M.I.S.E. 68^ EMISSIONE di un francobollo commemorativo di Grazia DELEDDA, nel 150° anniversario della nascita

 Il Ministero dello Sviluppo Economico emette l’27 settembre 2021, distribuito dalle Poste Italiane, un francobollo commemorativo di Grazia Deledda, nel 150° anniversario della nascita, con indicazione tariffaria B, corrispondente ad € 1,10.

  • data: 27 settembre 2021
  • dentellatura: 11
  • dimensioni francobollo: 30 x 40 mm
  • stampa: rotocalcografia
  • tipo di cartacarta bianca, patinata gommata, autoadesiva, non fluorescente
  • colori: tre
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 300.000
  • valoreB = €1.10
  • bozzettistaa cura del Centro Filatelico della Direzione Operativa dell’istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A.
  • num. catalogo francobolloMichel__4346_ YT _______ UNIF _4189_
  • Il francobollo: La vignetta raffigura un ritratto di Grazia Deledda delimitato in basso da una banda in cui è riprodotta la firma autografa della scrittrice italiana. Completano il francobollo la leggenda “Grazia Deledda”, le date “1871 – 1936”, la scritta “Italia” e l’indicazione tariffaria “B”.
  • Prossimamente saranno messi in vendita la Cartolina Filatelica e il Folder e sarà possibili comprarli presso il sito www.protofilia.it CONTATTATEMI

Se sei interessato all’acquisto di questo francobollo lo puoi acquistare al prezzo di € 1,50 inviandomi una richiesta alla mia email: protofilia1@gmail.com

Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, nota semplicemente come Grazia Deledda o, in lingua sarda, Gràssia o Gràtzia Deledda (Nuoro, 28 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936), è stata una scrittrice italiana vincitrice del Premio Nobel per la letteratura 1926. È ricordata come la seconda donna, dopo la svedese Selma Lagerlöf, a ricevere questo riconoscimento, e la prima italiana.

Grazia Deledda, in una foto storica

Biografia

Gioventù

Nacque a Nuoro, in Sardegna, il 28 settembre 1871, quarta di sette tra figli e figlie, in una famiglia benestante. Il padre, Giovanni Antonio Deledda, laureato in legge, non esercitò la professione. Agiato imprenditore e possidente, si occupava di commercio e agricoltura; si interessava di poesia e lui stesso componeva versi in sardo; aveva fondato una tipografia e stampava una rivista. Fu sindaco di Nuoro nel 1863.

La madre era Francesca Cambosu, donna di severi costumi; dedita alla casa, educherà lei Grazia. Dopo aver frequentato le scuole elementari fino alla classe quarta, Grazia venne seguita privatamente dal professore Pietro Ganga, un docente di lettere italiane, latine, greche, che parlava francese, tedesco, portoghese, spagnolo. Ganga le impartì lezioni di base di italiano, latino e francese. Proseguì la sua formazione totalmente da autodidatta.

Dovette affrontare un lungo corpo-a-corpo per dare forma alle aspirazioni profonde, per rispondere alla voce interiore che la chiamava irresistibilmente alla scrittura, soprattutto contro la piccola e chiusa società di Nuoro in cui il destino della donna non poteva oltrepassare il limite di «figli e casa, casa e figli». Grazia reagì, rivelando così da protagonista il travaglio della crisi epocale del mondo patriarcale (contadino e pastorale), incapace ormai di contenere e di promuovere le istanze affioranti nelle nuove generazioni. Il bisogno di realizzarsi in spazi sociali aperti e vasti, la progressiva coscienza delle proprie capacità e il confronto con modelli comportamentali diversi da quelli imposti la poteva indurre ad assumere altre identità. Ma questo rischio era lontano dai suoi intendimenti. Se l’identità da un lato non può pensarsi stagnante, immobile e senza relazioni nutritive, dall’altro assumere l’identità di un altro significa perdere la propria, dare l’identità a un altro significa sottrargli la sua. Grazia ha seguito una strada esemplare: ha fatto esplodere le contraddizioni di una società ormai in declino, ma senza tradirne la radice identitaria profonda che la distingue da tutte le altre. La sua ribellione è stata interpretata come un «tradimento». Invece, tutta la sua opera testimonia l’opposto. Importante per la formazione letteraria di Grazia, nei primi anni della sua carriera da scrittrice, fu l’amicizia con lo scrittore, archivista e storico dilettante sassarese Enrico Costa, che per primo ne comprese il talento. Per un lungo periodo scambiò delle lettere con lo scrittore calabrese Giovanni De Nava, che si complimentava del talento della giovane scrittrice. Queste missive poi si trasformarono in lettere d’amore in cui si scambiavano dolci poesie. Poi, per l’assenza di risposte da parte di Giovanni per un lungo periodo, smisero di scriversi. La famiglia venne colpita da una serie di disgrazie: il fratello maggiore, Santus, abbandonò gli studi e divenne alcolizzato; il più giovane, Andrea, fu arrestato per piccoli furti. Il padre morì per una crisi cardiaca il 5 novembre 1892 e la famiglia dovette affrontare difficoltà economiche. Quattro anni più tardi morì anche la sorella Vincenza.

Attività letteraria giovanile

Nel 1888 inviò a Roma alcuni racconti (Sangue sardo e Remigia Helder), pubblicati dall’editore Edoardo Perino sulla rivista “L’ultima moda”, diretta da Epaminonda Provaglio. Sulla stessa rivista venne pubblicato a puntate il romanzo Memorie di Fernanda. Nel 1890 uscì a puntate sul quotidiano di Cagliari L’avvenire della Sardegna, con lo pseudonimo Ilia de Saint Ismail, il romanzo Stella d’Oriente, e a Milano, presso l’editore Trevisini, Nell’azzurro, un libro di novelle per l’infanzia.

Deledda incontrò l’approvazione di letterati, quali Angelo de Gubernatis e Ruggiero Bonghi, che nel 1895 accompagnò con una sua prefazione l’uscita del romanzo Anime oneste. Collaborò inoltre con riviste sarde e continentali, quali La SardegnaPiccola rivista e Nuova Antologia.

Fra il 1891 e il 1896 sulla Rivista delle tradizioni popolari italiane, diretta da Angelo de Gubernatis, venne pubblicato a puntate il saggio Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna, introdotto da una citazione di Tolstoi, prima espressione documentata dell’interesse della scrittrice per la letteratura russa. Seguirono romanzi e racconti di argomento isolano. Nel 1896 il romanzo La via del male fu recensito in modo favorevole da Luigi Capuana.  Nel 1897 uscì una raccolta di poesie, Paesaggi sardi, edita da Speirani.

Maturità

Il 22 ottobre 1899 si trasferì a Cagliari, dove conobbe Palmiro Madesani, un funzionario del Ministero delle finanze, che sposò a Nuoro l’11 gennaio 1900. Madesani era originario di Cicognara di Viadana, in provincia di Mantova, dove anche Grazia Deledda visse per un periodo. Dopo il matrimonio, Madesani lasciò il lavoro di funzionario statale per dedicarsi all’attività di agente letterario della moglie. La coppia si trasferì a Roma nel 1900, dove condusse una vita appartata. Ebbero due figli, Franz e Sardus.  Nel 1903 la pubblicazione di Elias Portolu la confermò come scrittrice e l’avviò a una fortunata serie di romanzi e opere teatrali: Cenere (1904), L’edera (1908), Sino al confine (1910), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L’incendio nell’oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922). Da Cenere fu tratto un film interpretato da Eleonora Duse.

La sua opera fu apprezzata da Giovanni Verga, oltre che da scrittori più giovani come Enrico Thovez, Emilio Cecchi, Pietro Pancrazi, Antonio Baldini. Fu riconosciuta e stimata anche all’estero: David Herbert Lawrence scrisse la prefazione della traduzione in inglese de La madre. La Deledda fu anche traduttrice: è sua infatti una versione in lingua italiana di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.

Grazia Deledda, fuori dall’isola, era solita stringere amicizia e confrontarsi con personaggi internazionali, anche di piccolo calibro, che solevano frequentare il suo salotto.

Il premio Nobel e la morte

Il 10 dicembre 1927 le venne conferito il premio Nobel per la letteratura 1926 (non vinto da alcun candidato l’anno precedente, per mancanza di requisiti), «per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano», Grazia è stata la prima donna italiana a vincere il premio Nobel.

Un tumore al seno di cui soffriva da tempo la portò alla morte nel 1936, quasi dieci anni dopo la vittoria del premio. Sulla data del giorno di morte c’è controversia: alcune fonti riportano il 15 agosto, altre il 16.

Le spoglie della Deledda trovarono sepoltura nel cimitero del Verano a Roma, dove rimasero fino al 1959 quando, su richiesta dei familiari della scrittrice, furono traslate nella sua città natale. Da allora sono custodite in un sarcofago di granito nero levigato nella chiesetta della Madonna della Solitudine, ai piedi del monte Ortobene, che tanto aveva decantato in uno dei suoi ultimi lavori.

Lasciò incompiuta la sua ultima opera, Cosima, quasi Grazia, autobiografica, che apparirà in settembre di quello stesso anno sulla rivista Nuova Antologia, a cura di Antonio Baldini, e che poi verrà edita col titolo Cosima.

La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (nel rione Santu Predu), è adibita a museo.

Critica

La critica in generale tende a incasellare la sua opera di volta in volta in questo o in quell’-ismo: regionalismo, verismo, decadentismo, oltre che nella letteratura della Sardegna. Altri critici invece preferiscono riconoscerle l’originalità della sua poetica.

Il primo a dedicare a Grazia Deledda una monografia critica a metà degli anni trenta fu Francesco Bruno. Negli anni quaranta-cinquanta, sessanta, nelle storie e nelle antologie scolastiche della letteratura italiana, la presenza di Deledda ha rilievo critico e numerose pagine antologizzate, specialmente dalle novelle.

Tuttavia parecchi critici italiani avanzavano riserve sul valore delle sue opere. I primi a non comprendere Deledda furono i suoi stessi conterranei. Gli intellettuali sardi del suo tempo si sentirono traditi e non accettarono la sua operazione letteraria, con l’eccezione di alcuni: Costa, Ruju, Biasi. Le sue opere le procurarono le antipatie degli abitanti di Nuoro, in cui le storie erano ambientate. I suoi concittadini erano infatti dell’opinione che descrivesse la Sardegna come terra rude, rustica e quindi arretrata.

Più recentemente, le opere e i saggi della Deledda sono stati reinterpretati e ristudiati da altri corregionali. Tra questi si possono citare Neria De Giovanni (che pur marcando le radici sarde della Deledda le riconosce una dimensione che va oltre l’ambito geoculturale isolano), Angela Guiso (con una critica lontana dalle precedenti, più internazionale) e Dino Manca (notizie parzialmente estrapolate dal sito Wikipedia).

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