M.I.S.E. 80^ EMISSIONE 2022, del 29 Novembre, di un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica “il Senso Civico” dedicato alla Medicina di genere

M.I.S.E. 80^ EMISSIONE 2022, del 29 Novembre, di un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica “il Senso Civico” dedicato alla Medicina di genere, dal valore indicato A Zona 2, corrispondente ad €4,50

  • data: 29 novembre 2022
  • dentellatura:  11 effettuata con fustellatura
  • dimensioni francobollo: 40 x 30 mm
  • stampa: in rotocalcografia
  • tipo di cartabianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente; grammatura: 90 g/mq; supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq; adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco)
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 350.010
  • valoreA zona 2
  • colori: cinque
  • bozzettistaDamiano Nembrini
  • num. catalogo francobolloMichel 4473 YT 4233 UNIF ________
  • Il francobollo: il francobollo raffigura, a sinistra, la figura di un camice bianco rappresentativo del personale medico dedicato, affiancato, su uno sfondo multicolorato, da una serie di visi stilizzati, rappresentativi di diversità di genere, età ed etnia, in riferimento alla personalizzazione dei servizi sanitari erogati per la diagnosi, la cura e la ricerca nella Medicina di genere. Completano il francobollo la legenda “MEDICINA DI GENERE”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “A ZONA 2”.

Se sei interessato all’acquisto di questo francobollo lo puoi acquistare al prezzo di €6,00 ; basta inviare una richiesta alla email: protofilia1@gmail.com

La medicina di genere è una branca della medicina che studia le differenze biologiche e socioculturali tra uomini e donne e l’influenza di questi fattori sullo stato di salute e di malattia, nonché sulla risposta alle terapie.

Lo scopo della medicina di genere è conseguentemente quello di garantire l’appropriatezza diagnostico-terapeutica rendendo possibili trattamenti su misura del singolo individuo.

Va segnalato che questo tipo di approccio non si basa comunque sulla semplice distinzione sessuale. Infatti:

  • il sesso si riferisce alle differenze biologiche, che sono universali e immutabili in quanto geneticamente determinate
  • il genere si riferisce a caratteristiche psichiche, sociali e culturali, che possono condizionare le differenze biologiche e che possono essere modificate (per esempio in rapporto a etnia, età, modo di vivere, cibo).

Numerosi studi dimostrano che uomini e donne sono diversi dal punto di vista della sensibilità alle malattie e del mantenimento della salute. Sappiamo che le donne vivono più a lungo degli uomini (vita media degli uomini 80,6 anni e delle donne 84,9 anni-dati ISTAT 2017), ma si ammalano di più, consumano più farmaci e, conseguentemente, sono più esposte alle reazioni indesiderate (reazioni avverse) causate dai medicinali. Sono anche “svantaggiate” rispetto agli uomini perché più facilmente soggette a disoccupazione, difficoltà economiche e violenze fisiche e psicologiche. Se si considerano gli anni di vita trascorsi in buona salute, il vantaggio a favore delle donne diminuisce considerevolmente.

Storia

La medicina ha sempre avuto un’impostazione androcentrica: la donna veniva considerata come un “piccolo uomo” e l’attenzione alle specificità femminili riguardava solo aspetti legati alla riproduzione Uno dei primi studi di impostazione diversa risale comunque al 1932, quando Nicholas e Barrow notarono che nelle ratte femmine la dose ipnoinducente di barbiturici era inferiore del 50% rispetto a quella dei ratti maschi.

Solo negli anni Ottanta del Novecento si diffuse la consapevolezza che le donne non ricevevano cure adeguate alle proprie caratteristiche, con gravi diseguaglianze di trattamento.

Nel 1991 Bernardine Healy, cardiologa statunitense e direttrice del National Institute of Health, pubblicò sul New England Journal of Medicine un editoriale intitolato The Yentl syndrome, nel quale evidenziava le differenze nella gestione dell’infarto nei due generi. Il numero di interventi diagnostici e terapeutici nelle donne era molto ridotto rispetto a quello degli uomini e l’approccio clinico-terapeutico risultava discriminatorio e insufficiente se confrontato con quello praticato negli uomini. Fu menzionata per la prima volta in medicina la “questione femminile”.

Negli anni successivi si afferma quindi la medicina di genere, con l’obiettivo di comprendere come le differenze legate al genere agiscano sull’insorgenza e il decorso di molte malattie, nonché sulla salute in generale e sugli esiti delle terapie.

L’OMS nel 2000 inserì la medicina di genere nel documento “Equity Act”, cercando di aumentare adeguatezza e appropriatezza delle cure secondo il genere del/della paziente, non solo secondo il sesso. Due anni dopo, l’organizzazione creò il Dipartimento per il Genere e la salute della donna.

Nel 2007 l’OMS pose infine tra i propri obiettivi quello di creare strategie nazionali per includere il genere nei programmi e nella ricerca, quello di sostenere e promuovere la ricerca e la formazione di genere in tutte le sedi istituzionali nazionali e internazionali e quello di aiutare lo sviluppo di nuovi farmaci e di nuove terapie mirate al genere.

Riferimenti normativi italiani

In Italia nel 1999 il Ministero per le pari opportunità ha costituito un gruppo di lavoro chiamato Medicina Donna-Salute con l’obiettivo di superare le disparità di genere e ha attivato il progetto “Una salute a misura di donna”.

Il Ministero della salute incaricò nel 2003 un’équipe di specialisti di formulare linee guida sulle sperimentazioni cliniche farmacologiche, tenendo conto della variabile uomo-donna. Successivamente nel 2005 venne istituito l’Osservatorio Nazionale della Salute della Donna, con l’obiettivo di compiere studi, informare e formare sulla salute della donna, attraverso sinergie con altri Istituti che si occupano del tema.

Nel 2007 l’Istituto superiore di sanità ha creato un gruppo di lavoro per vagliare le differenze biologiche tra i due sessi, e ha coordinato il progetto “Salute Donna” che ha coinvolto 25 unità operative sparse sul territorio nazionale, sull’analisi di cinque aree di azione prioritaria (immunità ed endocrinologia, malattie dismetaboliche e cardiovascolari, malattie iatrogene e reazioni avverse, ambiente di lavoro, determinanti della salute della donna).

Nel 2008 è stato approvato dal Comitato nazionale di Bioetica il testo sulla sperimentazione farmacologica sulle donne, nel quale veniva affermata la necessità di un equo coinvolgimento dei due sessi nelle sperimentazioni cliniche.

Il 27 marzo 2012 la Camera dei Deputati del Parlamento italiano ha approvato all’unanimità una mozione che si pone come obiettivo quello di garantire a ogni individuo, donna e uomo, la terapia più adeguata, investendo sulla medicina di genere per dare concretezza al concetto di centralità del paziente nella ricerca e messa a punto di trattamenti efficaci e innovativi per la tutela della salute.

Il 5 agosto 2013 il Parlamento Italiano ha presentato alla Camera dei Deputati la proposta di legge n.1485 “Norme in materia di Medicina di Genere”.

Nel 2018 con la legge n.3/2018 (decreto Lorenzin) viene per la prima volta stabilito che il Ministero della salute, con l’Istituto superiore di Sanità, dovrà pianificare una strategia per la diffusione della medicina di genere attraverso la divulgazione, formazione e promozione di pratiche sanitarie che tengano conto delle differenze derivanti dal genere nella ricerca, prevenzione, diagnosi e cura.

Medicina di genere e sperimentazione clinica

La sotto-rappresentazione delle donne nelle sperimentazioni cliniche è un problema noto da tempo in parte condiviso con bambini, bambine  e persone anziane. Il problema è dovuto a vari fattori:

  1. Ragioni biologiche. Le donne sono state sempre considerate soggetti “difficili” a causa delle variazioni biologiche, fisiologiche, enzimatiche ed ormonali dovute all’età fertile e non fertile (ciclo mestruale, gravidanza, allattamento, menopausa) e alla possibile assunzione di contraccettivi. Questo non permette di ottenere dati “puliti” nei test clinici in cui partecipano uomini e donne, e diminuisce la rilevanza statistica dei risultati ottenuti.
  2. Possibile gravidanza in età fertile. Altro motivo per il quale si tende a sotto-rappresentare le donne nelle sperimentazioni è la possibilità che si verifichi una gravidanza durante l’assunzione del farmaco, con possibili conseguenze negative per il feto, anche a distanza di mesi dopo il termine della sperimentazione. Di conseguenza la casa farmaceutica che si occupa di gestire la sperimentazione clinica impone l’uso di contraccettivi durante la partecipazione allo studio. Si possono trovare donne che non hanno rapporti sessuali o sono sterili.
  3. Fattori socio-culturali. Alcuni studi hanno dimostrato che le donne hanno più difficoltà a partecipare alle sperimentazioni cliniche a causa del minor tempo a disposizione rispetto all’uomo (dedicano più tempo alla cura della famiglia) e per ragioni economiche (reddito inferiore rispetto all’uomo).
  4. Ragioni ambientali esterne. Anche lo stile di vita può influenzare la risposta dei farmaci durante la sperimentazione: le donne tendono a utilizzare maggiormente rimedi naturali e/o integratori alimentari rispetto agli uomini. Sebbene nelle sperimentazioni cliniche il trattamento sia uguale per tutti i soggetti arruolati non è sempre possibile valutare le differenze dello stile di vita. I rimedi naturali possono, per esempio, interagire con il farmaco inficiando i dati. Ma tutti i soggetti alla sperimentazione dichiarano cosa assumono e come si nutrono, non solo le donne.

Ambiti di applicazione della medicina di genere

Medicina di genere e dolore

Il dolore è un’esperienza complessa, che dipende oltre che da componenti fisiche (come le dimensioni corporee) anche da componenti psichiche e socioculturali. Per esempio l’ansia e la depressione hanno un ruolo determinante e sono fattori che possono differire in modo sostanziale nell’uomo e nella donna.

La ricerca ha accertato che le donne presentano un dolore più intenso e più persistente rispetto agli uomini e un maggior numero di ricorrenze nelle malattie croniche.

In vari studi effettuati sul dolore post operatorio in pazienti con il sistema di somministrazione controllato direttamente dal paziente (PCA), si è visto che gli uomini necessitano di una quantità di morfina superiore del 60% rispetto alle donne per ottenere lo stesso sollievo dal dolore. Gli uomini sono quindi meno sensibili alla morfina rispetto alle donne.

Sono state condotte delle ricerche riguardo alle differenze nella risposta a due tipi di analgesici presenti in commercio: gli antinfiammatori non steroidei e gli oppioidi.

Lo studio dell’ibuprofene, un antinfiammatorio non steroideo ampiamente usato per ridurre il dolore, ha dimostrato che l’effetto analgesico era assente in soggetti femmine ma presente nei maschi. La concentrazione plasmatica era simile nei due sessi quindi la differenza osservata non poteva essere attribuita ad un’inadeguata dose di ibuprofene e neanche ai livelli iniziali di dolore, dal momento che l’effetto analgesico veniva misurato come variazione dalla baseline.

Lo studio condotto sugli analgesici oppioidi ha dimostrato che nella donna si ha un maggior effetto analgesico, ma l’inizio dell’analgesia è più lento a fronte di un effetto più duraturo. Non si è osservata, invece, nessuna differenza tra i due sessi nella concentrazione plasmatica di morfina o dei suoi metaboliti (articolo parzialmente estrapolato da internet vari siti).

Testo bollettino

La Medicina di genere studia le differenze biologiche e di genere tra uomo, donna, bambino, adulto e anziano, legate a condizioni sanitarie, ambientali, socio-economiche, relazionali, etniche e culturali e la loro influenza sullo stato di salute e benessere delle persone, rappresentando un punto d’interesse fondamentale e trasversale nella medicina generale e specialistica. L’obiettivo è quello di identificare le differenze nella fisiopatologia delle malattie, di descrivere le diverse manifestazioni cliniche, di valutare l’appropriatezza e l’efficacia degli interventi diagnostici e terapeutici, di determinare specifiche azioni di prevenzione, di sviluppare protocolli di ricerca clinica e farmacologica che trasferiscano i risultati degli studi genere-specifici nella pratica clinica, di sviluppare le conoscenze nel percorso universitario di medicina e chirurgia e delle professioni sanitarie.   L’organizzazione sanitaria in un’ottica di medicina di genere persegue il rispetto dei principi di universalità ed equità attraverso la personalizzazione delle cure e dell’assistenza in tutte le fasi della vita.

L’Italia è stato il primo Paese al mondo a dotarsi di una Legge 3/2018 con l’articolo 3 “Applicazione e diffusione della medicina di genere nel Servizio sanitario nazionale” da cui è stato predisposto il Piano Nazionale per l’applicazione e la diffusione della Medicina di genere che ha evidenziato quattro aree principali di azione: percorsi clinici, ricerca, formazione, comunicazione e gli indicatori di monitoraggio per una reale applicazione della Medicina di genere sul territorio nazionale.

On. Dott.ssa Fabiola Bologna

Segretario XII Commissione Affari Sociali e Sanità

Camera dei Deputati- XVIII Legislatura

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