58 – 59 – 60 e 61^ emissione del 05 luglio 2024, di QUATTRO francobolli ordinari appartenente alla serie tematica ”il patrimonio naturale e paesaggistico” dedicato ai Borghi d’Italia – Serie Turistica: PESCOCOSTANZO – STILO – CODRONGIANOS – SCICLI
58 – 59-60 e 61^ emissione del 05 luglio 2024, di QUATTRO francobolli ordinari appartenente alla serie tematica ”il patrimonio naturale e paesaggistico” dedicato ai Borghi d’Italia – Serie Turistica: PESCOCOSTANZO – STILO – CODRONGIANOS – SCICLI, ognuno dal valore indicato in B, corrispondente ognuno ad €1.25
- data emissione: 05 luglio 2024
- dentellatura: 9 effettuata con fustellatura.
- dimensioni francobollo: 40 x 48 mm
- tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente.
- Grammatura:90 g/mq.
- Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
- Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura : 200.004
- valore: tariffa B = €1.25
- colori: quadricromia
- bozzettista: Tiziana Trinca
- num. catalogo francobollo: Michel ______ YT _______ UNIF ________
- Il francobollo: raffigura uno scorcio del centro storico con la Piazza del Municipio e l’omonimo Palazzo d’impianto cinquecentesco, più volte restaurato nel corso dei secoli, che rievoca la classica dimora pescolana, con scala di accesso esterna e ballatoio davanti al portale principale, affiancato, a destra, dal Palazzo del Governatore e fronteggiato da Palazzo Fanzago. Completa il francobollo la scritta “BORGHI D’ITALIA” e la rispettiva legenda “PESCOCOSTANZO”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
- nota: Pescocostanzo: la fotografia è riprodotta per gentile concessione dell’autore Luigi Sette.
- data emissione: 05 luglio 2024
- dentellatura: 9 effettuata con fustellatura.
- dimensioni francobollo: 40 x 48 mm
- tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente.
- Grammatura:90 g/mq.
- Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
- Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura : 200.004
- valore: tariffa B = €1.25
- colori: quadricromia
- bozzettista: Tiziana Trinca
- num. catalogo francobollo: Michel ______ YT _______ UNIF ________
- Il francobollo: raffigura il tempietto greco-bizantino denominato “La Cattolica di Stilo”, la cui costruzione risale al X secolo; sullo sfondo s’intravede Stilo, paese ricco di cultura, che con il suo centro storico medievale caratterizzato da case in pietra che sembrano affrescate nella roccia e la chiesa di San Domenico, legata al filosofo Tommaso Campanella, vanta una storia millenaria. Completa il francobollo la scritta “BORGHI D’ITALIA” e la rispettiva legenda “STILO”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
- nota: Stilo: la fotografia è riprodotta per gentile concessione dell’autore Francesco Sorgiovanni.
- data emissione: 05 luglio 2024
- dentellatura: 9 effettuata con fustellatura.
- dimensioni francobollo: 40 x 48 mm
- tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente.
- Grammatura:90 g/mq.
- Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
- Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura : 200.004
- valore: tariffa B = €1.25
- colori: quadricromia
- bozzettista: Tiziana Trinca
- num. catalogo francobollo: Michel ______ YT _______ UNIF ________
- Il francobollo: raffigura una veduta del paese di Codrongianos, le cui origini risalgono all’epoca romana del III secolo d.C.; a sinistra, svetta la Chiesa di San Paolo. Completa il francobollo la scritta “BORGHI D’ITALIA” e la rispettiva legenda “CODRONGIANOS”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
- data emissione: 05 luglio 2024
- dentellatura: 9 effettuata con fustellatura.
- dimensioni francobollo: 40 x 48 mm
- tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente.
- Grammatura:90 g/mq.
- Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
- Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura : 200.004
- valore: tariffa B = €1.25
- colori: quadricromia
- bozzettista: Tiziana Trinca
- num. catalogo francobollo: Michel ______ YT _______ UNIF ________
- Il francobollo: raffigura una veduta del Colle di San Matteo, in cui svetta l’omonima Chiesa, simbolo di Scicli, città barocca in provincia di Ragusa, il cui centro storico è stato dichiarato nel 2002 Patrimonio dell’umanità da parte dell’UNESCO. Completa il francobollo la scritta “BORGHI D’ITALIA” e la rispettiva legenda “SCICLI”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
- nota: Scicli: la fotografia è riprodotta per gentile concessione dell’autore Luigi Nifosì.
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Pescocostanzo è un comune italiano di 1 081 abitanti della provincia dell’Aquila, in Abruzzo, facente parte del parco nazionale della Maiella e dei borghi più belli d’Italia, con la presenza di una propria stazione sciistica.
Panorama di Pescocostanzo
Territorio
Situato nella regione degli altipiani maggiori d’Abruzzo, un territorio dominato prevalentemente da pascoli, ad un’altitudine di 1395 m s.l.m., quarto comune più elevato degli Appennini, appartenente alla comunità montana Alto Sangro e altopiano delle Cinquemiglia, alle pendici del monte Calvario (1743 m) dove è posta anche la stazione sciistica che fa parte del comprensorio dell’Alto Sangro, il paese domina la conca dell’altopiano del Quarto Grande, raggiungibile da est dalla strada statale 84 Frentana attraverso il valico della Forchetta (1300 m circa).
Storia
La fondazione di Pescocostanzo viene fatta risalire al X secolo. Fin dai primi secoli si dimostrò prevalente sui centri circostanti, mostrando però rapporti movimentati nei confronti di feudatari e istituzioni religiose. Nell’XI secolo compare tra i possedimenti diretti dell’Abbazia di Montecassino: viene rappresentato sui battenti bronzei della nuova porta del Monastero cassinense voluta dall’Abate Desiderio nel 1065.
Nel 1108 l’abate di Montecassino e il preposto del monastero di San Pietro dell’Avellana, tal Brunone che viene definito anche vescovo, cedono il castello di Pesco Costanzo e la sua chiesa di Santa Maria al conte Attone figlio di Gualtieri, in cambio del castello di Cantalupo, che ne diventa così il primo feudatario laico dalla sua fondazione.
Il terremoto del 1456 che devastò l’Abruzzo offrì le condizioni al borgo per cambiare l’assetto urbanistico, con l’afflusso di una massiccia colonia di maestranze lombarde; questo singolare evento lasciò la sua impronta nel tessuto sociale e culturale del paese. Tra l’altro, si conserva l’uso del rito ambrosiano nelle cerimonie di battesimo celebrate nella basilica di Santa Maria del Colle. Con il dominio di Ferdinando I d’Aragona fin dal 1464 Pescocostanzo ebbe uno statuto che garantì per l’appartenenza al regio demanio per qualche tempo, godendo delle relative libertà. Successivamente il controllo della cittadina fu affidato a feudatari. La formazione nel tempo di una classe sociale economicamente solida e culturalmente elevata portò ad uno stato di benessere e di un’efficiente amministrazione.
La svolta per la cittadina si ebbe nel 1774, quando assumendo il titolo di Universitas Sui Domina (comunità padrona di sé), motto che fregia lo stemma comunale, si riscattò dal dominio feudale. Trovarono accoglienza nella società gli studi giuridici, filosofici, storici, matematici, letterari e un notevole culto dell’arte. A testimoniare la cultura locale vi sono i patrimoni librari custoditi presso molte famiglie e i numerosi eletti ingegni fioriti a Pescocostanzo. Il primo e più autorevole interprete in Italia della filosofia kantiana fu infatti un cittadino pescolano, il filosofo e matematico Ottavio Colecchi. La presenza di un consistente numero di opere d’arte nel piccolo borgo aquilano trova spiegazione in due fattori: le notevoli risorse economiche di istituzioni pubbliche e dirigenti e la disponibilità di maestranze in grado di realizzare opere in pietra, marmo, ferro battuto e legno, tradizioni artigianali tramandate dopo l’immigrazione dei mastri lombardi tra il XV e il XVII secolo.
Monumenti e luoghi d’interesse
Architetture religiose
Basilica di Santa Maria del Colle
Si tratta del monumento più rappresentativo di Pescocostanzo. La chiesa è una ricostruzione del 1456 della vecchia, dopo un terremoto. Nell’epoca rinascimentale barocca fu oggetto di restauri e ampliamenti, come la facciata del 1558 sul lato orientale, e il Cappellone del Sacramento del 1691. L’ampia aula quadrata dalla caratteristica spaziale unica in Abruzzo, è a cinque navate, suddivise da pilastri quadrati che sostengono archi a tutto sesto, senza transetto e con il coro rettangolare. L’ingresso laterale è quello principale, dotato da imponente scalinata, risalente al 1580, sopra cui campeggia il portale tardo romanico con lunetta affrescata. La ricchezza degli apparati interni, tra i quali spiccano gli splendidi soffitti lignei: quello dell’ottavo decennio del XVII secolo di Carlo Sabatini e i due intermedi del 1742 dorati e intagliati, che incorniciano tele di pregio. Di notevole interesse è l’altare maggiore e la cancellata in ferro battuto sono una sintesi dell’operato delle maestranze abruzzesi nell’oreficeria del barocco. Il Cappellone del Sacramento è del 1699-1705, opera di Santo di Rocco e Norberto Cicco; tra le opere d’arte ci sono statue lignee come quella medievale della Madonna del Colle, gli stucchi di Giambattista Gianni e la pala d’altare di Santa Caterina di Tanzio da Varallo, che mostra la Madonna dell’incendio sedato (1614).
Chiesa di Santa Maria del Suffragio dei Morti
Si trova accanto alla Basilica, risalente al XVI secolo, presentando la facciata a terminazione orizzontale, riproducendo una tipologia molto diffusa nella Maiella. Il prospetto è tripartito da lese piatte in pietra, proporzionando il rapporto tra l’esigua altezza e la larghezza; al centro si apre un’ampia finestra rettangolare sopra il portale, e le altre finestre, disposte su due ordini. Spicca il portale seicentesco con timpano triangolare sorretto da colonne poste su alte basi, con la decorazione barocca di due teschi affiancati dal retro. All’interno si ammirano un pregevole altare in noce, realizzato da Palmerio Grasso tra il 1647 e il 1469, e completato da Ferdinando Mosca nel 1716; il soffitto a cassettoni lignei è del 1637, realizzato dai pescolani Bernardino d’Alessandro e Falconio Falconi.
Chiesa della Madonna delle Grazie
La sua edificazione è precedente il 1508; sotto il rosone che perso la raggiata viene recata la data 1524; possedeva inoltre sulla facciata un dipinto di San Cristoforo del 1621, perché la chiesa era frequentata dai viandanti. Il prospetto principale presenta un’intonacatura bianca fino allo zoccolo basamentale grigio; la terminazione della facciata è orizzontale, conclusa con piccola cornice a dentelli. All’interno si trova un altare ligneo del 1596 che racchiude una tela raffigurante la Vergine del Suffragio, seguita da due dipinti di San Michele Arcangelo e San Francesco d’Assisi, opere di Antonio Massaretti.
Chiesa di Sant’Antonio Abate
Di origini duecentesche, si trova in cima allo sperone roccioso che sovrasta Piazza Municipio; possiede una torre campanaria angolare a vela, e ha pianta rettangolare a capanna. Appartenne nel 1777 all’Ordine degli Antonini.
Eremo di San Michele
Viene citato da papa Lucio III nel 1183, e si trova fuori dal paese, costituito da due aree scavate nella roccia, poste tra loro ad angolo. Il lato dedicato al culto ha due porte, delle quali la maggiore a sinistra, mentre la minore porta alla cappella funebre della famiglia Ricciardelli. Sull’architrave del portale si trova un’iscrizione che ricorda il restauro del 1598. L’interno della chiesa è pavimentato con lastre di pietra, mentre la volta rocciosa naturale non è rifinita, lasciata allo stadio originale. Una balaustra separa il presbiterio dall’aula; dietro l’altare si trova una nicchia che ospitava la statua del santo, ora nella chiesa del Rosario.
Chiesa di Santa Maria del Carmine
Si trova al vertice dell’incrocio tra due strade convergenti nel centro; risale al XVIII secolo con facciata in pietra bicroma in pieno stile barocco. L’interno è a navata unica, con un transetto nella parte finale che forma due cappelle laterali.
Chiesa di Gesù e Maria
Risale al XVII secolo, e si trova appena fuori dal paese, con un annesso ex convento, ristorante. La facciata è squadrata e divisa in due livelli da cornice, con il campanile turrito accanto. Gli interni sono arricchiti da pregevoli altari barocchi in marmo, tra cui spicca l’altare maggiore di Cosimo Fanzago, autore del quadriportico del convento. Gli stucchi sono dipinti in oro.
Ex monastero di Santa Scolastica
Si trova in Piazza Municipio e ospita il Palazzo Fanzago; fu costruito presso la preesistente chiesa di San Nicola, tuttora esistente, con il beneficio delle nobili famiglie pescolane, realizzato da Cosimo Fanzago nel 1624, con lavori durati fino al 1642. Solo 3 lati vennero realizzati rispetto ai 4 previsti, danneggiati dal forte terremoto del 1706; il lato opposto al fronte doveva essere più lungo degli altri, in modo da dare all’interno la conclusione trapezoidale. Del convento originario rimane solo la facciata principale in Piazza Municipio, non manomessa dopo la sconsacrazione. Il prospetto è stato concepito come una quinta ce chiude lo spazio retrostante e definisce il campo triangolare con la piazza della quale diventa protagonista. Presso la facciata furono realizzate delle nicchie, sostituendo le finestre antiche: la nicchia tipica a edicola delle chiese tardo cinquecentesche.
Eremo di Sant’Antonio
Risale al XIII secolo, costituito da piccola chiesa con campanile a vela, e alcuni locali che costituivano l’abitazione degli eremiti. L’interno ha altare sormontato da un bel quadro di Sant’Antonio di Padova.
Architetture civili
Palazzo Fanzago
Ricavato dall’ex convento di Santa Scolastica, risale al XVII secolo e ha la facciata serrata da possenti cantonali in pietra squadrata, scandita da una teoria di sei nicchie a timpani triangolari alternati, chiusi, spezzati, posti a rimare il piano della facciata. Il progetto di Cosimo Fanzago mostra i portali in pietra a tutto sesto, aperti nel corso del XIX secolo, per ospitare botteghe al pian terreno; le nicchie con le paraste ribattute da volute a mensole inginocchiate costituiscono un episodio chiave dell’opera di Fanzago, presentando analogie con l’altare della chiesa del Gesù e Maria. Di importanza sono le mensole lignee che sorreggono lo sporto di gronda del prospetto principale, raffiguranti un animale chimerico, metà leone e metà aquila, che allude alla custodia della perfezione, simbolo dell’originaria destinazione d’uso dell’edificio.
Palazzo Grilli
Nonostante il richiamo allo stile classico dei portali e delle finestre, l’edificazione del palazzo è del XVII secolo. La linearità della struttura è spezzata dalle quattro torrette angolari cantonali, i gaifi, in cima agli spigoli perimetrali. Il portale est ricorda l’incendio appiccato nel 1674 dai banditi. La pianta è rettangolare con l’aspetto di un palazzo fortificato.
Palazzo del Municipio
Edificato nel XVIII secolo, il palazzetto rievoca il tipo edilizio della dimora pescolana, con scala di accesso esterna e ballatoio davanti al portale principale. Articolato in tre livelli, piano terra, piano nobile con ingresso e due balconi curvilinei, e piano di mezzo con finestre a edicola e coronamento ribassato, la struttura è arricchito da ringhiere in ferro battuto e dalla torre centrale dell’orologio. Sull’architrave del portale fu scolpito nel 1935 il motto SUI DOMINA, in ricordo della liberazione dal feudalesimo del paese da Ferdinando IV di Borbone.
Palazzo Cocco
Presenta un’inconsueta facciata derivante dall’annessione di due blocchi di fabbrica; ciò comportò la realizzazione di un seminterrato, denunciato da una teoria di quattro quadrotte che corrono nella zona del basamento, a fianco il portale minore. Il palazzo presenta a oriente cinque piani che si riducono sul lato opposto a uno in meno. I piani delle abitazioni sono sottolineati dalla presenza di eleganti finestre settecentesche a coronamento orizzontale, mentre i locali di servizio dei piani inferiori e l’ammezzato di sotterraneo si caratterizzano per la presenza di quadrotte.
Palazzo Ricciardelli
Appartenne al patriota Nicola Ricciardelli, molto minore nella costruzione originaria del XVII secolo. Ampliato successivamente, presenta un impaginato di facciata serrato da imponenti cantonali in pietra squadrata, che si articola su quattro livelli: il piano terra della cantina, il piano nobile e il secondo piano con edicole a coronamento orizzontale. L’ultimo piano ammezzato di sottotetto è denunciato all’esterno da sopraluci rettangolari, che insistono sulle finestre del secondo livello. Dal portale d’ingresso a tutto sesto, incorniciato da lesene e concluso da triglifi a gocce, si accede agli ambienti di rappresentanza.
TESTO BOLLETTINO
Pescocostanzo è un unicum nel panorama mondiale, perché non esiste altro luogo situato a 1400 metri slm e di poco più di 1000 anime che racchiuda tanta bellezza architettonica ed urbanistica. Bellezza che non è stata casuale, ma nata sulla scorta di una idea di città, tanto da ritenere che Pescocostanzo sia stato il primo luogo che abbia provveduto ad adottare un Piano Regolatore Generale, come oggi si chiamerebbe.
Uno sviluppo armonico, razionale, ragionato, improntato alla bellezza e, nel
contempo, alla funzionalità, alla collettività. Bellezza che non è importata, ma autoctona.
Ogni monumento architettonico, dato dalla lavorazione della pietra, del legno, degli intarsi, è opera di artisti locali. Anche questo determina l’unicum.
Ma Pescocostanzo non ha sviluppato solo quest’arte architettonico-urbanistica, ma anche altro. Sono nostre ed in questa terra hanno raggiunto la massima espressione, le lavorazioni del merletto a tombolo, del tappeto, della filigrana, del ferro battuto, oggi degnamente rappresentate dai poli museali creati.
È di Pescocostanzo la creazione di gioielli che fondono filigrana e merletto, pietra e ferro, con disegni non solo storici, ma anche nuovi, contemporanei.
Ma Pescocostanzo è anche natura, prodotto tipico, specialmente nel settore caseario.
Elementi che insieme ed in sinergia, negli ultimi anni stanno creando il brand
“Pescocostanzo” che sempre più si diffonde nel mondo, rendendo questo paese l’unicum di cui all’incipit e che rappresenta la speranza vera per il suo futuro.
E questo non solo per il visitatore, ma anche e soprattutto, per il residente, perché solo stando bene nel proprio luogo si è in grado di offrire qualità altissima.
Avv. Roberto Sciullo
Sindaco di Pescocostanzo
Stilo è un comune italiano di 2 528 abitanti della città metropolitana di Reggio Calabria in Calabria, inserito nel circuito I borghi più belli d’Italia.
Due foto del panorama del borgo Stilo
Stilo si trova ai piedi del Monte Consolino. Nelle vicinanze di Ferdinandea si estende il bosco di Stilo, un esempio tipico di bosco delle Serre calabresi, con abeti bianchi e faggi e con un ricco sottobosco con forte presenza di eriche e agrifogli. Come fauna sono presenti il gatto selvatico, la martora e numerose specie di picchi. Il territorio si estende, con un sottile lembo, fino al mare in località Caldarella.
Dal punto di vista idrografico, lungo tutto il territorio di Stilo scorre la fiumara Stilaro; nell’area boschiva e montana del comune erano state edificate la Diga Giulia e la Diga Azzarera, ora non più in uso. Sempre in quest’area scorrono gli affluenti Folea, Mila e Ruggero; verso l’area pianeggiante si aggiungono, provenienti da Pazzano, il torrente Troia e il Fosso Brunìa. Lo Stilaro sfocia infine nel mar Jonio in contrada Caldarella.
Origini del nome
Secondo il Barrio e il Marafioti, Stilo prende il nome dalla fiumara Stilaro e non viceversa, come pensa l’Aceti, il quale ritiene che la città abbia ricevuto tale nome in virtù della conformazione a colonna, in greco Stylon, del promontorio di Cocinto (attuale Punta Stilo), dove si trovava una volta il primo insediamento. Altri pensano si chiami Stylon, appunto “colonna”, per la forma del Monte Consolino, sua attuale ubicazione. Altra ipotesi è che Stilo debba il suo attuale nome alla presenza di una colonna, di antico tempio esistente nel primo centro urbano originario della cittadina, nei pressi della città magno-greca Kaulonia denominato Stilo. Gli abitanti trasferitisi ai piedi del Consolino avranno battezzato il nuovo centro con il nome Stilo (colonna).
Storia
Età antica
Le origini di Stilo sono legate alla distruzione durante il periodo greco, da parte di Dionisio I di Siracusa, della città di Kaulon. Secondo Apollinare Agresta (Vita di San Giovanni Therestis, 1677), fu edificata in ben tre luoghi diversi: la prima volta nel promontorio di Cocinto, attuale Punta Stilo (da indagini subacquee effettuate negli anni ’80 sarebbe stata individuata l’area in cui sorgeva il Coynthum Promontorium, citato nelle fonti greche.), nel Medioevo, sempre in quest’area, sulla destra della fiumara Assi, e infine sul Monte Consolino.
In principio fu una città fortificata, un oppidum magnogreco di nome Consilinum, o in greco Kosilinon (da kosi, “villaggio”, e silinon, “della luna”).
Stilo nel periodo del basso impero romano era considerata la Kaulonia italiota e successivamente cambiò il nome in Stilida.
Il nome Stilida deriva dalla fiumara Stilaro, dalla forma del promontorio allungato e dalla colonna del tempio di Giove Omorio. Considerata nell’Itinerarium Antonini una stazione itinerante distante 400 stadi (unità di misura di distanza greca) da Locri.
Nella regione dei Salti (in latino saltus), separata dalle località Malafrana a est, Maddaloni, Troiano e Napi a sud e da località Maleni e dallo Stilaro a nord, è stato ritrovato l’unico complesso residenziale romano in villa, denominato villa di località Maddaloni, dell’area, a cui è stato attribuito uno sviluppo in senso monumentale nel corso del III secolo, e almeno altri 4 siti tardo-antichi a corona.
Età medievale
I giacimenti di Stilo, conosciuti fin dai secoli a.C., nel 1094 risultano possedimenti dei Certosini di Serra San Bruno in seguito a donazione del conte Ruggero il Normanno. Qui nacque la ferriera, che utilizzava anche il ferro estratto dal sottosuolo di Pazzano attorno al monte Stella, appartenuta agli Aragonesi e ceduta nel 1524, assieme alle limitrofe ferriere di Spadola e di Fabrizia, da Carlo V a Cesare Fieramosca, fratello del famoso Ettore. Durante tutto il 1600 gli impianti di Stilo producevano in gran quantità. Nella ferriera stilese si lavoravano manufatti ferrosi per uso civile e militare, come “i tubi dell’acquedotto di Caserta, in base ai modelli ed ai disegni preparati dal Vanvitelli”, come scrive G. Rubino. Questi, derivata dall’inventario del 1761, tracciò una descrizione della consistenza delle cosiddette “Ferriere Vecchie” di Stilo, per distinguerle dalle nuove, ubicate presso il vicino corso d’acqua Assi. “Esse comprendevano, oltre ad una piccola cappella ed alla residenza per l’amministratore ed i militari di guarnigione, due fonderie, otto ferriere ed una sega idraulica…”
Età moderna
Nel 1540 Carlo V d’Asburgo vendette le terre demaniali di molti paesi, tra cui Stilo, poiché gli serviva denaro per difendere i territori italiani dalle invasioni turche. Stilo finì nelle mani del marchese Concublet di Arena.
Il 5 settembre 1568 nacque a Stilo il filosofo Tommaso Campanella. Nel 1575 il re di Spagna Filippo II restituì il Demanio e la contea a Stilo. Sotto Filippo III, nel 1599 avvenne una ribellione, capeggiata da Campanella e soffocata dal governo spagnolo.
Stilo nuovamente Regio Demanio
Nel 1658, sotto il regno di Filippo IV, furono riconcessi i privilegi di Regio Demanio, come si evince dalla Copia del Real Decreto Della Maestà del Rè Nostro Signore Filippo Quarto in confirmatione dell’antichisimo Demanio e Reali Privilegii della Regia Città di Stilo nel Regno di Napoli La gestione del Regio Demanio era rappresentata da varie figure, tra cui la più importante era il sindaco, coadiuvato dagli assessori, che restava in carica un anno. La giustizia si componeva invece del giudice, amministratore della giustizia ordinaria insieme all’avvocato e all’auditore, del “baglivo”, magistrato, del “mastrodatti”, cancelliere che redigeva gli atti dei processi, e del “baiulo”, magistrato che rappresentava il potere del sovrano. Il “capitano” era invece la persona incaricata di gestire la giustizia criminale, insieme a una corte e un notaio. Il “mastrogiurato” eseguiva gli ordini del capitano. Verso il 1770 il sito siderurgico di Stilo venne abbandonato e ne venne edificato un altro a Mongiana, ben più grande, ricco e più vicino agli sbocchi commerciali e comunicativi, come Serra San Bruno e Pizzo.
Nel 1783 la Calabria venne colpita da un terremoto che danneggiò anche il borgo di Stilo. Dopo il terremoto, così era la suddivisione demografica
Nel 1806, quando i francesi si impossessarono del Regno di Napoli, Stilo venne saccheggiata dalle loro truppe. Stilo, con il decreto n. 922 per la nuova circoscrizione delle quattordici province del regno di Napoli, cessò di essere Regio Demanio e i suoi casali vennero resi comuni autonomi. Venne istituito il Circondario di Stilo, di cui facevano parte i comuni di Bivongi, Stignano, Pazzano, Riace, Monasterace, Camini, Guardavalle e Placanica. Il circondario faceva parte del Distretto di Gerace della Provincia di Calabria Ultra.
Età contemporanea
Nel settembre 2012 il Diving Center Punta Stilo ha scoperto in località Boario del “Gran Bosco di Stilo” dei massi molto simili alle pietre neolitiche di Nardodipace, con incisi segni e forme geometriche..
Simboli
Nello stemma comunale è raffigurata un’aquila bicipite con le ali spiegate, le due teste coronate, poggiante su tre monti lambiti dal mare; lungo fianchi la scritta “Illustrissima” e “Civitas Styli”. Sotto lo scudo vi è una lista con l’iscrizione latina sanguinis prætio. Il gonfalone è un drappo partito di giallo e di azzurro.
Monumenti e luoghi d’interesse
Architetture religiose
Stilo nella sua storia ha annoverato ben 18 chiese, molte delle quali perdute dopo il terremoto del 1783.
- Duomo o chiesa matrice. Chiesa del XIV secolo, ricostruita dopo il terremoto del 1783 con all’interno una pala monumentale del Caracciolo. Costruita su una chiesa paleobizantina.
- Abbazia di San Giovanni Therestis. L’ingresso è caratterizzato da un portone in granito grigio e rosa; al di sopra vi è un balcone con inciso il nome del priore che lo fece costruire. Ha una cupola impostata su 4 pilastri con 2 archi a tutto sesto e 2 archi a sesto acuto. All’interno c’è un dipinto del XII secolo del periodo svevo, raffigurante Madonna in trono con la mano destra sulla spalla del bambino, che benedice. Qui nel 1600 furono portate le reliquie di san Giovanni Therestis da un vecchio convento, con il consenso del papa Alessandro VIII tramite la lettera Ad futuram Dei memoriam.
- La “Cattolica”, chiesa di architettura bizantina del X secolo, finita di ristrutturare alla fine del 1927. La Cattolica di Stilo è assimilabile alla tipologia della chiesa a croce greca inscritta in un quadrato, tipica del periodo medio-bizantino. All’interno quattro colonne dividono lo spazio in nove parti, all’incirca di pari dimensioni. Il quadrato centrale e quelli angolari sono coperti da cupole su delle colonne di pari diametro; la cupola centrale è leggermente più alta ed ha un diametro maggiore. Su un lato sono presenti tre absidi.
- Chiesa di San Domenico. Chiesa del XVII secolo facente parte di un convento domenicano, di cui sono rimasti solo i ruderi. Qui le famiglie nobili stilesi avevano della cappelle dove seppellivano i propri defunti. Il Campanella vi scrisse la tragedia Maria Regina di Scozia, il trattato teologico De preadestinatione et gratia contra Molinam pro Thomistis, Articuli prophaetales e l’opera La Monarchia di Spagna. Nel 1783, a causa di un terremoto, il convento crollò fino alle fondamenta. Nel 1927 la chiesa fu in parte ricostruita per il crollo del tetto. È una chiesa a croce latina..
TESTO BOLLETTINO
Inserita a pieno titolo tra i Borghi più Belli d’Italia, Stilo è una delle cittadine storiche più caratteristiche e meglio conservate della Calabria.
L’abitato del centro storico, anticamente racchiuso all’interno di un’imponente cinta muraria, ha la struttura tipica dei borghi storici del sud Italia, caratterizzata da casupole arroccate le une sulle altre e da maestosi palazzi nobiliari, in un fitto reticolo di vie, vicoli e piazze.
Il centro custodisce monumenti storico-architettonici di estrema rilevanza, ricchi al loro interno di opere d’arte, ma è appena fuori dall’abitato che la Città di Stilo espone il suo monumento più iconico, la Cattolica, antica chiesetta con struttura a croce greca risalente al X secolo, caratterizzata dalle cinque cupolette che la sovrastano.
La Cattolica costituisce una delle maggiori testimonianze dell’influenza greco-bizantina in Calabria, ed è un concentrato di arte, di spiritualità, di storia, di riconosciuta rilevanza nazionale, monumento “simbolo” del Paese, candidato a far parte della lista UNESCO dei siti patrimonio dell’umanità.
L’emissione di un francobollo dedicato a Stilo e alla sua Cattolica è un grande motivo di orgoglio per tutta la comunità del borgo, e per l’intera Calabria.
Dopo il dentello emesso il 5 settembre 1968 a celebrazione del 4º centenario della nascita del filosofo Tommaso Campanella, monaco domenicano nato a Stilo nel 1568, la nostra Città si vede oggi di nuovo insignita dell’onore di entrare nella storia filatelica italiana, con un valore bollato di grande bellezza, che condensa in sé il fascino della Cattolica e l’attrattiva del borgo prostrato nella vallata sottostante. Questa emissione costituisce un ulteriore strumento di valorizzazione del nostro territorio, per diffondere nel mondo la sua immagine positiva.
Giorgio Antonio Tropeano
Sindaco di Stilo
Codrongianos è un comune italiano di 1 261 abitanti della provincia di Sassari.
Storia
I resti di circa 57 nuraghi testimoniano che il territorio di Codrongianos era fortemente popolato già nel II millennio a.C., durante l’età del bronzo.
Le origini dell’odierno abitato si possono far risalire all’epoca romana quando nel III secolo per presidiare la strada che da Karalis portava a Turris Libisonis, fu edificato il Castrum Gordianus, nome che nel corso dei secoli muterà prima in Cotroianu e poi in Codrongianos.
In epoca medievale esistevano due paesi con lo stesso nome: Cotroianu e Cotroiano Jossu, più in basso. Entrambi facevano parte del giudicato di Torres, compresi nella curatoria di Fiolinas. A partire dal XIV secolo Cotroianu Jossu si spopolò fino a scomparire, e da Cotroianu si originò l’odierna Codrongianos, che nel 1420, dopo la conquista aragonese, fu unito alla baronia di Ploaghe e dato in feudo agli Aymerich. Il giudice Costantino I di Torres, insieme alla moglie Marcusa, nel 1116 fece qui erigere la basilica di Saccargia nei pressi del villaggio omonimo. I monaci vennero scacciati dagli aragonesi nel XV secolo e i beni dell’abbazia vennero divisi e dati al clero, mentre il titolo di priore venne assunto del vescovo di Sassari. Il paese fu riscattato agli Aymerich nel 1839, con la soppressione del sistema feudale.
Simboli
«Stemma d’azzurro, al castrum romano quadrangolare, visto dall’alto in prospettiva centrale, munito di quattro torri angolari, aperto sull’asse centrale da due porte, ciascuna fiancheggiata da due torri, il tutto al naturale e merlato alla guelfa, accompagnato in capo dal calice d’oro, sormontato dalla cometa a sette raggi d’argento, sostenuto da due colombe d’argento, affrontate, ognuna con una zampa sulla base del calice e con l’altra in atto di sostenere, col becco proteso verso l’orlo del calice, per bere dallo stesso. Ornamenti esteriori da Comune.»
(D.P.R. n. 2642 del 17 aprile 1985)
Gli elementi nello scudo rappresentano importanti momenti della storia del paese: nella parte superiore l’emblema della Congregazione camaldolese che si trova dipinto nella chiesa della Santissima Trinità di Saccargia, nella parte inferiore un castrum romano. Il gonfalone municipale è un drappo partito di giallo e di rosso.
Monumenti e luoghi d’interesse
Architetture religiose
A pochi chilometri dal centro abitato si trova la basilica di Saccargia, una delle chiese in stile romanico più note della Sardegna, con influenze pisane.
Altri luoghi di culto sono:
- l’antica chiesa di Sant’Antonio di Salvenero
- la chiesa parrocchiale di San Paolo con di fronte i ruderi del vecchio cimitero del paese.
- la chiesa di Santa Croce,
- l’oratorio del Rosario.
- Chiesa di santa lucia
Sono inoltre presenti i ruderi dell’antica chiesa trecentesca di Sant’Antimu di Salvenero.
Architetture civili
- Palazzo comunale
- Museo
- Casa della beata Elisabetta Sanna.
Fontane
- Funtana de Codronzanu e josso in italiano “Fontana di Codrongianos basso”.
- Funtana ezza in italiano “Fontana vecchia”.
- Funtana noa in italiano “Fontana nuova”.
Busti e statue
- Busto di Crispo
- Statua della Beata Elisabetta Sanna
- Statua della Madonnina
Siti archeologici
Nel territorio del Comune vi sono circa 60 nuraghi a testimonianza che il territorio fu altamente popolato già nell’età del Bronzo.
- Nuraghe Nieddu a singola torre, alta 11 metri, con copertura a tholos
- Tracce della strada romana: Karalis (Cagliari) – Turris Libisonis (Porto Torres).
TESTO BOLLETTINO
Adagiato sulle colline del Logudoro, circondato da pascoli, oliveti e vigneti, si trova il piccolo centro di Codrongianos, in sardo Codronzanu.
L’antico villaggio ha origini risalenti all’epoca romana e si sviluppa verso il 225 d.C., quando i romani costruirono l’accampamento militare dal nome Castrum Gordianus, a cui si deve il nome Codronzanu.
Risale al XII secolo la costruzione della Chiesa di San Paolo, in quella che all’epoca era la posizione più alta del villaggio. Attorno alla Chiesa si è sviluppato il nucleo più antico dell’attuale paese.
Il centro storico, sviluppatosi tra il XVII e il XVIII secolo, conserva ancora la struttura urbanistica originaria, caratterizzata da viuzze irregolari, scalinate, piccole corti.
Il territorio di Codrongianos era però certamente abitato già nel II millennio a.C., come testimoniano i numerosi nuraghi censiti sul suo territorio, tra cui spicca Nuraghe Nieddu, nuraghe monotorre ancora ben conservato che si erge su una piccola altura, verso la vallata di Saccargia.
Tra il XII e il XV secolo viene governato dall’abbazia camaldolese della Santissima Trinità.
All’Ordine Camaldolese si deve l’edificazione nel corso del XII secolo, in seguito alla donazione di Costantino I, giudice di Torres, della splendida Basilica della Santissima Trinità di Saccargia, una delle chiese più belle della Sardegna, gioiello in stile romanico-pisano che spicca nell’omonima valle.
La fama di questo paese è indissolubilmente legata alla sua Basilica.
Il suo alto campanile affiora dalla campagna circostante quando si giunge in prossimità del sito, immerso nel verde ma facilmente raggiungibile dalla strada statale.
Cristian Budroni
Sindaco di Codrongianos
Scicli è un comune italiano di 26 786 abitanti del libero consorzio comunale di Ragusa in Sicilia.
Monumentale città barocca, nel 2002 il suo centro storico è stato insignito del titolo di Patrimonio dell’umanità da parte dell’UNESCO, insieme con altri sette comuni nella lista delle Città tardo barocche del Val di Noto.
Territorio
Scicli dista 24 chilometri da Ragusa. Il suo territorio comunale si estende dal mare alle propaggini meridionali del tavolato ibleo. I paesaggi sono molto vari: si passa dalla costa (alternando quella bassa e sabbiosa a modeste falesie calcaree) coperta dalla macchia mediterranea ai pendii dolci di origine alluvionale dell’entroterra con ulivi, mandorli e carrubi fino a giungere ai rilievi calcarei della parte settentrionale e interna in cui sorge il capoluogo.
Il territorio comunale è solcato da diversi corsi d’acqua i quali hanno tutti carattere torrentizio e pressoché stagionale fatta eccezione per l’Irminio; gli altri principali torrenti intercettano il centro di Scicli e sono il Mothucanus o torrente Modica-Scicli, il torrente di S. Maria La Nova e quello di S. Bartolomeo. Nei millenni ognuno di questi ha scavato nel tavolato ibleo profonde gole che oggi ne caratterizzano il paesaggio. La città moderna è adagiata nella conca in cui questi tre canyon confluiscono.
Origini del nome
Le origini della città di Scicli sono molto antiche e risalgono probabilmente al periodo siculo, quindi oltre 3000 anni fa. Il nome, secondo alcuni studiosi, deriva da Šiclis, uno degli appellativi utilizzati per indicare i Siculi, i famosi Popoli del Mare che gli egiziani chiamavano Šekeleš. È più probabile comunque una derivazione, sempre risalente a “Siculi” attraverso l’arabo Šiklah, riportato da Idrîsi nella Tabula Rogeriana, come scrivono Salvo Micciché e S. Fornaro.
Si è discusso anche se fosse possibile identificare Scicli con Casmene, seconda colonia siracusana fondata nel 645 a.C., 20 anni dopo Acre, l’odierna Palazzolo Acreide, ma questo dato era già stato smentito da Di Vita, che aveva identificato il sito di Casmene in Monte Casale.
Storia
Protostoria
La presenza umana nel territorio di Scicli risale al periodo Calcolitico, come dimostrano i ritrovamenti della Grotta Maggiore situata vicino all’Ospedale Busacca, datati fra l’età del rame e l’età del bronzo antico (III-II millennio a.C. – XVIII a.C.-XV secolo a.C.).
Epoca antica
Ritrovamenti archeologici, in particolare i resti di un abitato greco presso la foce dell’Irminio, testimoniano la presenza, o comunque dei contatti di primaria importanza con i greci.
Oltre ai resti greci sono state trovate tracce che testimoniano la presenza dei cartaginesi, presenti nell’isola fino alla conquista romana avvenuta nel III secolo a.C. Sotto il dominio romano, Scicli divenne città “decumana”, ovvero città sottoposta al tributo della “decima”, consistente nel pagamento di un decimo del raccolto. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente Scicli passò ai bizantini e subì, come altre città dell’Isola, le incursioni dei Barbari.
La caratteristica conformazione del territorio con la presenza di cave e grotte carsiche, ha favorito la nascita di numerosi insediamenti rupestri.
Medioevo
Oltre a quello preistorico di Grotta Maggiore, ricordiamo anche l’insediamento tardo bizantino del VII secolo sito in località Castellaccio, e l’insediamento rupestre probabilmente bizantino (VIII secolo d.C.) e medievale (XII secolo d.C.) in località Chiafura, visibile sino ai nostri giorni. Con i Normanni, Scicli conobbe un periodo di notevole sviluppo agricolo e commerciale. Lo storico arabo Edrisi nella prima metà del XII secolo, esaltò la prosperità economica di Scicli con queste parole:
«rocca di Siklah, posta in alto sopra un monte, è delle più nobili, e la sua pianura delle più ubertose. Dista dal mare tre miglia circa. Il paese prospera moltissimo: popolato, industre, circondato da una campagna abitata, [provveduto] di mercati, a’ quali vien roba da tutti i paesi. [Qui godesi] ogni ben di Dio ed ogni più felice condizione: i giardini producono tutta sorte di frutte; i legni arrivano di Calabria, d’Africa, di Malta e di tanti altri luoghi; i poderi e i seminati sono fertilissimi ed eccellenti sopra tutt’altri; la campagna vasta e ferace: ed ogni cosa va per lo meglio in questo paese. I fiumi [del territorio], abbondanti di acqua, muovono di molti molini.»
(Edrisi)
Si sa molto poco, comunque, del periodo arabo della storia di Scicli, poiché non si conoscono al momento iscrizioni utili a tracciare una storia chiara dell’operato degli Arabi a Scicli. Si hanno forse alcune tracce di toponomastica araba in nomi di contrade e siti (come quelli di Donnalucata, Donna Fridda, Marsa Shiklah, nome arabo di Contrada Pisciotto, “il porto di Scicli” in arabo, e forse il sito di Chiafura).
Si fa risalire all’anno 1091 il passaggio definitivo di Scicli al dominio normanno per opera di Ruggero d’Altavilla il cui esercito avrebbe combattuto una battaglia nei pressi di Scicli nella quale allintanò gli Arabi dal territorio nella sua marcia verso Noto e Malta. A questa battaglia, avvenuta nella Piana dei Milici, è legata la leggenda della Madonna delle Milizie: si narra che la battaglia finale contro i Saraceni, guidati da un non ben identificato Emiro Belcane, sia stata vinta dai Cristiani per l’intercessione della Vergine Maria scesa su un bianco cavallo a difesa di Scicli «mea civitas dilecta». Della tradizione si tratta in una memoria dei cosiddetti Codici Sciclitani, ma il documento è ritenuto dalla maggioranza degli studiosi un falso. Nella località dell’avvenimento sarebbe stata costruita la chiesetta della Madonna dei Milici, che probabilmente è trecentesca. La battaglia viene comunque ricordata ogni anno con la Festa delle Milizie, una delle principali attrazioni folcloristiche di Scicli.
I Normanni (1090-1195) introdussero il sistema feudale già diffuso altrove, e Scicli ed altre città vicine furono considerate città demaniali. Nel 1093 Scicli viene ricordata come dipendente dalla diocesi di Siracusa.
Ai Normanni successero gli Hohenstaufen, quando Enrico VI di Svevia si impossessò del trono di Sicilia nel 1194. Nel 1255, durante la lotta dei Papi contro la casa Sveva, Papa Alessandro IV concesse a titolo di feudo alcuni territori, tra cui Scicli, Modica e Palazzolo Acreide, a Ruggiero Fimetta, nobile di Lentini già esiliato da Federico II di Svevia, che si era ribellato agli Svevi, ma Ruggiero non arrivò mai a prendere possesso della città perché fu ucciso.
Anche sotto gli Hohenstaufen, Scicli conservó il privilegio di città demaniale. La sua storia segue quella della Sicilia, per cui con la caduta degli Hohenstaufen avvenuta nel 1266, passò sotto la dominazione Angioina, mal tollerata, a causa della politica di Carlo I d’Angiò che, diversamente dai suoi predecessori normanni e svevi, considerava il Regno di Sicilia territorio di conquista e di sfruttamento economico e finanziario. La politica oppressiva di Carlo D’Angiò fu causa di un’insurrezione in tutta la Sicilia, nota come i Vespri Siciliani. Il 5 aprile 1282 Scicli, insieme a Modica e Ragusa, insorge contro le guarnigioni francesi del luogo, cacciandole e ponendosi sotto la protezione di Pietro III d’Aragona.
Fu sotto la dominazione aragonese che si formò la contea di Modica, e Scicli ne venne a far parte, seguendone le sorti sotto i Mosca (1283- 1296), i Chiaramonte (1296-1392), i Cabrera (1392-1480), gli Enriquez-Cabrera (1481-1742).
Due foto delle stradine interne di Scicli
Età moderna
Dal 1535 al 1754 Scicli fu anche sede di una delle dieci Sergenzie (circoscrizioni militari), competente territorialmente per il territorio della contea.
Scicli, con uno spostamento graduale dell’abitato dal colle al piano, assunse la sua forma topografica tra il XIV ed il XVI secolo. La popolazione era aumentata notevolmente ma la peste del 1626 la ridusse drasticamente di quasi due terzi, portandola da 11 000 a 4 000 abitanti circa. Dopo la peste, anche grazie ad agevolazioni economiche a favore di chi decideva di risiedere in città, si ebbe un nuovo sviluppo demografico, ma il tremendo terremoto del 1693 causò 3000 morti e la distruzione di gran parte della città. Da quelle macerie, Scicli rinacque in chiave barocca, ed oggi è caratterizzata da numerosi palazzi nobiliari settecenteschi, ovvero: Palazzo Spadaro, di stile tardo-Barocco; di proprietà della omonima famiglia di origine modicana trasferitasi a Scicli nel ‘600; Palazzo Beneventano; Palazzo Fava; Municipio; Palazzo Veneziano-Sgarlata; Palazzo Bonelli-Patanè; Palazzo Conti; Palazzo Papaleo.
Nel 1720 tornò al potere il Regno di Sicilia, scacciando successivamente gli spagnoli, ma lasciandone le suddivisioni geografiche. La contea di Modica così passò sotto altre 3 famiglie: gli Alba (1742-1745), i de Silva (1755-1802) e gli Stuart (1802-1816).
Nel 1816 il Regno di Sicilia si fuse col Regno di Napoli formando il Regno delle due Sicilie; nel 1860 tramite un plebiscito avvenne poi l’annessione al Regno d’Italia.
Monumenti e luoghi d’interesse
Dalla motivazione di iscrizione nella World Heritage List dell’UNESCO:
«… La via Mormino Penna, per la ricca presenza di edifici del Settecento, e il Palazzo Beneventano rappresentano un capolavoro del genio creativo umano dell’età tardo-barocca. Si può infatti dire che sia questa l’epoca che definisce nel complesso il continuum dell’ambiente urbano della via, in cui anche quegli edifici che appartengono all’Ottocento e al Novecento si sono adattati all’immagine prevalente… Palazzo Beneventano, il più famoso edificio nobiliare di Scicli ed uno dei più interessanti della Sicilia barocca, inserito dal Blunt nella sua rassegna sul barocco siciliano e successivamente notato da numerosi altri autori, è per la sua unicità anch’esso un capolavoro, in particolar modo per l’aspetto scultoreo che caratterizza le sue due facciate fastosamente decorate dai lapidici locali…»
Scicli è un centro del barocco ibleo del Val di Noto, Patrimonio dell’Umanità nella lista dell’heritage dell’UNESCO, tra i suoi principali monumenti si ricordano:
Architetture religiose
- Chiesa di San Matteo: simbolo di Scicli e chiesa Madre fino al 1874, è posta sul colle di San Matteo, sito della città vecchia. È l’edificio ecclesiastico più antico della Città, alcuni storiografi ne fanno risalire la fondazione all’epoca paleocristiana, altri alla dominazione normanna. Di certo esisteva durante il Medioevo nello stesso sito una grande basilica a tre navate con un alto campanile collocato a sud, dietro alle absidi; l’attuale pianta dovrebbe rispecchiare per sommi capi quella medievale: tre navate a cinque campate che sfociano in un ambiente centrico formato dal transetto e dalle tre absidi rettangolari.
- Chiesa di San Guglielmo (ex Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola): della prima metà del Settecento, annessa al Collegio gesuitico demolito a metà del XX secolo; è la Chiesa Madre della città dal 1874, anno del trasferimento della Matrice dalla Basilica di San Matteo. Segue i dettami dell’architettura gesuitica internazionale. Presenta tre navate, con cappelle laterali, presbiterio, coro absidato.
- Chiesa di San Giovanni Evangelista: la facciata concavo-convessa a tre ordini rivela influssi borrominiani (S. Carlino alle Quattro Fontane – Roma). L’interno a pianta ellittica coperta da una cupola (i finestroni si aprono direttamente sull’imposta della cupola) è preceduta da un endonartece e conclusa da un’abside. Gli stucchi e le decorazioni dell’interno sono del secolo XIX.
- Chiesa di San Giuseppe: si trova nel quartiere omonimo, edificata dove già dal 1507 esisteva una cappella dedicata al Santo dalla nobile famiglia locale dei Miccichè, crollò in parte con il terremoto del 1693 e fu ricostruita nello stile barocco dell’epoca che caratterizza tutto il Val di Noto. L’esterno è molto sobrio con una facciata concava datata 1722, l’interno è settecentesco, con interventi anche ottocenteschi, ricco di stucchi barocchi e una volta dai colori molto eleganti. Custodisce due statue di grande valore: la lignea settecentesca di San Giuseppe, laminata in argento, opera dello scultore napoletano Pietro Padula e, soprattutto, quella marmorea del 1497 di Sant’Agrippina, attribuita a Gabriele di Battista, vero e proprio capolavoro del quattrocento siciliano. Di rilievo anche il dipinto seicentesco che rappresenta la Cacciata dei mercanti dal Tempio da parte di Gesù e quello del 1765 della Madonna della Grazia (o del Latte) con le martiri siciliane, Santa Lucia e Sant’Agata. Di rilievo, infine, le due acquasantiere seicentesche, realizzate con pietra pece ragusana e pietra calcarea di Comiso.
- Chiesa di Santa Teresa d’Avila: la facciata rivela influenze ancora legate alla tradizione architettonica precedente il terremoto del 1693. L’interno tardobarocco è uno dei più ricchi della provincia per gli stucchi, le tele, le sculture, le pavimentazioni a tarsie bianche e nere.
- Chiesa di San Bartolomeo Apostolo: risale ai primi anni del XV secolo; inserita nella “cava” omonima, la cui facciata a torre dei primi dell’Ottocento riprende temi già sviluppati a Ragusa da Rosario Gagliardi (di S. Giorgio) e da fra’ Alberto Maria San Giovanni Battista (Chiesa di S.Giuseppe) entrambi a Ibla. L’interno è ad unica navata a croce greca e si presenta sostanzialmente tardo barocco-rococò; custodisce un ciclo di stucchi che vanno dal Settecento all’Ottocento.
- Chiesa di San Michele Arcangelo: come la vicina chiesa di San Giovanni mostra una struttura architettonica palesemente settecentesca e un apparato decorativo in stucco ottocentesco già pienamente Neoclassico. L’impianto è trapezoidale coperto da una volta in stucco a guscio di noce e concluso da un’abside semicircolare.
- Chiesa di Maria Santissima della Consolazione: la struttura attuale delle navate resistette al sisma del 1693 e risale al 1600 circa; l’abside, il cupolino e gli ambienti adiacenti (Sala del Capitolo, Sagrestia) furono ricostruiti successivamente secondo uno stile pomposamente settecentesco-rococò; notevole la pavimentazione a tarsie marmoree del presbiterio nonché il fastoso organo settecentesco e gli stalli lignei ottocenteschi.
- Chiesa di Santa Maria La Nova: di origini antichissime (probabilmente bizantine), dal 1994 è sede del Santuario di Maria SS. della Pietà. La grande fabbrica ha attraversato vicende costruttive particolarmente complesse e travagliate. La maggior parte delle notizie che abbiamo sono riferibili all’edificio seicentesco e alle successive ricostruzioni. La chiesa è stata retta da sempre da una potente Confraternita che tra l’altro nel XVI secolo acquisì l’ingente eredità del banchiere Pietro di Lorenzo detto Busacca. Queste ingenti somme permisero alla Confraternita non solo di avviare una serie di azioni sociali (la costruzione di un grande e moderno Ospedale, l’istituzione di un fondo per le doti da destinare alle ragazze meno abbienti, etc.) ma anche di edificare in pieno centro una sede degna e maestosa per la fondazione benefica che faceva capo alle rendite di Busacca e di riedificare la propria chiesa, affidando i lavori alle personalità più in voga. L’interno neoclassico è frutto dell’ultima grande ricostruzione (preceduta dalla ricostruzione seicentesca e da quella settecentesca post 1693), si presenta come una enorme aula voltata alla quale fanno capo tre cappelle cupolate per lato; queste sono comunicanti e costituiscono in una visione assiale delle navate laterali. Il profondo coro quadrangolare di Giuseppe Venanzio Marvuglia conclude la grande aula dalla quale è separato dal consueto arco trionfale. L’imponente fronte è frutto di un vasto intervento di tamponamento della facciata settecentesca (a portico e loggia) tuttora leggibile; come da tradizione sud-orientale le facciate sono organismi plastici con un notevole sviluppo verticale (facciate-torri) che fungevano spesso anche da campanili. L’intero complesso è incredibilmente denso di sculture, pitture e reliquie di grande interesse per antichità e pregio. Annesso all’edificio ecclesiale il cosiddetto giardino di San Guglielmo con l’omonima Chiesetta e il tronco del cipresso che la tradizione vuole piantato dal santo. Nel 1878, nell’archivio dell’Arciconfraternita di S. Maria La Nova di Scicli, furono scoperti antichi preziosi manoscritti, tra i quali i Codici Sciclitani.
- Cappella Madonna della Grazia: Antica Edicola votiva sita a pochi passi dalla Chiesa della Croce ed eretta nel 1602 con sagrato antistante scavato nella roccia. La cappella fu edificata per contenere il quadro miracoloso della Vergine “Madre della Città di Scicli” sino al 1615 (ora custodito nella Chiesa del Carmine). Causa della traslazione all’interno della chiesa conventuale furono i numerosi miracoli avvenuti in quel posto grazie al quadro Taumaturgo. Essi furono attestati dai frati del convento della Croce e dal notaio Mirabella (tavola con memoriale visibile accanto al quadro).
- Convento dei Cappuccini: il complesso si estende fra le pendici delle rocciosa collina della Croce e l’altura argillosa della Bastita. Il convento fu costruito annesso a quella che era la chiesa di S. Agrippina. Il culto della santa si trasferì poi nella chiesa di San Giuseppe dove ancora rimane una bellissima statua del Quattrocento (di probabile scuola gaginiana) dedicata alla Santa.
- Complesso della Croce: di origini tardomedievali, custodisce tra le sue vecchie mura due antichi chiostri porticati; l’interno della chiesa, rimodulato nel Settecento con un ciclo di stucchi bianchi, conserva ancora numerose lapidi e sepolcri medioevali. La facciata, sobria ed elegante, è impreziosita da un portale con archivolto gotico-catalano, da tre stemmi (quello dell’Università di Scicli (il Comune), quello degli Enriquez e quello dei Cabrera) e da una porzione di cornice che apparteneva al rosone.
- Convento dei Francescani Conventuali di Sant’Antonino: nell’ottica dell’ibrido, ma con un’apertura straordinaria verso il mondo rinascimentale, sarebbe stato fondato tra 1514 e 1522. La costruzione di una cappella funeraria che funge da tribuna, coperta a cupola costolonata, ma con inserti classicisti deve necessariamente essere accostata a una committenza alta, che non è nota, ma che potrebbe essere stata determinante per costruzioni di cappelle di corte come quelle di Comiso (voluta dai Conti Naselli nel 1517) o di Militello. Cappelle cupolate aggregate come tribuna a chiese francescane, secondo la consuetudine inaugurata dal progetto dell’Alberti per il Tempio Malatestiano. Indubbiamente la cappella (attualmente in pessimo stato di conservazione, prossimo alla scomparsa delle poche rovine rimaste) assume un valore competitivo tanto da potere essere messa in relazione solo con iniziative comitali. La cappella «Cabrera» in Santa Maria di Betlem a Modica assume un significato analogo, ancora più ricco e celebrativo; fermo restando che la sua costruzione deve riferirsi ai primi decenni del XVI secolo, si deve ancora pensare a una committenza alta, forse un ramo della famiglia dei Cabrera. Si tratta di opere che non è possibile leggere con gli schematismi di un mitizzato e rigido universo classicista poiché esplorano una via siciliana, un «antico» autoctono e pervengono a un Rinascimento esotico che affonda le radici in tecniche costruttive locali. I grandi passaggi nodali che gettano ponti tra l’ultimo gotico e il Rinascimento siciliano seguono probabilmente vie e vicende differenti dal contemporaneo travaglio iberico, ma altrettanto complesse e non sottovalutabili sono le strade di un interscambio culturale stretto. Alla constatazione di comunanze linguistiche, di semplici forme, va anche affiancata una ricerca senza pregiudizi che tenga in giusta considerazione la mobilità della committenza, i suoi programmi e le sue idee
- Convento del Rosario, sull’omonimo colle.
- Complesso del Carmine: fra tutte le architetture ecclesiastiche della città il complesso del Carmine rivela la più elevata omogeneità stilistica fra le componenti architettoniche, scultoree e pittoriche: tutto concorre a creare un’atmosfera rococò (gli stucchi candidi, la luminosità dell’aula, le numerose tele). L’impianto architettonico ad aula unica è definito da un ciclo di stucchi monocromi attribuiti al Gianforma stuccatore palermitano allievo di Giacomo Serpotta. Il convento secondo il progetto originario si articolava attorno a due vaste corti porticate delle quali ci è pervenuta soltanto quella orientale, oggi pesantemente occultata da tamponamenti e da aggiunte contemporanee che impediscono di apprezzare in maniera chiara la concezione spaziale originaria. La corte è adornata da due splendide statue inserite in nicchie settecentesche simmetricamente disposte rispetto al grande ingresso. Una originale pavimentazione geometrica a ciottoli (consuetudine consolidata e diffusa) rendeva lo spazio aperto ancora più accentrato.
- Chiesa di Santa Lucia: sorge in cima al colle S. Matteo. La prima notizia che abbiamo di tale chiesa risale al 26 novembre 1570, quando viene nominata in un atto stipulato presso il notaio Carlo Guarino. Fa poi parte dell’itinerario della processione di S. Guglielmo stabilito dal Vescovo di Siracusa Monsignor Francesco Fortezza nel 1684. In seguito il Municipale Magistrato eleggeva periodicamente un procuratore per le rendite di questa chiesa.
Architetture civili
- Antica Farmacia Cartia: gioiellino liberty che si trova in Via Francesco Mormina Penna. Aperta da Guglielmo Cartia nel 1902, dal 2014 è un museo gestito dall’Associazione Culturale Tanit Scicli. All’interno si possono ammirare i mobili originali di inizio novecento realizzati dal falegname ed ebanista sciclitano Emanuele Russino, impreziositi dallo splendido dipinto liberty di Giovanni Gentile che rappresenta la dea greco-romana della salute, Igea. All’interno delle vetrine i contenitori che contengono i composti, solidi e liquidi, usati in laboratorio galenico per realizzare i medicamenti, arnesi da laboratorio, alambicchi, mortai in bronzo e pietra, provette e medicine che accarezzano un arco temporale che va da inizio novecento fino agli anni ottanta. Molto bella e particolare è la vetrina dei veleni. L’Antica Farmacia Cartia è location cinematografica ne Il Commissario Montalbano e Il Giovane Montalbano oltre che nella trasposizione cinematografica del romanzo storico di Andrea Camilleri, La Stagione della Caccia.
- Palazzo Bonelli-Patanè: sito in Via Francesco Mormina Penna, è in stile neoclassico molto sobrio all’esterno ma all’interno rappresenta la summa dello stile eclettico di inizio novecento, dove si incontrano neoclassico, appunto, liberty e neogotico. Lo splendido impianto iconografico, sicuramente il più ricco in città, è opera di Raffaele Scalia, pittore, decoratore, illustratore e progettista d’arredi e luci tra i più importanti in Italia nel periodo a cavallo fra ottocento e novecento. A Palazzo Bonelli-Patanè, Scalia ha affrescato lo scalone principale, il salone delle feste, i salotti degli uomini e delle donne, la sala da pranzo e la camera da letto patronale, disegnando inoltre i mobili e la loro disposizione. Dal terrazzo, infine, è possibile affacciarsi al giardino interno e ammirare uno splendido panorama della città. Anch’esso è stato location de La Stagione della Caccia.
- Palazzo Beneventano: fu definito da Sir Anthony Blunt il più bel palazzo barocco di Sicilia, (“di un pallido colore giallo-oro che al sole acquista un’indescrivibile opulenza“). Si trova alle pendici del Colle di San Matteo in posizione baricentrica tra l’antica cittadella fortificata sita in cima all’altura e la moderna città settecentesca adagiata nei due canyon di Santa Maria La Nova e di San Bartolomeo (le “cave”). Caratteristici mascheroni “irriverenti” adornano i due monumentali prospetti legati da un notevole cantonale. In cima a questo svetta lo stemma coronato dei Beneventano decorato da due teste di mori, ormai uno dei simboli della Città. È stato inserito nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO.
- Palazzo Fava: uno dei primi, monumentali palazzi barocchi della ricostruzione, rappresenta il perno prospettico tra lo scenario naturale della cava di S. Bartolomeo e la fuga prospettica sul paesaggio antropizzato di piazza Italia e Corso Garibaldi. Notevoli le decorazioni tardobarocche del portale d’onore e dei balconi su piazza Italia ma raggiunge l’apice del genio nell’unico balcone su via san Bartolomeo ornato di grifoni, mostri di ascendenza medievale e manieristica e svariate teste di moro.
- Palazzo Spadaro: sulla via F. Mormino Penna, è una delle sedi istituzionali del Comune. Rappresenta la prova tangibile del progressivo cambio di gusto dalla pomposa e scenografica poetica tardobarocca ad una raffinata e ricercata cultura rocaille. Il prospetto è leggermente curvo e segue l’impianto ancora medievale dell’antico Corso (via Francesco Mormino Penna). Gli interni sia sul piano architettonico che su quello puramente decorativo sono da riferire a rimodulazioni del XIX secolo. Visitabile, sede di numerose mostre temporanee.
- Palazzo di Città (Municipio): sede del Comune. È stato costruito nei primissimi anni del Novecento sul sito del demolito monastero delle Benedettine, annesso alla chiesa di San Giovanni Evangelista. È in stile eclettico neorinascimentale, mostrando elementi del primo Rinascimento fiorentino (le bifore e il bugnato di Palazzo Rucellai progettato a metà del Quattrocento da Leon Battista Alberti) ma anche citazioni michelangioesche (l’ordine gigante). Il municipio di Scicli è noto per essere stato utilizzato come sede del commissariato di Vigata (facciata esterno e piano terra interno) e della questura di Montelusa (primo piano) nelle serie televisive Il commissario Montalbano (1999-in corso) e Il giovane Montalbano (2012-2015) (tutti gli articoli sono stati parzialmente estrapolati dal sito Wikipedia e le immagini da Google).
TESTO BOLLETTINO
Scicli, profumo di verità. Un’apparente esagerazione. Due scrittori incrociano Scicli negli anni Cinquanta e ne restituiscono un’emozione così inattesa, in un’eco inconsapevole, da creare uno spaesamento in chi legge.
Se Pier Paolo Pasolini, guardando Scicli dalla collina di San Matteo, scrive: “Vista così, da lontano e dall’alto, Scicli è quello che si dice la Sicilia”, Elio Vittorini qualche anno prima lo precede paragonando Scicli a Gerusalemme: “È la più bella città che abbiamo mai vista…Forse è la più bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città che sono belle”.
Cosa porta due intellettuali così diversi a esprimersi in maniera così netta e concentrica su questa città della Sicilia?
Forse la loro capacità poetica di vedere in nuce la forza inesplosa di questo luogo e della sua gente.
A Scicli si arriva per strade diverse, a volte per fare una pausa, altre per riprendere fiato, altre ancora per fermarsi.
E il viandante che qui arriva percepisce subito una brezza: Scicli profuma di verità come in giugno i gelsomini.
Cinta da carrubeti e muretti a secco, protetta dalla chiesa di San Matteo, che dalla rocca, come un Partenone, guarda sorniona la città, Scicli si apre lenta e inattesa. Qui le atmosfere sospese sostanziano il luogo di cultura: ansia, anelito, respiro.
Mario Marino
Sindaco di Scicli
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