M.I.S.E. 13^ EMISSIONE 2022, del 10 aprile, di un francobollo celebrativo della POLIZIA di STATO, nel 170° anniversario della fondazione.

M.I.S.E. 13^ EMISSIONE 2022, del 10 Aprile, di un francobollo celebrativo dedicato alla POLIZIA di STATO, nel 170° anniversario della fondazione, con valore indicato in B, corrispondente ad €1.10.

  • data: 10 aprile 2022
  • dentellatura: 11
  • dimensioni francobollo: 30 x 40 mm
  • stampa: rotocalcografia
  • tipo di cartacarta bianca, patinata gommata, autoadesiva, non fluorescente
  • colori: cinque
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 300.000
  • valoreB = € 1.10
  • bozzettistaa cura della Polizia di Stato, ottimizzato dal Centro Filatelico della Direzione Operativa dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato SpA.
  • num. catalogo francobolloMichel _4406___ YT __4166__ UNIF __4249__
  • Il francobollo: La vignetta raffigura due agenti della Polizia di Stato in divisa, un uomo e una donna, che si stagliano in primo piano davanti a un’auto della Polizia. Suggellano la vignetta, sullo sfondo, una fascia tricolore e lo stemma della Polizia di Stato. Completano il francobollo la legenda “170° anniversario fondazione della Polizia di Stato”, la scritta “Italia” e l’indicazione tariffaria “B”.

Se sei interessato all’acquisto di questo francobollo lo puoi acquistare al prezzo di € 1,50 inviandomi una richiesta alla mia mail:  protofilia1@gmail.com

inoltre della stessa emissione è possibile acquistare: Cartolina Filatelica- Folder – Bollettino Illustrativo e Tessera Filatelica, inoltrare richiesta alla email sopra riportata

La Polizia di Stato (in precedenza Corpo delle guardie di pubblica sicurezza) è un corpo di polizia ad ordinamento civile, che fa parte delle forze di polizia italiane direttamente dipendente dal Dipartimento della pubblica sicurezza, del Ministero dell’interno.

Il Ministro dell’Interno è l’autorità nazionale di pubblica sicurezza e vigila sul mantenimento dell’ordine pubblico. Si avvale del Dipartimento della pubblica sicurezza al cui vertice vi è il capo della polizia e direttore generale della pubblica sicurezza.

Stemma della Polizia di Stato

Storia

L’unità d’Italia e i primi assetti

Dopo l’unità d’Italia, col regio decreto 9 ottobre 1861, n. 255 venne creata la “Direzione generale della pubblica sicurezza”, potenziando quindi temporaneamente la struttura, allora cresciuta sino al rango di divisione; l’anno successivo, tuttavia, con l’istituzione del Segretariato generale del ministero dell’Interno, l’amministrazione fu ricondotta al rango di divisione e posta sotto la responsabilità del segretario generale. La prima norma che dettò disposizioni organiche in tema fu la legge 20 marzo 1865, n. 2248 all’allegato B – cui seguì il Regolamento Esecutivo 18 maggio 1865, n. 2236. Le attività del Corpo furono poi distinte, nel 1880, in “polizia amministrativa”, “polizia giudiziaria” e “divisione affari riservati”. Con il regio decreto 3 luglio 1887, n. 4707, il governo Depretis VIII ripristinò la Direzione generale, e nel dicembre del 1890 dall’unione delle Milizie comunali e del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, nacque il Corpo delle guardie di città.

Le riforme dei governi Giolitti e Nitti

Nel 1902, durante il governo Giolitti II fu fondata la scuola di polizia scientifica per opera principalmente di Salvatore Ottolenghi, primo studioso delle tecniche di investigazioni scientifiche e allievo del criminologo Cesare Lombroso, con a capo lo stesso Ottolenghi. Il testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza emanato durante il governo Giolitti III disciplinò per la prima volta sistematicamente la materia della pubblica sicurezza, stabilendo criteri per l’attribuzione delle funzioni di pubblica sicurezza e indicando coloro ai quali possono essere attribuite; un ruolo centrale fu attribuito al “delegato di pubblica sicurezza”, autorità incaricata di garantire l’ordine pubblico. Nel 1917 fu istituito l’UCI (Ufficio centrale investigazioni), che raccoglieva in parte l’eredità della divisione affari riservati politici e che si sarebbe dedicato ad attività di controspionaggio; il comando fu assegnato a Giovanni Gasti.

Successivamente il governo Nitti I con il Regio Decreto 14 agosto 1919, n. 1442 stabilì un nuovo ordinamento del personale di pubblica sicurezza e contestualmente dispose la creazione di un corpo di agenti di investigazione, il successivo Regio Decreto 2 ottobre 1919, n. 1790 sciolse i corpi delle guardie di città e delle guardie municipali, che cessarono ogni compito di polizia passando definitivamente alle dipendenze del sindaco per espletare la vigilanza sulle materie di competenza municipale. Furono costituiti il Corpo della regia guardia per la pubblica sicurezza (12 divisioni, 40.000 uomini), a ordinamento militare, deputato al mantenimento dell’ordine pubblico e alquanto svincolato da eventuali influenze della politica, e il Corpo degli agenti investigativi (8.000 uomini), specializzato in compiti di polizia giudiziaria.

Attuale divisa della Polizia di Stato

Il ventennio fascista e l’opera di Arturo Bocchini

Il 31 dicembre 1922 Benito Mussolini, capo del neonato governo, sciolse i due corpi che furono poi assorbiti nell’Arma dei Carabinieri Reali. Nell’ambito della stessa manovra, venne creata la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Tra le ragioni che si sono prospettate per questa scelta, molti studiosi propendono per considerare più verosimile l’esigenza del nuovo presidente del consiglio di sottoporre a più facile controllo tutte le strutture dello Stato (ciò che sarebbe stato poi di maggior evidenza quando tutte le amministrazioni fasciste vennero organizzate in forma paramilitare): se la truppa dei due corpi di polizia era certamente militare, la parte alta della catena gerarchica, costituita dai funzionari di Pubblica Sicurezza era invece civile, perciò non sottoposta ai rigori delle regolamentazioni cui soggiacevano gli uomini in divisa, primo fra tutti appunto la rigida concatenazione gerarchica.

La distinzione di un apposito corpo di polizia “specifico” era funzionale al regime fascista, le cariche di diretta emanazione governativa furono perciò mantenute al loro posto, con anzi qualche piccolo intervento che dimostrava un’attenzione costante. Con il regio decreto 11 novembre 1923, n. 2395, la figura del “direttore generale della pubblica sicurezza” fu rinominata (senza peraltro sostanziali modificazioni dal punto di vista funzionale) in “intendente generale della polizia”, subito ricorretta dal regio decreto 20 dicembre 1923, n. 2908, che la convertì all’ancora vigente denominazione di “Capo della Polizia”. Nell’aprile del 1925 fu costituito il Corpo degli agenti di pubblica sicurezza, che godeva di minori attenzioni e in un ruolo di secondo piano rispetto alla MVSN, con la quale durante il ventennio sorsero numerose interferenze di competenze o di fatto. Alla ricostituzione del Corpo si giunse però anche perché i Carabinieri, di più antiche tradizioni, erano rimasti più fedeli alla corona.

Nel 1926 venne nominato capo della polizia Arturo Bocchini, al quale si deve nel 1930 la creazione dell’OVRA (Organismo di vigilanza per la repressione dell’antifascismo). Egli, inoltre, introdusse notevoli modifiche organizzative e tecniche nel funzionamento delle questure così da poter allestire agevolmente un’imponente raccolta di dati in tempo reale che a Palazzo Venezia venivano analizzati anche per monitorare il consenso popolare. Fra queste modifiche il cosiddetto “mattinale”, rapporto burocratico contenente dati sulla forza presente e consuntivi dei fatti (crimini, incidenti, altri fatti di rilievo) della giornata precedente e che era generalmente consegnato al destinatario (tipicamente il questore, ma anche responsabili di altri comandi) al momento di prendere servizio la mattina, donde il nome.

Durante il mandato di Bocchini, sotto l’impulso del colonialismo italiano, venne creato un apposito corpo di polizia per i nuovi territori, il Corpo di Polizia Coloniale, poi rinominato Polizia dell’Africa Italiana (PAI). Bocchini riuscì a gestire una importante e nello stesso tempo delicatissima istituzione, un corpo il cui controllo era ovviamente essenziale per la buona tenuta del governo e che pare egli stesso abbia voluto ricreare, dopo il discioglimento del 1922, al fine di costituirne una sorta di armata a disposizione del governo (il quale peraltro già aveva inquadrato nelle camicie nere elementi dello squadrismo). La polizia, dunque, era fedele al governo, i Carabinieri al re. Bocchini fu perciò il vero autore di una duplicazione delle strutture nazionali militari e di polizia (e di intelligence) che rappresentò al meglio la ragione dei sostanziali equilibri fra la corona e il regime.

In questo ruolo Bocchini era uno dei pilastri fondamentali su cui poggiava l’edificio del regime. Bocchini fu incaricato di eseguire le schedature più delicate degli esponenti più in vista della società italiana del periodo, contribuendo alla creazione del famoso “archivio segreto” di Mussolini. Fu ancora Bocchini a riportare personalmente a Mussolini il gravissimo malcontento popolare causato dalle leggi razziali fasciste. Si ricorda in proposito, fra i tanti caduti della polizia (attraverso le sue varie denominazioni), il caso di Giovanni Palatucci, funzionario dell’Ufficio stranieri di Fiume, che impedì la deportazione di numerosi ebrei e che per questo fu deportato egli stesso, morirà nel campo di concentramento di Dachau.

Alla morte di Bocchini, avvenuta peraltro in circostanze che qualcuno ha considerato non chiare (anche perché di pochissimo successive alla sua presentazione di un’informativa nella quale si ammoniva Mussolini sullo scarso consenso delle forze armate e della popolazione dinanzi alla possibilità di seguire la Germania nella guerra), gli successe Carmine Senise, ritenuto da alcuni più vicino a Badoglio, ed al monarca. Anche Senise era conscio del malcontento e anzi previde la possibile destituzione di Mussolini da parte di Vittorio Emanuele III, ma riuscì a mantenere la sua figura ben distinta dal regime.

La seconda guerra mondiale

La seconda guerra mondiale condusse le forze di polizia ad aggiornare le proprie finalità d’impiego, per far fronte a situazioni di ordine pubblico ovviamente eccezionali. Senise fu sostituito nell’aprile del 1943, in occasione di un generale rimpasto delle cariche istituzionali voluto da Benito Mussolini. Questo rimpasto (che privava la corona di un uomo sempre più fidato su una poltrona tanto delicata) è stato considerato da alcuni storici il vero momento in cui dal Quirinale si decise, avvicinando Dino Grandi, di liberarsi di Mussolini. Dopo la caduta del fascismo Senise fu subito rinominato da Badoglio capo della polizia. Va menzionato che Senise fu una delle pochissime autorità che non seguirono il re e Badoglio nella fuga al Sud dopo l’armistizio di Cassibile e che per questo fu catturato a Roma dai tedeschi e fu deportato in un lager dal quale fu liberato alla fine della guerra. Il 6 settembre 1943, quando l’armistizio era già stato firmato in segreto, prima che ne fosse data notizia pubblica era stata sciolta la MVSN, restituendo alla polizia tutte le sue principali funzioni. Con il decreto legislativo luogotenenziale 2 novembre 1944, n. 365, emanato durante la luogotenenza di Umberto II di Savoia, venne nuovamente istituito il “‘Corpo delle guardie di pubblica sicurezza”, con status di corpo militare.

La fine della guerra fu preceduta e seguita da situazioni di grave disagio dell’amministrazione, non in grado di assolvere ai suoi doveri istituzionali con risultati soddisfacenti. La divisione del paese e la guerra civile in Italia, alimentarono enormemente la confusione e l’insicurezza nella penisola, insieme al diffuso banditismo. In più, la polizia sotto la guida di Bocchini si era legata assai intimamente alle vicende governative, e spesso era lontana dalla fiducia della popolazione. Poco prima della liberazione, fu perciò necessario impartire il divieto di appartenenza a partiti politici o sindacati per tutti gli appartenenti al Corpo, onde fugare il sospetto che l’attività di polizia potesse ancora subire “orientamenti”. A questo si univa anche il discusso utilizzo della polizia da parte del governo Badoglio, che la impiegò in modo alquanto spiccio nel contrastare sommosse e tafferugli: le animosità venivano sedate con frequente uso delle armi da fuoco, provocando decine di morti che compromisero la reputazione presso l’opinione pubblica. Nonostante la gravità della situazione generale, nel 1945 si diede vita alle specialità della Polizia ferroviaria e della Polizia stradale, il cui primo compartimento fu insediato presso la questura di Milano.

Il secondo dopoguerra e i reparti mobili

Il dicastero dell’Interno, dopo la Liberazione, fu assunto dal socialdemocratico Giuseppe Romita. Fu egli a istituire nel 1946 i “reparti mobili” ossia una forza di pronto impiego per l’ordine pubblico, sino ad allora gestito dall’Esercito. Vennero muniti dei primi manganelli di legno e di alcune Jeep avute in dono dall’esercito statunitense.

La nomina a ministro dell’interno di Mario Scelba, nel 1947, che a sua volta nominò Capo della Polizia Giovanni D’Antoni, determinò una rapida riorganizzazione del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Furono dimissionati elementi introdotti alla fine della guerra, come la cosiddetta polizia ausiliaria, di cui fece parte un numero di ex partigiani che alcune stime hanno fissato in circa 20.000 unità (costituivano circa la metà dell’organico complessivo), in quanto Scelba riteneva che essendo composte da un’alta percentuale di comunisti, per la maggior parte provenienti dalle Brigate Garibaldi, avrebbero potuto agire dall’interno delle forze dell’ordine per attuare la rivoluzione comunista in Italia. Inoltre la polizia ausiliaria evidenziava marcate problematicità di insubordinazione e abbandono di posto. L’equipaggiamento venne tuttavia ampliato, con la dotazione di mitragliatrici pesanti e addirittura di mortai da 81mm, allo stesso tempo, l’organizzazione dell’amministrazione veniva rivista e talune specialità venivano distinte in separati servizi direttamente dipendenti dalla direzione generale, come nel caso della Polizia postale, la Polizia stradale, la Polizia ferroviaria e la Polizia di frontiera.

Nel dicembre 1959 nacque il Corpo di polizia femminile, composto evidentemente da personale femminile e dedicato a tematiche delicate e di rilievo morale, come la protezione della donna e la tutela dei minori; il corpo, parallelo alla polizia “tradizionale”, aveva anche la funzione pratica di supportare questa per alcuni compiti che non era opportuno affidare agli uomini, come ad esempio la perquisizione corporale delle donne. Le prime ispettrici entrarono in servizio nel 1961.

Gli anni sessanta: il ruolo di Angelo Vicari e lo sviluppo tecnologico

Gli anni sessanta, caratterizzati dai movimenti giovanili e dai cambiamenti della società, che al rifiorire dell’economia univa la revisione dei rapporti sociali, furono guidati nella polizia dalla figura del prefetto Angelo Vicari, che vi lasciò una traccia di fondamentale importanza.

Con Vicari nacque la polizia criminale (“criminalpol”), inizialmente come una divisione per il coordinamento (concetto ancora una volta mutuato da altri corpi stranieri) dell’Interpol con alcuni servizi investigativi interni. Si ebbe inoltre una revisione dell’organizzazione delle scuole di istruzione, costituite in divisione autonoma, e la trasformazione della Scuola superiore di Polizia nell’Accademia di Polizia. In questa si formavano gli ufficiali militari, poiché l’amministrazione risultava divisa, nelle carriere, nella formazione e nelle mansioni, fra le funzioni militari e quelle più propriamente di polizia.

Gli ufficiali furono addestrati e gestiti in modo affine agli ufficiali dei carabinieri e, come per questi, una scelta aliquota veniva anche inviata presso la Scuola di guerra dell’esercito, per l’esigenza di mantenere aggiornata e coordinata la potenzialità di impiego bellico del Corpo (e soggettivamente per l’accesso ai gradi più elevati).

Nonostante le condizioni del trattato di Parigi fra l’Italia e le potenze alleate imponessero una pesante limitazione del numero di soldati che l’Italia poteva arruolare – che influì anche sugli organici del corpo – nacquero varie specialità, mentre le questure specializzavano apposite squadre dedicate ad alcune tipologie d’impiego: le squadre volanti, mobili, omicidi e molte altre, distinte per competenze. Ci furono però alcuni esempi che diedero un certo prestigio al corpo, come il caso di Armando Spatafora unico autorizzato alla guida in servizio dell’unica Ferrari (250 GT/E) nera, in dotazione alla Squadra mobile di Roma.

Maresciallo Spatafora con la sua mitica Ferrari

Se fino a metà degli anni sessanta le auto della polizia dovevano sostare in Questura oppure fermarsi alle centrali telefoniche sparse lungo le strade principali delle città, nel 1965 si decise di creare un sistema di radiocomunicazioni veicolare, in contatto radio con la centrale. La prima centrale radio fu insediata alla questura di Milano, dove fu installato un gigantesco apparecchio “Westinghouse 21” di fabbricazione statunitense; l’iniziale della marca Westinghouse (“W”) – però – entrò nell’uso comune, e veniva resa nel codice radiofonico come “Doppia Vela” e “Doppia Vela 21”. Questo divenne perciò il nome in codice della centrale, mentre le auto desumevano i loro nominativi in codice radio dalla marca degli apparecchi di bordo, “Iris”. La centrale – che coincideva con la sala operativa – svolgeva quindi la funzione di centro di raccolta e smistamento interattivo delle informazioni necessarie per un pronto intervento nelle aree urbane di competenza, e presto sarebbe diventata il terminale del numero unico di pronto soccorso, il 113.

Anche gli armamenti in dotazione erano alquanto superati; la pistola Beretta M51 sostituì completamente la 34 (e la sua versione in 7,65 browning, la “35”) nel giro di alcuni anni,tuttavia vi furono talvolta problemi per le cartucce calibro 9 × 19 mm Parabellum. I Beretta MAB 38, i cui caricatori restavano spesso vuoti e la cui funzione era spesso solo quella della deterrenza visiva, essendo del tutto innocui per mancanza di proiettili.

La contestazione e gli anni di piombo

A partire dal “sessantotto”, si ebbero vari scontri con movimenti ed associazioni studentesche; dai primi disordini scoppiati alla facoltà di Architettura dell’Università di Roma – La Sapienza, si passò a violenze stradali di crescente frequenza in tutte le principali città italiane, che vedevano la polizia costretta in pratica a organizzare vere e proprie azioni anti-guerriglia. Fu accelerato lo studio dei proiettili lacrimogeni, una sorta di granate capaci di sprigionare appunto gas lacrimogeno, e per questo i reparti di ordine pubblico furono nuovamente dotati del fucile Carcano Mod. 91, cui venne applicato un piccolo tromboncino per questo tipo di lanci. Furono blindati auto e furgoni (poi chiamati direttamente «blindati»), si trovarono i fondi di bilancio per le pallottole e si introdusse la pistola mitragliatrice Beretta M12. Furono riveduti integralmente i servizi di anti-sabotaggio e scorta, e le schedature politiche furono potenziate. Le uniformi vennero unificate: se prima le forze impiegate in ordine pubblico indossavano il grigioverde, lasciando alle altre la «spezzata» (giubba blu e pantaloni grigio azzurri), tutte ora indossavano quest’ultima e anche i veicoli (prima grigi per l’ordine pubblico e verdi, anzi «verdoni», per il resto) furono tutti riverniciati con una nuova livrea bianco-celeste, e scomparvero le differenze fra le uniformi degli ufficiali e quelle del personale dei ruoli inferiori.

Alla fine degli anni sessanta, segnata dalla contestazione studentesca, da quella operaia e dalla strage di piazza Fontana, gli organi di polizia finirono sotto inchiesta per la morte di Giuseppe Pinelli, avvenuta il 15 dicembre 1969, ferroviere e attivista anarchico morto cadendo da una finestra del quarto piano della Questura di Milano, durante le indagini sulla strage di tre giorni prima. Gli esponenti della sinistra extraparlamentare accusarono le forze dell’ordine di averlo gettato dalla finestra, in particolare il commissario Luigi Calabresi: questa ipotesi fu smentita da due istruttorie (la prima parlò di suicidio, la seconda di malore), ma per una parte della popolazione si trattava di omicidio e fu indicato nel commissario un capro espiatorio su cui scagliarsi.

immagine del Commissario Calabresi

Durante gli anni settanta si ebbero vertiginose espansioni del crimine e l’intensificarsi di episodi di terrorismo, tentativi di colpo di Stato, banditismo (sequestri di persona), contrabbando, traffico di stupefacenti, rapine, estorsioni, fenomeni mafiosi, proliferare del racket delle estorsioni e dell’usura, oltre all’effervescenza politica che per molti anni si tradusse in quotidiani scontri armati fra fazioni politiche e fra queste e il corpo di polizia, il decennio si aprì con l’omicidio di Luigi Calabresi nel 1972 in un agguato sotto casa.. I due omicidi e la tensione politico-sociale attorno ad esse lasciavano prevedere che i rapporti fra una parte della cittadinanza e le istituzioni si sarebbero pesantemente incrinati.

Gli eventi del decennio vennero definiti di “anni di piombo”; durante tale periodo le forze di polizia italiane, registrarono un incremento di perdite. L’emergenza fu affrontata dai governi in carica con alcune manovre legislative, che conferivano poteri più elastici agli agenti (ad esempio in materia di fermo di indiziato di delitto), arroventandosi la polemica sulla legge Reale e sulla supposta «svolta autoritaria», mentre amministrativamente furono ristrutturate le branche dedicate alla lotta al terrorismo. Nacque l’UCIGOS, operante sul territorio attraverso le DIGOS di ciascuna questura e attraverso i NOCS, corpo d’élite di pronto impiego per operazioni speciali.

La riforma dei servizi segreti italiani – operata ai sensi della legge legge 24 ottobre 1977, n. 801 – che da un lato ne centralizzava al governo il controllo politico diretto con la sottomissione al CESIS, ma dall’altro apriva a facilitazioni operative per il coordinamento dell’azione dei servizi e delle forze – aprì la speranza degli operatori alla prospettiva di una riforma anche della polizia. Funzionari e agenti reclamavano dallo Stato, con voce sempre più pressante, una revisione delle condizioni di lavoro, di inquadramento di carriera, di snellimento e facilitazione delle mansioni, oltre a un miglior rispetto della incombenza di sacrificio in cui si trovavano, peraltro per stipendi indecorosi, per ragione di professione.

La riforma del 1981 e la smilitarizzazione

All’inizio degli anni ottanta, con la riforma avvenuta con la legge 1º aprile 1981, n. 121– che ebbe tra i promotori il generale Enzo Felsani – venne riorganizzato lo status e la struttura della polizia italiana. Fino ad allora infatti, sotto il generico termine «polizia» venivano raggruppati soggetti appartenenti a tre distinte organizzazioni:

  • I funzionari della P.S., funzionari civili che avevano la responsabilità della gestione degli uffici del Dipartimento della P.S. e che nelle questure e nei commissariati avevano la responsabilità della conduzione degli uffici e dei servizi di polizia giudiziaria e ordine pubblico.
  • Gli ufficiali, i sottufficiali e i militari di truppa del «Corpo delle guardie di Pubblica Sicurezza», che gestivano, secondo i rispettivi livelli di responsabilità, i servizi di polizia giudiziaria e ordine pubblico, nonché le specialità della Polizia stradale, Polizia ferroviaria, Polizia di frontiera, Polizia postale.
  • Le ispettrici e le assistenti del Corpo di polizia femminile, funzionarie civili, che si occupavano di prevenzione e repressione dei reati in materia di buon costume, donne e minori.

Questa riforma era stata preceduta da una campagna rumorosa: mentre stavano nascendo le organizzazioni terroristiche, sfilavano i cortei che chiedevano il disarmo delle forze di polizia. Per giustificare questa presa di posizione gli esponenti politici affermarono che era meglio se la polizia fosse rimasta disarmata durante le manifestazioni sindacali, al fine di evitare incidenti. Riorganizzare lo status e la struttura della polizia italiana era necessario, e anche la smilitarizzazione, finito il periodo dell’emergenza: farlo mentre organizzazioni come le BR e Prima Linea infierivano contro lo Stato fu imprudente e rischioso.

Con la riforma le tre diverse componenti furono fuse nel corpo quale «corpo civile militarmente organizzato» per la tutela dello Stato e dei cittadini da reati e turbative dell’ordine pubblico. Il Corpo acquisiva un ordinamento civile (le mostrine non avevano più la stella, simbolo dei corpi militari, sostituita dal monogramma «RI»  con arruolamento aperto a uomini e donne. Il divieto di far parte e di iscriversi a organizzazioni politiche o sindacali fu in parte mitigato dalla possibilità di costituire sindacati interni.

I gradi militari furono sostituiti dalle qualifiche: Gli appuntati di P.S. e le guardie di P.S. assunsero le denominazioni di assistenti e agenti, i sottufficiali di P.S. furono inquadrati, in base al grado rivestito, nei neo-costituiti ruoli degli ispettori e sovrintendenti mentre gli ufficiali di P.S. furono inglobati tra i funzionari e gli ufficiali superiori tra i dirigenti. La riforma introdusse l’organizzazione del personale in 3 differenti ruoli organizzativi: ruolo di polizia, ruolo tecnico/tecnico-scientifico e ruolo sanitario. Inoltre furono anche rivisti i provvedimenti disciplinari avverso gli appartenenti al Corpo.

Gli anni 2000 e le inchieste giudiziarie

A partire dai primi anni 2000, in seguito ad alcuni avvenimenti quali i fatti della scuola Diaz e dei processi e decisioni giudiziarie sul G8 di Genova, ma anche di alcuni episodi di cronaca nera avvenuti tra il 2005 e il 2006, in Italia è iniziato un dibattito circa la necessità di poter garantire lo stato di diritto e rendere obbligatorie divise che permettano l’identificazione degli agenti o strumenti di ripresa indossabili dagli stessi.

Nel 2018 fu presentata alla stampa YouPol, un’applicazione gratuita per terminali mobili con sistemi iOS e Android, che permette ai cittadini di comunicare con la Sala Operativa della Questura locale e di inoltrare segnalazioni inerenti fatti di spaccio di sostanze stupefacenti, bullismo e violenza commessa all’interno delle mure domestiche. Le segnalazioni vengono automaticamente associate alla posizione del terminale e possono essere effettuate anche in forma anonima, allegando eventualmente immagini o file video.

alcuni Stemmi in uso alla Polizia di Stato

Compiti istituzionali

In quanto autorità di pubblica sicurezza, oltre a vigilare sull’ordine pubblico e provvedere al mantenimento della sicurezza cittadina, fornisce soccorso a soggetti pubblici e privati in caso di infortuni, e favorisce la risoluzione pacifica dei dissidi tra privati.

Si occupa inoltre di addestrare presso le sue strutture, personale appartenente ad altri Corpi, ovvero la Guardia di Finanza e l’Arma dei Carabinieri, relativamente alla repressione delle infrazioni al Codice della strada presso il Centro addestramento della Polizia Stradale sito in Cesena. Invece viene impiegata per la formazione degli agenti di polizia locale al tiro, alla guida operativa e alla difesa personale.

Tra le altre cose, i compiti precisi variano per ciascun reparto e per ogni specialità del corpo (articolo parzialmente estrapolato dal sito Wikipedia).

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