M.I.S.E. 55^ – 56^ EMISSIONE di n.2 francobolli ordinari appartenenti alla serie tematica ” le Eccellenze dello spettacolo” dedicati a Gino Cervi e Vittorio De Sica, nel 120° anniversario della nascita.

Il Ministero dello Sviluppo Economico, emette il 27 agosto, distribuiti da Poste Italiane, due francobolli ordinari appartenenti alla serie tematica ” le eccellenze dello spettacolo” , dedicati a Gino Cervi e Vittorio De Sica, nel 120° anniversario della nascita, con indicazione tariffaria B, ognuno corrispondente ad € 1.10.

  • data: 27 agosto 2021
  • dentellatura: 11
  • stampa: rotocalcografia
  • tipo di cartacarta bianca, patinata gommata, autoadesiva, non fluorescente
  • colori: cinque
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 200.000
  • francobollo dimensioni: 30×40 mm
  • valoreB = €1.10
  • bozzettistaBozzetto a cura del Centro Filatelico della Direzione Operativa dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. N.B. fotografie raffiguranti Cervi e De Sica © Reporters Associati & Archivi srl Roma
  • num. catalogo francobolloMichel_4333 YT _4093_ UNIF _4176_
  • Il francobollo: La vignetta  raffiguraentro una pellicola cinematografica, il ritratto di Gino Cervi, delimitato, in alto, dalla sua firma. Completa il francobollo la relativa leggenda “GINO CERVI” “1901 – 1974”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
  • Prossimamente saranno messi in vendita la Cartolina Filatelica e il Folder e sarà possibili comprarli presso il sito www.protofilia.it CONTATTATEMI
  • data: 27 agosto 2021
  • dentellatura: 11
  • stampa: rotocalcografia
  • tipo di cartacarta bianca, patinata gommata, autoadesiva, non fluorescente
  • colori: sei
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 200.000
  • francobollo dimensioni: 30×40 mm
  • valoreB = €1.10
  • bozzettistaBozzetto a cura del Centro Filatelico della Direzione Operativa dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. N.B. fotografie raffiguranti Cervi e De Sica © Reporters Associati & Archivi srl Roma
  • num. catalogo francobolloMichel_4334_ YT _4094_ UNIF _4177_
  • Il francobollo: La vignetta raffiguraentro una pellicola cinematografica, il ritratto di Vittorio De Sica, delimitato, in alto, dalla sua firma. Completa il francobollo la relativa leggenda “VITTORIO DE SICA” “1901 – 1974”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
  • Prossimamente saranno messi in vendita la Cartolina Filatelica e il Folder e sarà possibili comprarli presso il sito www.protofilia.it CONTATTATEMI

Se sei interessato all’acquisto di questi francobolli li puoi acquistare al prezzo di € 1.50 cadauno inviandomi una richiesta alla mia email: protofilia1@gmail.com

Gino Cervi, all’anagrafe Luigi Cervi (Bologna, 3 maggio 1901 – Punta Ala, 3 gennaio 1974), è stato un attore, doppiatore e conduttore radiofonico italiano.

Carriera

Dotato di grande presenza scenica e di notevole incisività recitativa, è stato uno dei più prolifici e versatili interpreti nella storia dello spettacolo italiano, spaziando dal teatro serio a quello brillante, dal cinema alla radio e alla televisione.

Biografia

Figlio di Angela Dall’Alpi e del giornalista Antonio Cervi (1862-1923), critico teatrale de Il Resto del Carlino, nacque nello storico quartiere bolognese di Santo Stefano in via Cartoleria, 3. Si sentì sempre legato a Casalbuttano, in provincia di Cremona, dove è sepolto il padre e dove la famiglia era proprietaria, fra le altre, della cascina Convento.

Il teatro

Fin da bambino si appassionò al teatro, tanto da insistere affinché suo padre lo portasse ad assistere a qualche spettacolo. Alto, robusto, dotato di bella presenza e di modi signorili e raffinati, iniziò come filodrammatico, per esordire ufficialmente nel 1924 al fianco della celebre Alda Borelli ne La vergine folle di Henri Diamant Berger, tratta da un dramma di Henri Bataille.

Nel 1925 fu chiamato come primo attore giovane da Luigi Pirandello nella compagnia del Teatro d’Arte di Roma, accanto ai primi attori Marta Abba, Lamberto Picasso e Ruggero Ruggeri, interpretando successi come Sei personaggi in cerca di autore (nella parte del figlio), opera con cui andò in tournée a Parigi, Londra, Basilea, Berlino.

Nel 1928 conobbe in teatro la giovane attrice Angela Rosa Gordini, che sposerà poco dopo; dal loro matrimonio nascerà Antonio, detto Tonino, che sarà regista e produttore cinematografico, a sua volta padre di Antonia Cervi, Stefano Cervi, il produttore Antonio Levesi Cervi e dell’attrice Valentina Cervi.

Ottenne rapidamente un notevole successo, tanto che nel giro di dieci anni lavorò con le più note compagnie italiane, per diventare poi primo attore nella compagnia Tofano-Maltagliati (1935-1937). La voce profonda e suggestiva e la naturalezza della recitazione lo resero uno dei più apprezzati interpreti di Goldoni, Sofocle, Dostoevskij, e soprattutto di Shakespeare, del quale sarà un memorabile interprete di Otello, e di cui doppierà anche il personaggio di Amleto nella versione cinematografica con protagonista Laurence Olivier. Nel 1938, insieme ad Andreina Pagnani, Paolo Stoppa e Rina Morelli, costituì la compagnia semistabile del Teatro Eliseo di Roma, di cui assumerà la direzione nel 1939. Sempre nel 1939 interpretò Tirsi in Aminta, per la regia di Renato Simoni e Corrado Pavolini con la Morelli, la Pagnani, Micaela Giustiniani, Rossano Brazzi, Ernesto Sabbatini, Carlo Ninchi, Aroldo Tieri e Annibale Ninchi al Giardino di Boboli a Firenze.

Il cinema

Già nei primi anni trenta quello di Cervi era un nome ben noto e apprezzato del teatro italiano. Nello stesso periodo anche il cinema, che sin dagli inizi aveva attinto al teatro per fabbricare i propri divi, lo scoprì. L’esordio cinematografico avvenne nel 1934 con Frontiere, diretto da Cesare Meano, ma a farne un grande nome dello schermo sarà il regista Alessandro Blasetti, rendendolo protagonista di una fortunata serie di film storici, quali Ettore Fieramosca (1938), Un’avventura di Salvator Rosa (1939) e La corona di ferro (1941). Sempre Blasetti, nel 1942, lo diresse in un toccante film dai toni amari che precorre il neorealismo, 4 passi fra le nuvole.

Locandina di un Film sulle indagini del Commissario Maigret

Negli anni cinquanta ottenne uno straordinario successo con l’interpretazione della fortunatissima serie di film dedicata ai personaggi letterari di Giovannino Guareschi, in cui interpretò il sindaco comunista Giuseppe Bottazzi, detto Peppone. I film della serie saranno cinque: il primo, Don Camillo (1952), fu diretto da Julien Duvivier e vide Cervi accanto a Don Camillo, interpretato dall’attore francese Fernandel. Guareschi, Cervi e Fernandel divennero ottimi amici e i due attori fecero da testimoni al matrimonio di Carlotta Guareschi, figlia dello scrittore. Il sodalizio artistico e personale tra i due attori fu talmente profondo, che quando Fernandel morì (durante la lavorazione del sesto film della saga), Gino Cervi si rifiutò di proseguire l’opera. L’ultimo film della saga, infatti, venne girato con attori differenti.

Il successo nella serie di Don Camillo rivelò le doti di Cervi anche come attore brillante nel genere della commedia. Seguiranno così, fino ai primi anni sessanta, altri film appartenenti al filone della commedia all’italiana, come Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo (1956), Anni ruggenti (1962) e Gli onorevoli (1963). Tornerà a un’importante interpretazione drammatica nel 1960 in La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini, prodotto da suo figlio Antonio. In questo film Cervi interpretò “Sciagura”, inquietante gerarca fascista che l’attore incarnò con straordinaria abilità, costruendone la fisionomia torbida durante buona parte del film e mettendola poi in contrasto con il tratto pacato e amabile del finale.

La televisione

A metà degli anni sessanta fu la televisione a dargli una rinnovata notorietà. Nel 1963 tornò a rivestire con successo per il piccolo schermo la figura del Cardinale Lambertini, che aveva già interpretato nella versione cinematografica del 1954.

Ma soprattutto, dal 1964 al 1972, Cervi fu l’impeccabile interprete della serie poliziesca Le inchieste del commissario Maigret, ispirata ai romanzi dello scrittore belga Georges Simenon. Al fianco della storica compagna d’arte Andreina Pagnani, tratteggiò con arguzia e bonarietà il celeberrimo personaggio del commissario parigino dal fiuto infallibile, amante della casa e della buona cucina. Lo stesso Simenon considererà quella di Cervi tra le migliori interpretazioni del personaggio di Maigret, anche se l’autore belga indicò Rupert Davies come migliore Maigret “non francese”. La serie ottenne un successo strepitoso e le puntate del Maigret televisivo sono state più volte replicate nei canali della RAI anche dopo la sua morte, oltre ad essere poste in vendita in VHS e DVD.

La scomparsa

Le ultime apparizioni sono in alcuni caroselli per un famoso brandy della Buton, che aveva pubblicizzato per anni con un motto in rima, ideato da Marcello Marchesi, di enorme successo all’epoca: «Vecchia Romagna etichetta nera, il brandy che crea un’atmosfera». Caroselli che andarono in onda fino a pochi giorni prima della sua morte, mentre altri già girati e programmati, furono sostituiti dall’azienda bolognese per rispetto dello scomparso.

Ritiratosi dalle scene nel 1972, Gino Cervi morì due anni dopo nella sua casa di Punta Ala, a causa di un edema polmonare, all’età di settantadue anni. È sepolto nel Cimitero Flaminio di Roma con la moglie Ninì, il figlio Tonino e il fratello Alessandro.

Seppur profondamente cattolico, fu iniziato in Massoneria nel 1946 nella Loggia “Palingenesi” di Roma, appartenente all’Obbedienza della Gran Loggia d’Italia degli Alam, e nel 1947 fu affiliato alla Loggia “Gustavo Modena”, di Roma, appartenente alla stessa Obbedienza.

Fascista della prima ora, partecipò alla marcia su Roma. In seguito fu vicino alle posizioni politiche centro-liberali e fu critico verso il fascismo squadrista, ad esempio con la profonda interpretazione del gerarca “Sciagura”, nel film La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini.

Alle elezioni amministrative di Roma del 1967 sostenne la Democrazia Cristiana. Nel 1970 venne eletto consigliere della Regione Lazio per il Partito Liberale Italiano. (notizie estrapolate dal sito Wikipedia)

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Vittorio Domenico Stanislao Gaetano Sorano De Sica (Sora, 7 luglio 1901 – Neuilly-sur-Seine, 13 novembre 1974) è stato un attore, regista e sceneggiatore italiano.

Tra i cineasti più influenti della storia del cinema, è stato inoltre attore di teatro e documentarista. È considerato uno dei padri del neorealismo e uno dei maggiori registi e interpreti della commedia all’italiana. I suoi film SciusciàLadri di bicicletteIeri, oggi, domani e Il giardino dei Finzi Contini hanno vinto l’Oscar al miglior film in lingua straniera, premio al quale fu anche candidato Matrimonio all’italiana.

Biografia

Nacque il 7 luglio 1901 a Sora, all’epoca parte della provincia campana di Terra di Lavoro (dal 1927 annessa alla neoprovincia di Frosinone nel Lazio), in via Cittadella, nel rione omonimo, da Umberto De Sica, un impiegato nella sede locale della Banca d’Italia, salernitano, originario di Giffoni Valle Piana, e da Teresa Manfredi, una casalinga napoletana. Nella chiesa di san Giovanni Battista, posta proprio di fronte alla casa di famiglia, ricevette il battesimo con i nomi di Vittorio, Domenico, Stanislao, Gaetano, Sorano. Il padre Umberto collaborò con lo pseudonimo di Caside per un mensile locale, La voce del Liri, pubblicato dal 1909 al 1915. Vittorio aveva con il padre un rapporto molto forte (a lui, infatti, dedicherà il suo film Umberto D.). Come Vittorio ebbe a dire, la sua famiglia viveva in “tragica e aristocratica povertà“. In seguito, nel 1914, si trasferì con i familiari a Napoli e ancora, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, a Firenze. A 15 anni cominciò a esibirsi come attore dilettante in piccoli spettacoli organizzati per i militari ricoverati negli ospedali. In seguito avvenne il definitivo trasferimento a Roma.

Gli esordi in teatro

Durante gli studi di ragioneria, grazie all’intercessione dell’amico di famiglia Edoardo Bencivenga, ottiene un piccolo ruolo (impersonava un Clémenceau giovane) in un film muto diretto da Alfredo De Antoni, Il processo Clémenceau del 1917. Preferisce comunque continuare gli studi salvo poi, dopo aver ottenuto il diploma di ragioniere, accettare nel 1923 una scrittura teatrale da generico nella compagnia di Tatiana Pavlova, con la quale rimase per due anni. Nella primavera del 1925 è secondo attore brillante nella compagnia di Italia Almirante, celebre diva del muto, quindi nel 1927 passa alla qualifica di secondo attor giovane nella compagnia di Luigi Almirante, Sergio Tofano e Giuditta Rissone.

Nel 1930 giunse al livello di primo attore, accanto a Guido Salvini, e lì viene notato da Mario Mattoli, in quel momento titolare della Compagnia Teatrale Za-Bum (il primo serio esperimento teatrale italiano di mescolare la comicità degli attori del varietà al genere drammatico degli attori di prosa), il quale, comprese le qualità brillanti di De Sica, lo scrittura immediatamente e lo mette al fianco di Umberto Melnati, con il quale formò una coppia comica di assoluto rilievo per l’epoca, con gag e tormentoni che li rendono celebri a livello nazionale. Soprattutto la canzone Lodovico sei dolce come un fico e tanti sketch radiofonici: da citare su tutti il Dura minga, dura no ripreso in seguito negli anni cinquanta in un carosello pubblicitario da Ernesto Calindri e Franco Volpi. Nel 1933 fondò una sua propria compagnia con Giuditta Rissone e Sergio Tofano, con rappresentazioni soprattutto comiche.

Nell’immediato dopoguerra, quando cominciò a essere celebre anche come regista cinematografico, insieme a Paolo Stoppa e a Vivi Gioi dal 1944 portò in scena anche drammi di notevole valore come Catene di Langdon Martin. Nella stagione 1945-1946 partecipò a due spettacoli diretti da Alessandro Blasetti, Il tempo e la famiglia Conway di John Boynton Priestley e Ma non è una cosa seria di Luigi Pirandello. Nella stagione 1946-1947 lavorò con Luchino Visconti, insieme a Vivi Gioi e a Nino Besozzi nello spettacolo Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais, oltre che alla rivista Ah… ci risiamo! scritta da Oreste Biancoli. Infine, nella stagione 1948-1949, partecipò alle due novità I giorni della vita di William Saroyan e Il magnifico cornuto di Fernand Crommelynck, entrambi diretti da Mario Chiari. Quella fu la sua ultima apparizione sul palcoscenico: in seguito, sempre più assorbito da impegni cinematografici e televisivi, non vi fece più ritorno. Si calcola che De Sica, tra il 1923 e il 1949, abbia preso parte, tra commedie, spettacoli di rivista e drammi in prosa, a oltre 120 rappresentazioni.

Attore cinematografico

Sul grande schermo, dopo altre due partecipazioni a film muti diretti da Mario Almirante nel biennio 1927-1928, diventò un divo tra i più richiesti (alla pari con Amedeo Nazzari, Gino Cervi e Fosco Giachetti) dal 1932, con molte commedie garbate e gradevoli interpretate con Lya Franca e Assia Noris e tutte dirette da Mario Camerini: tra queste si ricordano Gli uomini, che mascalzoni… del 1932, in cui lancia la celeberrima canzone Parlami d’amore Mariù, suo cavallo di battaglia per il resto della carriera, quindi Darò un milione del 1935, dove incontra Cesare Zavattini, Il signor Max del 1937, I grandi magazzini del 1939 e Manon Lescaut del 1940.

Anche una volta iniziata la sua prestigiosa attività come regista continuò a recitare: apparve in un centinaio di pellicole, anche in brevi ruoli di contorno, vincendo un Nastro d’argento nel 1948 e ottenendo numerosi premi negli anni seguenti a diversi festival. Per motivi ideologici rifiutò la proposta di dirigere il film Don Camillo.                                                                                                
Nei primi anni cinquanta colse come interprete un notevole successo di pubblico con due pellicole dirette da Alessandro Blasetti e Luigi Comencini, e nelle quali recitò a fianco di Gina Lollobrigida: Altri tempi – Zibaldone n. 1 (1952), nell’episodio Il processo di Frine; quindi in Pane, amore e fantasia (1953), dove interpretava l’esuberante maresciallo Carotenuto, film che ebbe un enorme successo, così come i due sèguiti Pane, amore e gelosia del 1954, sempre a fianco di Gina Lollobrigida e Pane, amore e… del 1956, questa volta a fianco di Sophia Loren. Nel 1958 affiancò di nuovo la Lollobrigida in Anna di Brooklyn. Divertente la sua interpretazione al fianco di Totò in I due marescialli (1961).

Ebbe anche un proficuo rapporto con Alberto Sordi, che tentò di lanciare nel 1951 producendo e dirigendo anonimamente Mamma mia, che impressione! e con il quale recitò in diversi film, tra i quali sono da menzionare Il conte MaxIl moralista e Il vigile. Il risultato più alto del connubio è probabilmente in un film diretto dallo stesso Sordi, Un italiano in America (1967), dove interpretò un incisivo e malinconico ruolo di uno sfaccendato squattrinato emigrato negli Stati Uniti d’America, che sfrutta la partecipazione a una trasmissione televisiva per incontrare il figlio che non vedeva da tempo e al quale fa credere di essere ricco.

Molto intense anche le sue interpretazioni drammatiche: su tutte quella de Il generale Della Rovere, di Roberto Rossellini (1959), e la partecipazione nel remake di Addio alle armi di Charles Vidor (1957). Nella parte finale della propria carriera artistica si trovò ad interpretare ruoli secondari in film anche molto lontani dalla sua immagine, come nel caso di Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete!!! di Paul Morrissey (1974).

De Sica regista

De Sica compì il suo esordio dietro la macchina da presa nel 1939 sotto l’egida di un potente produttore dell’epoca, Giuseppe Amato, che lo fece debuttare nella commedia Rose scarlatte. Fino al 1942 la sua produzione da regista non si discosta molto dalle commedie misurate e garbate simili a quelle di Mario Camerini: ricordiamo Maddalena… zero in condotta (1940) con Carla Del Poggio e Irasema Dilian, e Teresa Venerdì (1941) con Adriana Benetti e Anna Magnani. A partire dal 1943, con I bambini ci guardano (tratto dal romanzo Pricò di Giulio Cesare Viola) iniziò, insieme a Zavattini ad esplorare le tematiche neorealiste.

Dopo un film a sfondo religioso realizzato nella Città del Vaticano durante l’occupazione della capitale, La porta del cielo (1944), il regista firma, uno dietro l’altro, quattro grandi capolavori del cinema mondiale: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), ricavato dal romanzo omonimo di Luigi Bartolini, Miracolo a Milano (1951), tratto dal romanzo Totò il buono dello stesso Zavattini, e Umberto D. (1952), tutte pietre miliari del neorealismo cinematografico italiano. I primi due ottengono l’Oscar come miglior film straniero e il Nastro d’argento per la migliore regia. Nonostante ciò, alla presentazione di Sciuscià in un cinema milanese, il regista venne accusato da uno spettatore presente in sala di rendere una cattiva immagine dell’Italia.

Dopo questa quadrilogia, De Sica firmò altre opere importanti: L’oro di Napoli (1954) tratto da una raccolta di racconti di Giuseppe Marotta, Il tetto (1956) che è considerato il suo passo d’addio al neorealismo, quindi l’acclamato La ciociara, del 1960, tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia, che vanta una vibrante interpretazione di Sophia Loren, la quale vinse numerosi premi: Nastro d’argento, David di Donatello, Palma d’oro al Festival di Cannes e il Premio Oscar per la miglior attrice. Con la Loren lavorò anche in seguito, nell’episodio La riffa inserito nel film Boccaccio ’70 (1962), quindi in coppia con Marcello Mastroianni in Ieri, oggi e domani (1963), con tre ritratti di donna (la popolana, la snob e la mondana) e terzo suo Oscar, Matrimonio all’italiana (1964), trasposizione di Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, e I girasoli (1970).

Nel 1972 ottenne un quarto Premio Oscar con la trasposizione filmica del romanzo di Giorgio Bassani Il giardino dei Finzi Contini, storia drammatica della persecuzione di una famiglia ebrea ferrarese durante il fascismo; quest’opera ottiene anche l’Orso d’oro al Festival di Berlino del 1971. L’ultimo film da lui diretto è la riduzione di una novella di Luigi Pirandello, Il viaggio (1974).

La canzone napoletana

Nel 1911, in un periodo in cui, a causa di un’epidemia di colera, le autorità avevano proibito di mangiare i fichi, pur di procurarsene, anche perché costavano poco, la madre si faceva aiutare dal piccolo Vittorio durante gli acquisti dagli ambulanti. De Sica in questo caso fungeva da palo per dare l’allarme all’arrivo della legge. In un’occasione, quando si profilarono due carabinieri, l’artista intonò Torna a Surriento. Ai militi piacque e chiesero di continuare; De Sica si trovò così a interpretare tutto il repertorio napoletano a lui noto. Negli anni seguenti, divenuto attore, incise numerose versioni dei classici napoletani.

Ernesto Murolo lo bocciò esclamando durante una sua esibizione: “Tene sulo nu filo ‘e voce”. Inoltre, alludendo alla sua magrezza, aggiunse: “Pare nu miezo tisico”. Lo apprezzò, invece, Enzo Lucio Murolo, l’inventore della sceneggiata. Disse Dino Falconi, autore di riviste: “Nessuno meglio di me può assicurare che Vittorio De Sica cantava come soltanto un napoletano sa cantare”. Nella maturità, incise Signorinella di Bovio. Fece in tv a Studio Uno un duetto con Mina in Amarsi quando piove. Per la collana Recital dedicò album a Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo e Michele Galdieri, in cui interpretava canzoni e recitava poesie.

Nel 1968 partecipò come autore a un Festival di Napoli. La sua Dimme che tuorne a mme!, musicata dal figlio Manuel, nel Festival di Napoli 1968 fu interpretata da Nunzio Gallo e da Luciano Tomei, ma non entrò in finale. Più volte progettò di prendere casa a Posillipo: De Sica sosteneva che “nu cafone ‘e fora” – come lui si definiva – può amare Napoli più di un napoletano. Incise l’ultimo album nel 1971: De Sica anni Trenta, realizzato con gli arrangiamenti del figlio Manuel. La sua interpretazione più nota, tuttavia, resterà quella di Munasterio ‘e santa Chiara.

In televisione

Molto attivo anche sul piccolo schermo, sebbene non lo amasse molto, partecipò a diverse trasmissioni statunitensi e italiane di intrattenimento leggero come Il Musichiere (1960), Studio Uno (1965), Colonna Sonora (1966), Sabato Sera con Corrado (1967), Delia Scala Story (1968), Stasera Gina Lollobrigida (1969), Canzonissima con Corrado e Raffaella Carrà (1970-71) e nuovamente in quella del 1972/1973 con Pippo Baudo e Loretta Goggi e Adesso musica (1972), nonché nel ruolo del giudice chiamato a processare il burattino Pinocchio nello sceneggiato Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini (1972). Nel 1971 diresse due documentari, e inoltre molti uomini di cultura gli dedicarono diversi documentari onorifici.

Vita privata

Era nota la sua grande passione per il gioco, per la quale si trovò a volte a perdere somme anche ingenti, e che probabilmente spiega qualche sua partecipazione a pellicole non alla sua altezza; nell’immediato dopoguerra fu assiduo frequentatore di roulette nel Casinò Municipale del Castello di Rivoli. Quella per il gioco fu una passione che non nascose mai e che anzi riportò, con grande autoironia, in diversi suoi personaggi cinematografici, come ad esempio in Il conte MaxUn italiano in America o L’oro di Napoli. Il 10 aprile del 1937, nella chiesa di Borgo San Pietro ad Asti, De Sica si sposò con l’attrice torinese Giuditta Rissone, che aveva conosciuto dieci anni prima e dalla quale ebbe la figlia Emilia, detta Emi (1938-2021). Nel 1942, sul set del film Un garibaldino al convento, conobbe l’attrice catalana María Mercader, con la quale andò in seguito a convivere. Dopo il divorzio dalla Rissone, ottenuto in Messico nel 1954, si unì con l’attrice catalana in un primo matrimonio nel 1959 sempre in Messico, ma l’unione fu ritenuta “nulla” perché non riconosciuta dalla legge italiana; nel 1968 ottenne la cittadinanza francese e si sposò con María Mercader a Parigi. Da lei aveva nel frattempo avuto due figli: Manuel (1949-2014), musicista, e Christian (1951), che seguirà le sue orme come attore e regista. Suo nipote Andrea (1981), figlio di Manuel, è anche lui regista e sceneggiatore. Seppur divorziato, De Sica non seppe rinunciare alla sua prima famiglia. Avviò così un doppio ménage, con doppi pranzi nelle feste e un conseguente logorìo; si racconta che alla Vigilia e all’ultimo dell’anno regolasse l’orologio avanti di due ore in casa della Mercader per poter brindare alla mezzanotte. La prima moglie accettò di mantenere una sorta di matrimonio apparente pur di non togliere alla figlia la figura paterna. A questi aspetti della sua vita è in parte ispirato il film L’immorale, diretto da Pietro Germi nel 1967 e interpretato da Ugo Tognazzi.

La morte e la sepoltura

Vittorio De Sica morì a 73 anni in seguito a un intervento chirurgico per curare un tumore ai polmoni di cui soffriva, all’ospedale di Neuilly-sur-Seine, presso Parigi; nello stesso anno, Ettore Scola gli dedicò il suo capolavoro C’eravamo tanto amati. Come ha ricordato suo figlio Christian durante un’intervista a Le invasioni barbariche, Vittorio De Sica era comunista, e questo fatto, unito ovviamente alle sopraccitate vicende matrimoniali, gli impedì di ricevere un funerale particolarmente fastoso. Per Carlo Lizzani era in realtà «un tranquillo conservatore». Trentacinque anni dopo, Annarosa Morri e Mario Canale gli hanno dedicato il documentario Vittorio D., presentato alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e successivamente trasmesso da LA7. La sua salma riposa nel cimitero monumentale del Verano a Roma (notizie estrapolate dal sito Wikipedia).

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