominciare una campagna decisiva contro la Russia per sottomettere lo zar al suo sistema di potere in Europa, costringerlo ad aderire al Blocco, privarlo della sua influenza in Polonia, Balcani, Finlandia, Persia. L’imperatore disponeva di circa 700.000 uomini, di cui circa 300.000 francesi e il resto contingenti stranieri provenienti da tutti gli stati vassalli e alleati del Grande Impero. I russi, comandati prima dal generale Michael Barclay de Tolly e poi dal generale Mikhail Kutuzov, timorosi di affrontare il preponderante esercito nemico e intimiditi dalla reputazione militare di Napoleone, decisero inizialmente di ritirarsi nel cuore della Russia. Una serie di vaste manovre strategiche, ideate da Napoleone per sconfiggere l’esercito nemico e concludere rapidamente la guerra, fallirono a causa di errori dei suoi luogotenenti, delle difficoltà del terreno e delle tattiche prudenti dei suoi avversari; a Vilna, a Vitebsk e soprattutto nella battaglia di Smolensk e nella battaglia di Valutino i russi, battuti ma non distrutti, riuscirono a evitare uno scontro decisivo e a ripiegare verso est.
Finalmente il 7 settembre, dopo la decisione del generale Kutuzov di combattere per difendere Mosca, ebbe luogo la grande battaglia di Borodino, a ovest della città: dopo una battaglia cruenta e molto combattuta, i russi, sconfitti, ripiegarono e Napoleone entrò a Mosca, convinto che Alessandro avrebbe negoziato la pace. Stabilitosi nel Cremlino, Napoleone non poteva immaginare che la città completamente vuota nascondesse in realtà un’insidia: nella notte Mosca cominciò a bruciare, essendo state appiccate le fiamme da alcuni russi nascosti nelle case. Napoleone, che aveva tentato a più riprese di venire a un accordo con Alessandro I senza riuscire neanche a far ricevere i propri messi, si rese conto della necessità di ritirarsi visto l’approssimarsi dell’inverno. Diede perciò ordine di cominciare la ritirata: era rimasto a Mosca non più di trentacinque giorni.
La sconfitta di Lipsia, l’abdicazione e l’esilio all’Elba
La prima a unirsi alla vittoriosa Russia fu la Prussia che, abbandonando l’alleanza con Napoleone, si schierò a fianco dello zar e della Gran Bretagna. Era la sesta coalizione. Napoleone, dopo essere rientrato a Parigi, organizzò in fretta, con l’afflusso di giovani reclute, un nuovo esercito e sconfisse i prussiani prima a Lützen e poi a Bautzen nel maggio 1813. Ma l’insidia più grande era l’Austria, la quale – non rispettosa dei patti – era pronta a scavalcare anche un matrimonio di stato come quello di Napoleone con Maria Luisa pur di sconfiggere l’odiato nemico. Nel corso di un memorabile e burrascoso incontro bilaterale a Dresda, Napoleone e Metternich non riuscirono a giungere a un accordo e il 12 agosto l’Austria si unì alla coalizione antifrancese. Dopo un’ultima importante vittoria francese nella battaglia di Dresda, le forze napoleoniche furono costrette lentamente a ripiegare sotto la pressione congiunta degli eserciti di Austria, Russia, Prussia e Svezia; l’esercito svedese era comandato dall’ex maresciallo francese Jean-Baptiste Jules Bernadotte. Nella decisiva battaglia di Lipsia, detta Battaglia delle Nazioni perché vi parteciparono eserciti di tutta Europa, l’inesperienza dell’esercito francese, la defezione dei contingenti tedeschi e la superiorità numerica delle forze nemiche furono i fattori che determinarono la sconfitta di Napoleone. L’esercito francese fu costretto a ritirarsi attraverso la Germania in piena insurrezione contro l’occupazione napoleonica, mentre anche i Paesi Bassi si rivoltavano e la Spagna era ormai persa. Rientrato precipitosamente a Parigi, Napoleone dovette subire l’insubordinazione di tutti i corpi politici: le Camere denunciarono solo ora la sua tirannia, la nuova nobiltà da lui creata gli girò le spalle, il popolo, ormai stanco della guerra, rimase freddo, i marescialli dell’Impero cominciarono a defezionare: tra i principali, Gioacchino Murat che passò al nemico per conservare il regno di Napoli.
Il giorno di Natale del 1813 la Francia veniva invasa dagli eserciti della coalizione. Intanto il fratello Giuseppe aveva capitolato e il nemico era entrato vittorioso in Parigi il 31 marzo con alla testa lo zar Alessandro I, che il giorno successivo aveva già fatto affiggere sui muri di Parigi il suo proclama indirizzato al popolo francese.
A Fontainebleau Napoleone passò giorni duri e difficili. Gli giunse notizia che il nemico aveva rigettato la sua proposta di pace che stabiliva il ritorno ai «confini naturali» della Francia. Lo zar Alessandro I gli impose l’abdicazione. Resosi ormai conto dell’evolversi della sua caduta, con inoltre l’aggravarsi dei cosacchi entrati in Parigi, il 12 aprile, presso il Castello di Fontainebleau, Napoleone tentò il suicidio ingerendo una forte dose di arsenico, conservato in una fialetta che l’imperatore si era procurato dopo la sconfitta in Russia, ma miracolosamente venne soccorso e salvato dai suoi collaboratori, che chiamarono i medici in tempo. Dopo un memorabile addio alla Vecchia Guardia, Napoleone subì il dramma della fuga quando, il 4 maggio 1814 sbarcò all’isola d’Elba, dove il nemico aveva deciso di esiliarlo, pur riconoscendogli la sovranità sull’isola con il rango di principe e la conservazione del titolo di imperatore.
Stabilitosi a Portoferraio, volle abitare presso la Palazzina dei Mulini.
I «cento giorni»
Anche se impegnato nei lavori all’Elba, Napoleone continuava a ricevere segretamente notizie della situazione francese tramite alcuni telegrafi ottici dislocati sulle alture dell’isola. Il nuovo sovrano, Luigi XVIII Borbone, era inviso alla popolazione: nel solco della Restaurazione, Luigi stava lentamente smantellando tutte le conquiste della Rivoluzione Francese mantenute da Napoleone. Queste notizie, aggiunte alla voce ormai certa che i nemici fossero prossimi a trasferirlo lontano dall’Europa, portarono Napoleone ad agire. Approfittando dell’assenza del commissario inglese sir Neil Campbell, recatosi a Livorno, Napoleone lasciò l’Elba il 26 febbraio 1815, salutato dalla popolazione di Portoferraio, con una flotta di sette bastimenti e circa mille uomini al seguito.
L’imperatore eluse la sorveglianza della flotta inglese e il 1º marzo 1815 sbarcò in Francia nel golfo di Cannes, a Golfe Juan, vicino ad Antibes: cominciava il periodo che sarà noto come i «Cento giorni». La popolazione lo accolse con un entusiasmo sorprendente e gli eserciti inviatigli contro da Luigi, invece di fermarlo, si unirono a lui. Il 20 marzo Napoleone entrò trionfalmente a Parigi.
Riorganizzato rapidamente l’esercito, Napoleone chiese ai nemici nuovamente coalizzatisi la pace, con la sola condizione di mantenere il trono di Francia: la sua richiesta non venne accettata. Intanto, in campo politico, l’imperatore aveva ben compreso i limiti del suo governo precedente e aveva promulgato una costituzione maggiormente liberale, l’Atto addizionale, che concedeva maggiori poteri alle Camere e la libertà di stampa. Per evitare una nuova invasione del suolo patrio, Napoleone fece la prima mossa, entrando di sorpresa in Belgio, dove erano schierati l’esercito britannico e l’esercito prussiano. Il suo piano prevedeva una manovra su due ali che avrebbero diviso e sconfitto separatamente i prussiani e i britannici prima che, superiori di numero, potessero congiungersi.
L’ala destra da lui comandata impegnò e sconfisse i prussiani del generale Blücher nella battaglia di Ligny, mentre il maresciallo Ney attaccò i britannici del duca di Wellington a Quatre-Bras, ma nessuno dei due combattimenti ebbe esito determinante. Così si giunse al 18 giugno 1815, la giornata della battaglia di Waterloo, descritta anche da Victor Hugo. Il piano strategico generale di Napoleone venne vanificato da alcuni errori dei suoi marescialli, principalmente Emmanuel de Grouchy, il quale, inviato a intercettare la colonna prussiana sfuggita a Ligny, in pratica si limitò solo a inseguire la retroguardia delle forze prussiane che si erano intanto riorganizzate e che, grazie alla loro determinazione, riuscirono a ricongiungersi con Wellington proprio nella fase decisiva della battaglia. Le forze britanniche del duca di Wellington e quelle prussiane di Blücher riuscirono a sconfiggere i francesi.
Impostagli dalla Camera la nuova abdicazione. Le forze nemiche, viceversa, entrarono a Parigi e rimisero sul trono Luigi XVIII. Napoleone si rifugiò al castello di Malmaison, la vecchia casa dove aveva abitato con la prima moglie Giuseppina, morta da poco. La sua intenzione era di fuggire negli Stati Uniti, ma rifiutò di travestirsi come sarebbe stato necessario per sfuggire alla cattura, perché ciò avrebbe infamato il suo onore. Invece il 15 luglio 1815 Napoleone si arrese agli inglesi. Il 15 ottobre 1815 Napoleone venne sbarcato prigioniero ed esiliato a Sant’Elena, una piccola isola nel mezzo dell’oceano Atlantico, ancora oggi possedimento britannico, così remota e sperduta da rendere impossibile ogni tentativo di fuga.
L’esilio a Sant’Elena e la morte
Con un piccolo seguito di fedelissimi, Napoleone fu trasferito nel villaggio interno di Longwood, dove rimase fino al decesso.
Sull’isola Napoleone ebbe la libertà di muoversi a suo piacimento sebbene fosse costantemente sorvegliato a vista da un piccolo contingente militare inglese; anche se non subì alcun processo o condanna, l’ormai ex imperatore si trovò praticamente a scontare un ergastolo in un posto lontano e sconosciuto. I dolori allo stomaco di cui già soffriva da tempo, acuitisi nel clima inospitale dell’isola e con il duro regime impostogli, lo condussero alla morte il 5 maggio 1821 alle ore 17:49. Le ultime parole di Napoleone furono Francia, esercito – capo dell’esercito – Giuseppina. Egli chiese di essere seppellito sulle sponde della Senna, ma fu invece seppellito a Sant’Elena, presso Sane Valley, come stabilito già l’anno prima dal governo inglese. Il governatore Lowe e i suoi uomini gli tributarono gli onori riservati ad un generale. L’autopsia accertò la causa di morte in un tumore dello stomaco. (n.b. articolo parzialmente tratto da Wikipedia)
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