M.I.S.E. 78- 79 e 80^ EMISSIONE “Le eccellenze italiane dello spettacolo” di tre francobolli dedicati ad Enrico Caruso, Giuseppe Di Stefano e Franco Corelli

Il Ministero dello Sviluppo Economico emette il 25 ottobre, distribuiti dalle Poste Italiane, tre francobolli ordinari appartenenti alla serie tematica le eccellenze italiane dello spettacolo dedicati ad Enrico Caruso, nel centenario della scomparsa, ed a Giuseppe Di Stefano e Franco Corelli, nel centenario della nascita, al valore della tariffa B, corrispondente ad €1.10, per ciascun francobollo.

  • data: 25 ottobre 2021
  • dentellatura: 11
  • dimensioni francobollo: 30 x 40 mm
  • stampa: rotocalcografia
  • tipo di cartapatinata gommata, fluorescente non filigranata
  • colori: cinque
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 200.000
  • valoreB = €1.10
  • bozzettista G. Milite
  • num. catalogo francobolloMichel__4356____ YT _______ UNIF _4299__
  • Il francobollo: La vignetta raffigura un ritratto di Enrico Caruso, con un sipario sullo sfondo, libera reinterpretazione di una fotografia di Roberto Peli, custodita presso il Museo Enrico Caruso di Villa Caruso Bellosguardo del comune di Lastra a Signa. Delimitati dal particolare di un disco di vinile, che contraddistingue il francobollo dedicato ai personaggi della musica appartenenti alla serie tematica “Le eccellenze italiane dello spettacolo”. Completa il francobollo la rispettiva leggenda “Enrico Caruso”, la Scritta “Italia” e l’indicazione tariffaria “B”.
  • data: 25 ottobre 2021
  • dentellatura: 11
  • dimensioni francobollo: 30 x 40 mm
  • stampa: rotocalcografia
  • tipo di cartapatinata gommata, fluorescente non filigranata
  • colori: cinque
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 200.000
  • valoreB = €1.10
  • bozzettista R. Fantini
  • num. catalogo francobolloMichel__4357____ YT _______ UNIF _4200__
  • Il francobollo: La vignetta raffigura un ritratto di Giuseppe Di Stefano, con le logge di un teatro alle sue spalle. Delimitati dal particolare di un disco di vinile, che contraddistingue il francobollo dedicato ai personaggi della musica appartenenti alla serie tematica “Le eccellenze italiane dello spettacolo”. Completa il francobollo la rispettiva leggenda “Giuseppe Di Stefano”, la Scritta “Italia” e l’indicazione tariffaria “B”.
  • data: 25 ottobre 2021
  • dentellatura: 11
  • dimensioni francobollo: 30 x 40 mm
  • stampa: rotocalcografia
  • tipo di cartapatinata gommata, fluorescente non filigranata
  • colori: sei
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 200.000
  • valoreB = €1.10
  • bozzettista M. C. Perrini
  • num. catalogo francobolloMichel__4358____ YT _______ UNIF _4201_
  • Il francobollo: La vignetta raffigura un ritratto di Franco Corelli in abito da scena, in primo piano su una locandina teatrale. Delimitati dal particolare di un disco di vinile, che contraddistingue il francobollo dedicato ai personaggi della musica appartenenti alla serie tematica “Le eccellenze italiane dello spettacolo”. Completa il francobollo la rispettiva leggenda “Franco Corelli”, la Scritta “Italia” e l’indicazione tariffaria “B”.

Se sei interessato all’acquisto di UNO di questi francobolli li puoi acquistare al prezzo di € 1,50 cadauno inviandomi una richiesta alla mia email: protofilia1@gmail.com

ENRICO CARUSO

Enrico Caruso (Napoli, 25 febbraio 1873 – Napoli, 2 agosto 1921) è stato un tenore italiano.

Dalla critica e dagli amatori è considerato per carisma e temperamento tra i più grandi tenori di fama mondiale.

Enrico Caruso

Biografia

Infanzia ed esordi

Enrico Caruso nacque a Napoli, nel quartiere di San Carlo all’Arena, in via Santi Giovanni e Paolo 7, il 25 febbraio del 1873 da genitori originari di Piedimonte d’Alife (rinominato, nel 1970, Piedimonte Matese), nell’allora provincia di Terra di Lavoro (confluito poi nella neo-costituita provincia di Caserta nel 1945). Il padre, Marcellino Caruso (1840–1908), era un operaio metalmeccanico, mentre la madre, Anna Baldini (1838–1888), era una donna delle pulizie.

Oltre a cantare nel coro della chiesa, Enrico fece qualche apparizione in spettacoli teatrali. La sua voce nel frattempo si era irrobustita e le piccole rappresentazioni cominciarono a non bastargli più. La sua fortuna iniziò quando il baritono Eduardo Missiano, sentendolo cantare a un funerale nella chiesa di Sant’Anna alle Paludi, una messa di Saverio Mercadante, si entusiasmò a tal punto che lo presentò al maestro Guglielmo Vergine, il quale accettò di dargli lezioni per migliorare la voce, ma pretese da lui il 25% dei suoi compensi con un contratto che sarebbe durato cinque anni.

Nel 1894 Caruso venne chiamato alle armi, ma dopo solo un mese e mezzo, grazie alle leggi in vigore a quel tempo e a un maggiore che era amante della musica, venne congedato e inviato a casa per permettergli di continuare a cantare e a studiare. Dopo le lezioni con il maestro Vergine, Caruso si sentiva ormai pronto all’esordio, ma alle prove per la Mignon di Ambroise Thomas non venne accettato. Esordì il 15 marzo 1895 nel ruolo del titolo in L’amico Francesco di Mario Morelli, percependo 80 lire per quattro rappresentazioni (poi ridotte a due (15 e 20 marzo) a causa dello scarso afflusso di pubblico e nonostante una buona critica).

Un amore sfortunato

Iniziò a esibirsi nei teatri di Caserta, Napoli e Salerno, e fece la sua prima esibizione all’estero, al Cairo, percependo 600 lire per un mese di lavoro. Nel 1897, a Salerno, Caruso conobbe il direttore d’orchestra Vincenzo Lombardi che gli propose di accompagnarlo nella stagione estiva a Livorno. Qui Caruso conobbe il soprano Ada Botti Giachetti, sposata e madre di un bambino. Con lei ebbe una relazione che durò undici anni, da cui nasceranno due figli: Rodolfo (1898–1951) ed Enrico junior (1904–1987). Ada lo lasciò per fuggire con Romati, il loro autista, con il quale cercò anche di estorcergli denaro. La vicenda finì in un’aula di tribunale con la dichiarazione di colpevolezza per Giachetti, condannata a tre mesi di reclusione e a 100 lire di multa.

Al Teatro San Carlo

Nel 1897 Caruso esordì al Teatro Lirico di Milano nel ruolo di Federico ne L’Arlesiana di Francesco Cilea, il cui Lamento di Federico ottenne un grande successo. Poi è Loris in Fedora di Umberto Giordano; seguirono poi tournée in Russia, a Lisbona, Roma, Montecarlo e al Covent Garden di Londra dove interpretò il Rigoletto di Giuseppe Verdi; l’anno dopo si esibì a Buenos Aires.

Il 16 maggio 1897, in occasione dell’inaugurazione del Teatro Massimo di Palermo, si esibì nell’opera verdiana Falstaff.

Nel luglio 1899 fu Rodolfo nella prima rappresentazione nel Royal Opera House, Covent Garden di Londra di La bohème di Giacomo Puccini.

Nel novembre 1899 nel Teatro Costanzi di Roma interpretò Osaka nella ripresa di Iris di Pietro Mascagni, Enzo nella ripresa di La Gioconda di Amilcare Ponchielli e con Faust in Mefistofele termina nel mese di dicembre.

Nel dicembre 1900 Caruso cantò nuovamente alla Scala, in occasione della ripresa di La Bohème, serata inaugurale della stagione lirica, diretta da Arturo Toscanini e, nel 1901 a Napoli al Teatro San Carlo dietro un compenso di 3.000 lire a recita. Qui, la tradizione o forse la leggenda vogliono che durante l’interpretazione de L’elisir d’amore abbia avuto la sua più grande delusione: la sua emozione e un’insicurezza malcelata non lo avrebbero fatto cantare al meglio. Fortemente deluso dalla reazione dei suoi concittadini e dalle critiche che gli sarebbero state rivolte, centrate sul fatto che la sua voce fosse portata maggiormente al registro di baritono piuttosto che a quello di tenore, avrebbe deciso di esiliarsi e di non cantare mai più nella sua città natale.

Le cronache del 31 dicembre 1901 e del 5 gennaio 1902 su Il Pungolo, il quotidiano che seguiva la vita teatrale di Napoli, riportano in realtà dell’emozione che irretì il tenore nel primo atto, rotta dagli applausi sempre crescenti fino alla richiesta del bis. E ancor meglio andarono le repliche. Semmai sarebbe stata la severa ma non prevenuta critica di Saverio Procida sempre su Il Pungolo a infastidire fortemente Caruso, cui il critico rimproverò la scelta di un repertorio al di sotto delle sue possibilità vocali e interpretative. Caruso effettivamente non cantò più né a Napoli né in nessun altro teatro in Italia andando incontro al suo successo negli Stati Uniti e in Sudamerica.

Sempre nel 1901 interpretò Florindo nella première nel Teatro alla Scala di Milano di Le maschere di Pietro Mascagni diretto da Arturo Toscanini, e il duca di Mantova nella ripresa nel Teatro Comunale di Bologna di Rigoletto di Giuseppe Verdi. Nel febbraio 1902, nella Salle Garnier del Théâtre du Casino di Montecarlo con Nellie Melba, fu Rodolphe nella prima rappresentazione di La vie de bohème di Giacomo Puccini, e ancora il duca di Mantova nella ripresa di Rigoletto.

Caruso e i dischi

L’11 aprile del 1902 a Milano, Caruso incise dieci dischi con arie d’opera per conto della casa discografica inglese Gramophone & Typewriter Company. Il cantante napoletano fu il primo a cimentarsi con grande successo nella nuova tecnologia, fino ad allora snobbata dagli altri cantanti. Fu il primo artista nella storia a vendere più di un milione di dischi con l’aria Vesti la giubba dall’opera Pagliacci, incisa negli Stati Uniti nel 1904 e 1907 per l’etichetta Victor. Il singolo della Victrola nella versione di Caruso venne premiato con il Grammy Hall of Fame Award 1975.

Caruso e il Metropolitan

A novembre del 1903 si recò negli Stati Uniti, quando ancora stava con la sua amata Ada; il contratto col Teatro Metropolitan di New York lo ottenne grazie alla mediazione del banchiere Pasquale Simonelli, e il suo debutto avvenne il 23 novembre con il duca di Mantova nella ripresa di Rigoletto. Il pubblico gli chiese di bissare La donna è mobile.

Passato l’impasse della prima, ebbe un tale successo con le successive rappresentazioni da diventare l’idolo dei melomani dell’epoca. Sempre nel 1903 al Metropolitan Opera House fu Radamès in Aida, Cavaradossi in Tosca (bissando E lucevan le stelle), Rodolfo in La bohème, Canio in Pagliacci (bissando Vesti la giubba) e Alfredo in La traviata. Nel gennaio 1904 interpretò Edgardo in Lucia di Lammermoor e Nemorino in L’elisir d’amore. Caruso stesso commissionò a Tiffany & Co. la produzione di una medaglia in oro 24 carati col suo profilo, per ricordo delle sue recite al Metropolitan di New York, da distribuirsi tra i suoi intimi.

Caruso pretendeva ingaggi esorbitanti, ma era anche capace di cantare gratis per allietare gli emigranti. Non ci fu solo la fama in America per Caruso, poiché il tenore subì anche la gelosia e l’invidia.

Nel marzo 1904 fu ancora il duca di Mantova nella ripresa nella Salle Garnier del Théâtre du Casino di Montecarlo di Rigoletto; in aprile comparve nella prima rappresentazione nel Théâtre Sarah-Bernhardt di Parigi con Lina Cavalieri; ancora al Met nel novembre 1904 fu Enzo In La Gioconda; in dicembre interpretò Gennaro nella Lucrezia Borgia, bissando Com’è soave, e nel febbraio 1905 Raoul de Nangis in Les Huguenots e Riccardo in Un ballo in maschera.

Nel maggio 1905 fu Loris Ipanov nella prima rappresentazione nel Théâtre Sarah-Bernhardt di Parigi di Fedora di Umberto Giordano, ancora con Lina Cavalieri.

Al Metropolitan nel 1905 in novembre fu Fernando in La Favorita; in dicembre Elvino in La sonnambula; nel 1906 in gennaio Faust nell’opera omonima; in febbraio Lionel in Martha, bissando M’appari e Don José in Carmen; in dicembre il Conte Loris Ipanov in Fedora, sempre con Lina Cavalieri: visto l’entusiasmo del pubblico al termine del II atto, Enrico Caruso e Lina Cavalieri ne bissarono la scena finale.

Nel gennaio 1907 interpretò Maurice nella prima rappresentazione alla French Opera House di New Orleans di Adriana Lecouvreur, con Lina Cavalieri; al Metropolitan, Vasco de Gama in L’Africaine e Des Grieux in Manon Lescaut con Lina Cavalieri; ancora al Met in febbraio fu Pinkerton in Madama Butterfly; in novembre Maurizio in Adriana Lecouvreur con Lina Cavalieri; in dicembre Osaka in Iris; nel marzo 1908, Manrico in Il trovatore; e in dicembre Turiddu in Cavalleria rusticana, diretto da Toscanini.

La sua versione registrata di Celeste Aida nel 1908 verrà premiata con il Grammy Hall of Fame Award 1993.

Gli ultimi anni

Tra il 1909 e il 1911 Caruso incise una serie di ventidue canzoni napoletane che comprendeva anche Core ‘ngrato, scritta da Riccardo Cordiferro e da Salvatore Cardillo e ispirata alle sue vicende sentimentali dopo l’abbandono da parte della Giachetti. Caruso fu il primo ad incidere Core ‘ngrato nel 1911 e per un fatto curioso, rispetto al testo conosciuto o per lo meno che ci è stato tramandato, questa registrazione presenta nella seconda parte del brano, una differenza sostanziale in alcune frasi tanto da chiedersi quale sia effettivamente la versione e il testo originale. Sempre nel 1909, viene operato a Milano per una laringite ipertrofica, intervento che sul momento non compromise la sua carriera, tanto da consentirgli di continuare le sue tournée per il mondo, senza trascurare recite per beneficenza durante il periodo della guerra. Nel gennaio 1910 fu Federico in Germania diretto da Toscanini al Metropolitan; in giugno, Faust e Othello nelle riprese parziali al Théâtre de l’Opéra di Parigi di Faust di Charles Gounod, e del 3° atto di Othello di Giuseppe Verdi; in novembre, Rinaldo nella prima rappresentazione di Armide di Christoph Willibald Gluck, al Metropolitan Opera House di New York, diretto da Arturo Toscanini; il 10 dicembre, Dick Johnson nella première di La fanciulla del West di Giacomo Puccini.

Al Wiener Staatsoper nel 1912 fu Gustaf III in Un ballo in maschera, e Mario Cavaradossi in Tosca; nel 1913, Des Grieux in Manon diretto da Toscanini; nel 1914, Julien nell’opera omonima di Gustave Charpentier; e nel 1915 Samson in Samson et Dalila.

Nel 1915, in marzo, interpretò Arturo Buklaw nella ripresa di Lucia di Lammermoor alla Salle Garnier del Théâtre du Casino di Montecarlo; in aprile, Canio nella ripresa di Pagliacci Ruggero Leoncavallo; nel 1916, Nadir in Les pêcheurs de perles al Metropolitan; nel 1918, Flammen in Lodoletta, Jean de Leyden in Le prophète con Claudia Muzio, Avito in L’amore dei tre re, ancora con Muzio, e Don Alvaro in La forza del destino, con Rosa Ponselle.

Il 28 agosto del 1918 sposò Dorothy Benjamin (1893–1955), ragazza statunitense di buona famiglia, dalla quale ebbe una figlia, Gloria (1919–1999).

Nel 1919 al Met cantò in un concerto dedicato ai suoi 25 anni di carriera e fu Eléazar in La Juive con la Ponselle.

Malattia e morte

Dopo una lunga tournée in Nordamerica, nel 1920, la salute del tenore iniziò a peggiorare. Varie le ipotesi al riguardo: suo figlio Franco, per esempio, collocava l’evento scatenante in un incidente occorso durante il Sansone e Dalila del 3 dicembre, quando il tenore fu colpito al fianco sinistro da una colonna crollata dalla scenografia. Il giorno dopo, prima della rappresentazione di Pagliacci, Caruso ebbe un accesso di tosse e lamentò un forte dolore intercostale.

L’11 dicembre, il tenore ebbe una forte emorragia dalla gola; la rappresentazione fu sospesa dopo il primo atto. Il 24 dicembre fece la sua ultima apparizione al Met con Eléazar in La Juive. Complessivamente Caruso andò in scena per 863 rappresentazioni al Metropolitan.

Solo il giorno di Natale, quando il dolore si era fatto insostenibile, gli fu diagnosticata una pleurite infetta. Operato il 30 dicembre al polmone sinistro, trascorse la convalescenza in Italia, a Sorrento; qui fu raggiunto dal medico Giuseppe Moscati  il quale fu però contattato quando ormai ben poco restava da fare. Trasportato da Sorrento a Napoli, Caruso vi morì il 2 agosto 1921, assistito dalla moglie e da chi gli voleva bene all’età di 48 anni.

È sepolto a Napoli, in una cappella privata nel cimitero di Santa Maria del Pianto in via Nuova del Campo (Doganella), a pochi metri dalla tomba di Antonio de Curtis, in arte Totò.

Caruso interpretò due film come protagonista: Mio cugino e The Splendid Romance.

Agli ultimi giorni di vita del grande tenore si ispirò, anni dopo, Lucio Dalla; per circostanze fortuite, infatti, il cantautore bolognese si trovò ospite nella stanza dell’albergo di Sorrento dove Caruso aveva soggiornato prima di trasferirsi a Napoli, e dal racconto dei proprietari dell’albergo Dalla trasse lo spunto per comporre una delle sue più celebri canzoni, Caruso ( articolo tratto dal sito Wikipedia).

GIUSEPPE DI STEFANO

Giuseppe Di Stefano (Motta Sant’Anastasia, 24 luglio 1921 – Santa Maria Hoè, 3 marzo 2008) è stato un tenore italiano, uno dei cantanti lirici più popolari e amati del dopoguerra.

Giuseppe Di Stefano

Biografia

I primi anni

“Pippo”, come lo hanno sempre chiamato amici, colleghi e fan, passa la giovinezza a Milano, dove i genitori si trasferiscono alla ricerca di migliori condizioni economiche e dove il padre trova un modesto impiego come calzolaio e la madre fa la sarta. Viene educato in un seminario dei Gesuiti, meditando per qualche tempo di avvicinarsi al sacerdozio. Successivamente, grazie all’amico melomane Danilo Fois che, pur non interessato, lo trascina per ore e ore al loggione della Scala, inizia a dedicarsi al canto, formandosi in modo frammentario presso vari maestri (tra i quali il baritono Luigi Montesanto, che diverrà poi suo agente), le cui lezioni vengono pagate da Fois e da altri amici. Nel 1938 vince un concorso di canto a Firenze.

Allo scoppio della guerra viene arruolato nell’esercito, finendo ripetutamente in cella per il suo comportamento. Grazie ad un ufficiale medico che lo giudica “più utile all’Italia come cantante che come soldato“, sfugge allo sterminio del proprio reggimento nella campagna di Russia, ottenendo una licenza per una convalescenza fittizia poche ore prima della partenza per il fronte. Inizia quindi un’attività come cantante di musica leggera ed avanspettacolo con lo pseudonimo di Nino Florio, in quello che descrive come “bombardamenti a parte, il periodo più bello della mia vita“. Trascorre l’ultimo periodo della guerra in Svizzera, dove ha l’opportunità di esibirsi presso la radio di Losanna, alternando brani lirici e canzoni (rimangono al riguardo alcune registrazioni acquisite dalla EMI).

La carriera

Tornato a Milano dopo il termine del conflitto, riprende le lezioni di canto e, dopo alcuni piccoli ruoli, debutta ufficialmente il 20 aprile 1946 a Reggio Emilia come protagonista di Manon, iniziando rapidamente un’intensa attività in teatri di provincia e anche in sedi più importanti, come Genova (Rigoletto), Bologna (La sonnambula), Venezia (I pescatori di perle). Nello stesso anno, bruciando le tappe, inizia inoltre la carriera internazionale inaugurando la stagione del Gran Teatre del Liceu di Barcellona, ancora con Manon. Con il medesimo ruolo, il 15 gennaio del 1947 debutta al Teatro dell’opera di Roma e il 15 marzo alla Scala, mentre il 25 febbraio del 1948, come Duca di Mantova in Rigoletto, è la volta del Metropolitan di New York, nel quale sarà una presenza fissa fino al 1952. Nel 1951, con La traviata a San Paolo del Brasile, diretta da Tullio Serafin, inizia il legame artistico con Maria Callas.

Oltre che nei principali teatri italiani e in particolare alla Scala, dove, dopo il soggiorno al Met e tournée in Centro e Sudamerica, fa ritorno nel dicembre 1952 con La bohème e dove apparirà regolarmente fino a tutti gli anni cinquanta, la carriera si sviluppa in tutti gli altri più importanti teatri del mondo, tra cui Vienna, Parigi, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Città del Messico, San Francisco, Chicago, Johannesburg. Un po’ più tardivo è l’esordio in Gran Bretagna, al festival di Edimburgo nel 1957 (L’elisir d’amore), mentre nel 1961 appare al Covent Garden di Londra (Tosca).

Tappe fondamentali, rimaste nella storia dell’opera, sono alcune rappresentazioni alla Scala, tra le quali Lucia di Lammermoor nel 1954, con la Callas e la direzione di Herbert von Karajan, Carmen nel 1955, con Giulietta Simionato e ancora Karajan sul podio, La traviata, nello stesso anno, sempre con la Callas, nella storica edizione con la regia di Luchino Visconti, Tosca nel 1958, in occasione del rientro alla Scala dopo diversi anni di Renata Tebaldi.

Dalla seconda metà degli anni sessanta inizia a sfoltire progressivamente gli impegni operistici, privilegiando recital e concerti, dedicandosi anche all’insegnamento e tenendo seminari e stage di canto. Ottiene inoltre un grande successo in Germania come interprete di operetta (che esegue in lingua originale), in quel paese genere nobile e molto amato. Da segnalare anche la partecipazione al Festival di Sanremo del 1966 con la canzone Per questo voglio te, il cui testo è firmato da Mogol, che però non raggiunge la finale. Nel 1973 è ancora una volta partner di Maria Callas nella sua ultima tournée mondiale, che ha un eccezionale successo di pubblico, ma che si interrompe poi bruscamente. Nel 1975 tiene un master a Spoleto per i vincitori del Concorso Nazionale di canto Teatro lirico sperimentale “Adriano Belli”, firmando anche un’aria della Bohème. A partire dagli anni ’80 non appare più sulle scene, ritornando eccezionalmente per un’ultima volta in una rappresentazione operistica nel 1992 alle Terme di Caracalla, come imperatore Altoum nella Turandot.

Vita privata e morte

Nel 1949 sposa a New York la studentessa di conservatorio Maria Girolami, che gli dà tre figli e dalla quale di separa nel 1976. Nel 1977 inizia una nuova relazione sentimentale con Monika Curth, soprano di operetta originario di Amburgo, che sposerà nel 1993. L’ultima apparizione in pubblico è del 24 ottobre 2004 a Oderzo per ricevere ancora un premio, a testimonianza di un affetto del pubblico mai venuto meno anche dopo tanti anni dal termine della carriera.

Il 3 dicembre 2004 rimane gravemente ferito nel tentativo di difendere il suo cane durante una rapina nella sua casa di Diani in Kenya, venendo preso a colpi di randello dai ladri che lo lasciano a terra insanguinato e privo di sensi. Ricoverato all’ospedale di Mombasa, le sue condizioni si rivelano più gravi di quanto fossero apparse in un primo momento: a causa delle profonde ferite deve subire almeno tre operazioni e il 7 dicembre entra in coma. Il 23 dicembre, dopo un lungo viaggio di trasferimento verso l’Italia, viene ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano. Rimane infermo sino alla morte nella sua casa di Santa Maria Hoè, presso Lecco, dove si spegne il 3 marzo 2008.

Vocalità e stile di canto

Dotato di una voce morbida, dall’inconfondibile timbro caldo e ricco e, almeno nei primi anni, notevolmente estesa, è stato apprezzato, oltre che per le doti vocali, per la dizione chiarissima, il fraseggio appassionato, il modo interpretativo accattivante e la squisita levità dei pianissimi e delle sfumature; tutti elementi che gli hanno anche consentito, come dimostra l’esteso repertorio elencato più avanti, una straordinaria ecletticità, che pochi altri tenori possono vantare, ma che ne ha probabilmente abbreviato la tenuta vocale. Lontano tanto dalla precisione ed “aplomb” adamantini (ma anche un poco gelidi, a detta di alcuni) di un Bjorling o di un Kraus, quanto dalla strapotenza vocale di un Del Monaco o dal rigore stilistico di un Bergonzi, per il canto generoso e istintivamente comunicativo, non disgiunto da un’infallibile musicalità, Di Stefano può essere collocato nella tradizione dei tenori lirici postromantici del repertorio italiano e francese, ove ha dato memorabili prove soprattutto nella prima parte della carriera (RigolettoLa traviataLa bohèmeI pescatori di perleManonFaust), arrivando negli anni successivi a ruoli del repertorio lirico spinto e drammatico (ToscaLa forza del destinoTurandotCarmen, fino a Pagliacci ed Andrea Chénier) ( articolo tratto dal sito Wikipedia).

FRANCO CORELLI

Franco Corelli, nome d’arte di Dario Corelli (Ancona, 8 aprile 1921 – Milano, 29 ottobre 2003), è stato un tenore italiano, fra i maggiori dagli anni cinquanta ai settanta del Novecento.

Franco Corelli

Biografia

Gli inizi

Nacque in una famiglia amante della lirica: il nonno Augusto Corelli fu tenore di buon livello e due zii paterni furono tenori coristi; il padre e la madre erano appassionati di canto, che praticavano a livello amatoriale.

Di fisico atletico, praticò il nuoto. Nel 1939 si diplomò come geometra e, dopo il servizio militare, nel 1942 trovò impiego al Comune di Ancona. In quegli anni cominciò a frequentare le riunioni che si tenevano nelle sale del “casino dorico”, il circolo culturale del Teatro delle Muse, e nacque in lui la passione per la musica lirica e l’idea di dedicarsi al canto. Disse lo stesso Corelli: «Ho cominciato a cantare per gioco. Con un amico ascoltavo dischi e cantavo per ore e ore, e fu così che mi innamorai del canto». Nel 1946 iniziò a frequentare la Corale Bellini della sua città, cantando da baritono. I seguito Carlo Scaravelli, l’amico con cui collaborava come autodidatta, lo introdusse presso il maestro Arturo Melocchi del Conservatorio Gioachino Rossini di Pesaro, i cui insegnamenti gli permisero di estendere il proprio registro vocale a tenore. Disse Corelli a questo proposito: «Dopo alcuni mesi riacquistai la mia libertà nel canto e le mie note alte».

Ne seguì la decisione d’intraprendere seriamente la carriera di cantante d’opera. Grazie a una voce di rara ampiezza ed estensione nel 1950 fu ammesso a un corso di perfezionamento presso il Teatro Comunale di Firenze. L’anno successivo vinse il concorso del Teatro lirico sperimentale “Adriano Belli” di Spoleto e il 26 agosto debuttò nella cittadina umbra in Carmen, manifestando fin dall’inizio della carriera la prevalente vocazione ai ruoli di genere lirico-spinto e drammatico.

La carriera

Già l’anno seguente debuttò in Giulietta e Romeo di Riccardo Zandonai al Teatro dell’Opera di Roma, seguita da Adriana Lecouvreur accanto a Maria Caniglia. Nel teatro della capitale apparve regolarmente fino al 1958, incontrandovi per la prima volta Maria Callas nel 1953 per un’edizione di Norma. Nei primi anni di carriera cantò in numerosi altri teatri italiani, anche di provincia. Nel 1954 esordì alla Scala di Milano, accanto a Maria Callas, ne La Vestale di Gaspare Spontini. Nel teatro milanese apparve, nel decennio successivo, in molteplici rappresentazioni: La fanciulla del West e Turandot di Giacomo Puccini, Fedora e Andrea Chénier di Umberto Giordano, Giulio Cesare ed Ercole di Georg Friedrich Händel, AidaErnaniIl trovatore e La battaglia di Legnano di Giuseppe Verdi, Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, Il pirata di Vincenzo Bellini, Carmen di Georges Bizet, Poliuto di Gaetano Donizetti, Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. Nel 1962 inoltre contribuì in modo determinante a riportare alla luce Gli ugonotti di Giacomo Meyerbeer, in una storica edizione diretta da Gianandrea Gavazzeni.

Continuò nel frattempo gli studi di perfezionamento vocale, condotti sotto la guida del collega ed amico Giacomo Lauri Volpi.

Il 27 gennaio 1961 debuttò al Teatro Metropolitan di New York nel ruolo di Manrico de Il trovatore (a fianco di un’altra debuttante d’eccezione: Leontyne Price), dando inizio a una carriera americana lunga e proficua. Al Metropolitan rimase per quindici stagioni consecutive, cantando le opere del grande repertorio: Don CarloAidaLa forza del destinoErnani di Verdi, TurandotToscaLa fanciulla del WestLa bohème di Puccini, Andrea ChénierCavalleria rusticanaPagliacciAdriana Lecouvreur del repertorio verista. Apparve inoltre ne La GiocondaRoméo et JulietteWertherLucia di Lammermoor. Corelli partecipò a 369 rappresentazioni al Met, concludendo l’attività nel teatro newyorkese nel 1975.

Fu presente anche negli altri più importanti teatri italiani (Firenze, Verona, Napoli ecc.), europei (Vienna, Londra, Berlino, Barcellona, Lisbona) e statunitensi (San Francisco, Chicago, Filadelfia). Dotato di innegabile fascino e grande presenza scenica, partecipò a diversi film-opera realizzati dalla RAI negli anni sessanta e settanta, sia in studio che da riprese teatrali.

Il ritiro

L’ultima recita fu nel 1976 ne La bohème a Torre del Lago e l’addio definitivo al canto nel novembre del 1981 a Stoccolma, in occasione di un concerto in onore di Birgit Nilsson. Come dimostrano diversi documenti sonori, Corelli decise di ritirarsi, contrariamente a molti famosi colleghi di ogni epoca, solo a un lieve accenno di declino vocale, quando ancora era capace di notevoli prestazioni. Nel 1982 venne realizzato un film sulla sua carriera utilizzando le numerose incisioni discografiche.

La città natale di Ancona, in collaborazione con la locale Associazione Amici della Lirica, per tre anni gli dedicò un concorso di canto, del quale fu presidente, convocando nella giuria illustri colleghi, tra i più grandi del mondo lirico. Durante la seconda edizione Corelli rilasciò una intervista video, nella quale raccontò tutta la carriera, che costituisce un documento unico. Di carattere riservato e gentile, non si vantò mai delle sue grandi qualità, limitandosi a dire in più occasioni di essere stato solo tanto fortunato.

Morì a Milano nel 2003 in conseguenza di un ictus; dopo la cremazione, le ceneri di Corelli sono state deposte al Cimitero Monumentale di Milano. Il nome di Franco Corelli si è successivamente meritato l’iscrizione al Famedio del medesimo cimitero. A Franco Corelli è dedicato il Teatro delle Muse di Ancona.

Vocalità e note artistiche

È stato, per mezzi vocali e valenza d’interprete, una delle massime figure tenorili della seconda metà del Novecento. Dotato della rara caratteristica di abbinare un registro centrale estremamente ampio ad acuti sfolgoranti, grazie allo studio assiduo ha saputo piegare a belle modulazioni un materiale vocale di non facile “gestione”, proprio per il grande volume, e in origine non privo di asprezze e disomogeneità. Ha eccelso nel repertorio lirico-spinto e drammatico, con validissime puntate nel campo del tenore romantico ottocentesco di forza, di cui, prima del suo avvento, si era persa memoria. In un articolo sul mensile Musica Viva, Rodolfo Celletti ebbe a citare: «le colate in tutto bronzo del titanico Corelli», ed inoltre, nel volume Voce di tenore, lo stesso Celletti afferma: «...i suoi acuti sembravano addensarsi sulla platea della Scala come una cupola sonora»: immagini che cercano di descrivere le sensazioni di ampiezza, potenza, morbidezza e duttilità che suscitava il suo canto ( articolo tratto dal sito Wikipedia).

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