M.I.S.E. 72^ EMISSIONE di un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica ” le eccellenze del sistema produttivo ed economico” dedicato alla VENINI S.p.a., nel centenario della fondazione
Il Ministero dello Sviluppo Economico emette il 02 ottobre 2021, distribuito dalle Poste Italiane, un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica ” le eccellenze del sistema produttivo ed economico” dedicato alla VENINI S.p.a., nel centenario della fondazione, con indicazione tariffaria B, corrispondente ad € 1,10.
- data: 02 ottobre 2021
- dentellatura: 11
- dimensioni francobollo: 30 x 40 mm
- stampa: rotocalcografia
- tipo di carta: carta bianca, patinata gommata, autoadesiva, non fluorescente
- colori: quattro
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura: 300.000
- valore: B = €1.10
- bozzettista: G. Ielluzzo
- num. catalogo francobollo: Michel______ YT _______ UNIF _4193_
- Il francobollo: La vignetta riproduce il “Fazzoletto”, uno dei simboli di Venini, opera in vetro di Murano soffiato e lavorato a mano, ideata nel 1948 da Fulvio Bianconi e da Paolo Venini, esposta in vari musei del mondo e in particolare al Museum of Modern Art di New York; sullo sfondo è riprodotto il disegno dell’opera conservato nell’Archivio Storico Venini. In alto è presente il logo dell’azienda Venini rivisitato in versione monocromatica per il centenario. Completano il francobollo la leggenda “A Murano dal 1921”, la scritta “Italia” e l’indicazione tariffaria “B”.
Se sei interessato all’acquisto di questo francobollo lo puoi acquistare al prezzo di € 1,50 inviandomi una richiesta alla mia email: protofilia1@gmail.com
L’avvocato milanese Paolo Venini e l’antiquario veneziano Giacomo Cappellin fondano la “Vetri Soffiati Cappellin Venini & C.”, un progetto ambizioso di cui l’artista veneziano Vittorio Zecchin entra immediatamente a far parte, in qualità di Direttore artistico. L’unione di queste tre personalità getta le basi di quell’identità stilistica che ancora oggi contraddistingue l’azienda: cambiamento degli schemi tradizionali, apertura verso le avanguardie artistiche e padronanza delle tecniche di lavorazione, grazie all’apporto dei migliori maestri vetrai dell’isola. Nello stesso anno Zecchin crea il celebre vaso Veronese, divenuto simbolo dell’azienda.
L’esordio. Nel 1921 l’avvocato Paolo Venini, classe 1895, fonda, con l’antiquario veneziano Giacomo Cappellin e il vetraio Andrea Rioda, la Vetri Soffiati Muranesi Cappellin-Venini & C. Benché i suoi antenati avessero anticamente posseduto una fornace nel comasco, Paolo non è un vetraio. Non ha origini muranesi e neppure veneziane ma si industria in prima persona per qualificare il prodotto in vetro tout court. A Cappellin compete, invece, la commercializzazione della produzione mentre la direzione artistica dell’impresa è affidata al pittore Vittorio Zecchin che, reinterpretando le forme classiciste in chiave art nouveau, contribuisce al felice esordio dell’azienda muranese.
La business idea. Paolo Venini intuisce che arroccarsi con ostinazione nella difesa della tradizione produttiva lagunare è anacronistico e penalizzante tanto per il settore quanto per il distretto. Decide, dunque, di aprirsi al nuovo ovvero di cavalcare il grande fermento culturale e artistico dell’epoca al fine di rompere con gli stereotipi e le riproposizioni storicistiche puntando invece su ricerca stilistica e sperimentazione tecnica.
Le mostre. Già nel ’23 Venini presenta la sua produzione alla I Mostra internazionale delle arti decorative di Monza. Nel ’26 alla XV Biennale d’arte di Venezia e, poi, alla Triennale di Milano, alla Quadriennale di Roma, all’esposizione di Torino ecc. Le mostre costituiscono, in primis, momenti di verifica e, poi, occasioni di aggiornamento. Si rivelano, altresì, ottimi strumenti per comunicare al pari dei musei (Stoccolma, New York ecc.) che, a partire dagli anni ’30, espongono le sue opere.
L’affermazione. Nel ’25, dopo meno di un quinquennio, si scioglie il sodalizio Venini-Cappellin e si costituisce la V.S.M. Venini & C. La direzione artistica passa allo scultore muranese Napoleone Martinuzzi che introduce inedite qualità di vetro e lavorazioni speciali. L’offerta, inizialmente incentrata sui vasi, si amplia fino a ricomprendere piante, frutta e animali stilizzati oltreché manufatti per l’illuminazione sia pubblica sia privata.
Il design. Mecenate ante litteram, Venini si distingue per la sua capacità di attirare artisti, architetti e designer di talento. Nel ’32 collabora con l’architetto Tomaso Buzzi. Dal’34 al ’47 con l’artista Carlo Scarpa. Seguono la ceramista svedese Tyra Lundgren, il pittore e stilista americano Ken Scott, l’architetto Giò Ponti, il caricaturista e grafico Fulvio Bianconi. Dopo la morte del fondatore, l’italiano Tobia Scarpa, figlio di Carlo, il finlandese Taplo Wirkalla e, ancora, gli italiani Alessandro Mendini, Gae Aulenti ed Ettore Sottsass.
La tecnologia. Si fonde la sabbia silicea di notte e si modella di giorno utilizzando il carbone come combustibile. In alternativa si brucia torba o lignite ottenendone il gas utilizzato poi nel forno a 12 crogioli costruito su suggerimento dell’ingegner Franceschini, consulente e amico di Paolo Venini. Sfruttando l’aria preriscaldata, ovvia ai limiti dei forni a combustibile solido allora in uso nei quali le ceneri trasportate dalle fiamme inquinano il vetro. Il bis negli anni ’50 quando, prima fra tutte le vetrerie dell’isola, Venini adotta il metano dando il via a una nuova ricerca sulla coloristica. I toni pastellati ancorché brillanti diventano una sorta di marchio di fabbrica.
I filoni. Nel dopoguerra alla Venini si sviluppano 2 filoni di ricerca: l’uno indirizzato a recuperare le tecniche decorative tradizionali del sottile soffiato come la filigrana e la murrina; l’altro a valorizzare le tecniche della modellazione del vetro massiccio e sommerso.
I cambi societari. Nel ’59 Paolo Venini muore “senza una lira in cassa”, come assicurano le cronache dell’epoca. Gli subentra il genero, l’architetto Ludovico Diaz de Santillana, marito della figlia Anna, che perpetua lo spirito d’innovazione e di ricerca del fondatore. Al di là del grave incendio che, nel ’72, devasta gli uffici e, soprattutto, gli archivi aziendali, l’attività della fornace prosegue senza intoppi fino all’85. Numerosi i soci che affiancano in quegli anni la famiglia Venini: da Mario Valeri Manera (ex presidente della Camera di commercio di Venezia) a Tognana (porcellane) fino a Poltrona Frau. Quest’ultima, azionista al 50%, nell’85 cede la sua quota a Chelandria, finanziaria della famiglia Ferruzzi. Gli eredi Venini, a loro volta, decidono di vendere il residuo 50% delle azioni in loro possesso a Raul Gardini e soci. Presidente diventa Carlo Sama mentre Andrea Boscaro viene nominato amministratore delegato.
La finanza. All’inizio degli anni ’90, con l’acquisizione di Salviati, Stilnovo, Serenella industria vetraria (Siv) e Vetrerie Moretti, Venini diventa una holding industriale da 20 miliardi di lire di fatturato -pari a circa un quinto del giro d’affari dell’intero distretto – e oltre 200 dipendenti. La compagine azionaria vede la presenza di Chelandria (74,5% a Raul e Ida Gardini, 15% a Ferfin e il resto a Sama e Boscaro con il 53% del capitale), Ferfin (Ferruzzi finanziaria) con il 17% e della famiglia Ferruzzi (Arturo, Franca e Alessandra) con residuo il 30%. Presidente è Armando D’Agostino e amministratore delegato Andrea Boscaro. Nel ’95, dopo la tragica scomparsa di
I passi falsi. Tanto il fondatore Paolo Venini quanto il suo successore Ludovico Diaz de Santillana danno vita a delle opere d’arte finendo con il trascurare, però, gli aspetti gestionali di Venini spa, distribuzione e vendita in primis. Ne risulta un’impresa finanziariamente sbilanciata e, dunque, esposta al rischio di ingerenze, prima, e di cessione, nell’85. L’acquisto di Venini da parte della famiglia Ferruzzi, peraltro, sembra rispondere più alle ambizioni lagunari di Raul Gardini che a una strategia di diversificazione del portafoglio delle attività di Ferfin. In particolare, deciso a conquistare la Coppa America nonché a portare la prestigiosa competizione velica in laguna, Gardini non vuole e non può prescindere da un marchio universalmente apprezzato qual è Venini. All’inizio degli anni ’90 la difficile coabitazione tra la famiglia Gardini e i Ferruzzi insieme all’eccessiva esposizione finanziaria (25 miliardi di lire di debiti) e alle perdite registrate (nell’ordine dei 3-4 miliardi di lire l’anno) affossano l’azienda muranese. Alla fine del ’91 Venini cede al gruppo veneziano Leucos il pacchetto di controllo di Vetrerie Moretti mentre alla fine del ’94 liquida Stilnovo (illuminotecnica). Nel ’95 è la volta di Salviati e, poco tempo dopo, di Flosmurano, joint venture perfezionata con la bresciana Flos attiva nella produzione e nella distribuzione di lampade “ad alto contenuto artistico”. Nel ’97 chiude i battenti, infine, Serenella industria vetraria (Siv).
Le partnership. Nell’84 per enfatizzare l’esclusività della sua grappa monovitigno più prestigiosa, il Picolit, Giannola e Benito Nonino, titolari dell’omonima distilleria di Percoto (Ud), sostituiscono le bottiglie anonime di un tempo con quelle realizzate ad hoc da parte di Venini. È l’inizio di una proficua collaborazione che prescinde dai cambi e dagli avvicendamenti societari. Dieci anni più tardi Venini si accorda con la cristalleria svedese Orrefors-Kosta Boda dei Wallenberg per la distribuzione della sua produzione nel mercato Usa. Nel ’95 stringe, inoltre, un accordo analogo con il gruppo danese Royal Copenaghen per vendere i suoi oggetti in Europa. Nel marzo ’97 nasce, infine, la collezione Versace Venini Vasi (Vvv).
Raul Gardini e l’emissione di un prestito obbligazionario, la famiglia Gardini aumenta la sua quota in Venini all’80%. È l’anticamera alla futura cessione dell’azienda di Murano al gruppo danese Royal Scandinavia.
La ripresa. Nella metà degli anni ’90, accantonata l’ipotesi di cessione, sotto la guida di Eleonora Gardini, Venini si riprende. Risanati i conti e lanciate nuove linee, chiude l’esercizio ’97 a quota 20 miliardi di lire di fatturato con 110 dipendenti. L’incidenza del mercato italiano sulle vendite passa, inoltre, dal 70% del ’94 al 55% del ’97 mentre l’export, indirizzato storicamente verso i paesi europei, interessa ora anche gli Stati Uniti.
La svolta. Alla fine del ’97 Royal Scandinavia acquista la maggioranza di Venini. A vendere è la famiglia Gardini. Royal Scandinavia rileva anche la svedese Orefors-Kosta Boda che distribuisce Venini negli Usa, avviando al contempo un piano di sviluppo internazionale. Nel dicembre 2001, dopo alcuni mesi di trattative, il gruppo Italian Luxury Industries (facente capo a Giancarlo Chimento, fratello di Adriano, proprietario dell’omonima azienda di gioielli, e alla 2GInvestimenti di Giuliano Tabacchi) rileva Venini.
Le prospettive. “Oltre il 70% del giro d’affari di Venini è dovuto all’oggettistica in vetro, mentre il resto arriva dall’illuminazione – spiega a Il Sole 24 Ore del 3 gennaio 2002 Giorgio Rizzo, neodirettore generale dell’azienda di Murano -. Vogliamo rafforzare la creazione di esemplari unici, una sorta di alta moda dell’illuminazione ma, soprattutto, pensiamo di allargare la gamma di prodotti. Il passaggio alla gioielleria è abbastanza naturale e potrà essere compiuto tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003”.
Oggi, la Venini S.p.a., produce oggetti in vetro, vere opere d’arte, ricche di design e di esperienza nell’arte vetraria, tanto da essere veri oggetti di bellissima fattura amati ed apprezzati in tutto il mondo. Un vero orgoglio ITALIANO. (notizie estrapolate da vari siti)
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