21^ emissione 2025 del 21.03.2025 di un francobollo commemorativo di ROCCO CHINNICI


21^ emissione 2025 del 21.03.2025 di un francobollo commemorativo di ROCCO CHINNICI, dal valore indicato in B, corrispondente ad €1,25
- data emissione: 21.03. 2025
- dentellatura: 11 effettuata con fustellatura.
- dimensioni francobollo: 40 x 30 mm
- tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, con imbiancante ottico.
- Grammatura: 90 g/mq.
- Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
- Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura : 250.020
- valore tariffa: B= €1.25
- colori: quadricromia
- bozzettista: a cura del Centro Filatelico dell’Officina Carte Valori e Produzioni Tradizionali dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A.
- num. catalogo francobollo: Michel ______ YT _______ UNIF ______SASS __4544___
- Il francobollo: riproduce un primo piano di Rocco Chinnici, magistrato italiano di grande rilievo che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la criminalità organizzata a cui si deve la nascita del “pool antimafia” presso il Tribunale di Palermo che ha introdotto nuove tecniche e nuovi metodi investigativi e organizzativi. Il ritratto è affiancato, a sinistra, da un’opera di Antonio Romano dal titolo “Rose spezzate”, a rappresentare i magistrati caduti nell’adempimento del loro impegno a difesa dei diritti e della libertà di tutti i cittadini. Completano il francobollo le legende “ROCCO CHINNICI”, “MAGISTRATO”, le date “1925 – 1983”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.

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Rocco Chinnici (Misilmeri, 19 gennaio 1925 – Palermo, 29 luglio 1983) è stato un magistrato italiano.
Il suo nome è legato all’idea dell’istituzione del “pool antimafia“, che diede una svolta decisiva nella lotta contro Cosa nostra, ambito in cui viene considerato una delle personalità più importanti, insieme con i colleghi e amici Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Biografia
La formazione e l’ingresso in magistratura
Fu alunno del Liceo classico Umberto I di Palermo. Dopo i bombardamenti alleati che sconvolsero Palermo, ultimò gli studi liceali percorrendo a piedi quotidianamente il tratto di strada che separava Misilmeri, dove viveva, da Palermo, perché la ferrovia era ormai inutilizzabile. Conseguì la maturità nel 1943. Si iscrisse poi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo della stessa città e si laureò il 20 luglio 1947. Durante gli studi, per alleviare l’impegno economico sostenuto dalla famiglia, aveva lavorato all’ufficio del registro di Misilmeri. Qui conobbe anche Agata Passalacqua, giovane docente di scuola media che sarebbe poi divenuta sua moglie. Entrò nella magistratura italiana nel 1952, avendo come prima destinazione il tribunale di Trapani come uditore giudiziario. In seguito fu pretore a Partanna, dal 1954 al 1966, anno in cui pervenne a Palermo, dove il 9 aprile prese servizio presso l’Ufficio Istruzione del Tribunale, nel ruolo di giudice istruttore.
Nel 1970 gli fu assegnato il caso della cosiddetta “strage di viale Lazio”, in cui figuravano molti nomi di criminali di mafia destinati a successiva maggior notorietà. Nel 1975, giunto al grado di magistrato di Corte d’Appello, fu nominato Consigliere Istruttore Aggiunto. Divenne magistrato di Cassazione e Consigliere Istruttore dopo altri quattro anni e come tale, in quel 1979 in cui fu ucciso Cesare Terranova, fu chiamato alla carica di dirigente dell’Ufficio in cui già lavorava sull’onda dell’emozione per quel delitto “eccellente”.
La lotta a Cosa nostra e il pool antimafia
Altri omicidi seguirono non molto tempo dopo, nel 1980, quando Cosa nostra uccise il capitano dell’Arma dei Carabinieri Emanuele Basile (4 maggio) e il procuratore Gaetano Costa (6 agosto), amico di Chinnici, con cui aveva condiviso indagini sulla mafia, i cui esiti i due giudici si scambiavano in tutta riservatezza dentro un ascensore di servizio del palazzo di Giustizia. Dopo questo omicidio Chinnici ebbe l’idea di istituire una struttura collaborativa fra i magistrati dell’Ufficio (poi nota come pool antimafia), conscio che l’isolamento dei servitori dello Stato li espone all’annientamento e li rende vulnerabili, in particolare i giudici e i poliziotti poiché, uccidendo chi indaga da solo, si seppellisce con lui anche il portato delle sue indagini.
Entrarono a far parte della sua squadra alcuni giovani magistrati fra i quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Con quest’ultimo condivideva il giorno di nascita, il 19 gennaio. Altro avrebbe legato le tre figure qualche anno dopo. Disse Chinnici in un’intervista:
«Un mio orgoglio particolare è una dichiarazione degli americani secondo cui l’Ufficio Istruzione di Palermo è un centro pilota della lotta antimafia, un esempio per le altre magistrature d’Italia. I magistrati dell’Ufficio Istruzione sono un gruppo compatto, attivo e battagliero. »
Tra le indagini più delicate di quel periodo, vi fu la cosiddetta “inchiesta Spatola”, che riguardava una pericolosa banda di trafficanti internazionali di eroina ed era scaturita dai mandati di cattura che costarono la vita al procuratore Costa: Chinnici non esitò ad affidare l’indagine a Falcone, il quale avviò rivoluzionarie verifiche bancarie sui movimenti di denaro sporco e sulle misteriose relazioni dei trafficanti con il bancarottiere Michele Sindona. Chinnici coordinò anche le scottanti inchieste sui “delitti politici” del segretario provinciale della DC Michele Reina, del Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, del segretario regionale del PCI Pio La Torre e del Prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa.
Nel luglio 1982, sulla scrivania di Chinnici arrivò il cosiddetto “Rapporto dei 162” (Greco Michele + 161), redatto congiuntamente da Polizia e Carabinieri che metteva in luce, per la prima volta, gli schieramenti mafiosi coinvolti nella seconda guerra di mafia allora in corso, sia i gruppi “perdenti” (la fazione Bontate-Inzerillo-Badalamenti) sia quelli “vincenti” (i Corleonesi di Totò Riina), e i relativi omicidi con scrupolose verifiche e riscontri, ottenuti anche servendosi di preziosi “confidenti”: Chinnici decise di affidare l’istruttoria riguardante le indagini basate sul Rapporto sempre a Giovanni Falcone e il risultato di tale imponente lavoro sarà il primo grande processo a Cosa nostra, il cosiddetto maxi processo di Palermo. Il 17 agosto, poco più di un mese dopo il deposito del rapporto, l’Ufficio istruzione emise un mandato di cattura per 87 persone – appartenenti sia all’ala moderata sia a quella emergente (fra cui i latitanti Giuseppe, Salvatore e Michele Greco, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Salvatore Montalto) – per associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, per fatti commessi fino al 12 luglio di quell’anno. Nel 1983 Chinnici emise un altro mandato di cattura per gli stessi indagati e per gli stessi reati contestati fino al 18 gennaio di quell’anno. Il 31 maggio Chinnici emise un terzo mandato per 125 persone per associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di droga contestata fino al 5 maggio. Sempre nell’ambito della stessa inchiesta, Chinnici coordinò un’operazione conclusasi con un quarto mandato emesso da Giovanni Falcone il 9 luglio a carico di 14 indagati, tra i quali Michele Greco, Filippo Marchese, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano; tra i reati ipotizzati il tentato omicidio di Salvatore Contorno e l’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, di tre carabinieri e dei boss Alfio Ferlito (la “strage della circonvallazione”), Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo.
Sulla base delle risultanze del Rapporto dei 162, Chinnici avrebbe voluto emettere un mandato di cattura per associazione mafiosa nei confronti dei potenti imprenditori Nino e Ignazio Salvo ed espresse tale volontà ad alcuni suoi collaboratori (i funzionari di polizia Ninni Cassarà e Francesco Accordino e il capitano dei Carabinieri Angiolo Pellegrini) ma Falcone si oppose, affermando che occorrevano più prove per procedere all’arresto.

L’attività culturale
Chinnici partecipò in qualità di relatore a molti congressi e convegni giuridici e socioculturali, e credeva nel coinvolgimento dei giovani nella lotta contro la mafia, recandosi nelle scuole per parlare agli studenti della mafia e del pericolo della droga. Questo pericolo ebbe a esplicitare poco prima di morire, in una nota intervista a I Siciliani di Pippo Fava:
«… sono i giovani che dovranno prendere domani in pugno le sorti della società, ed è quindi giusto che abbiano le idee chiare. Quando io parlo ai giovani della necessità di lottare la droga, praticamente indico uno dei mezzi più potenti per combattere la mafia. In questo tempo storico infatti il mercato della droga costituisce senza dubbio lo strumento di potere e guadagno più importante. Nella sola Palermo c’è un fatturato di droga di almeno quattrocento milioni al giorno, a Roma e Milano addirittura di tre o quattro miliardi. Siamo in presenza di una immane ricchezza criminale che è rivolta soprattutto contro i giovani, contro la vita, la coscienza, la salute dei giovani.
Il rifiuto della droga costituisce l’arma più potente dei giovani contro la mafia.»
In altra occasione aveva detto:
«Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi […] fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai. »
Fu anche uno studioso del fenomeno mafioso, del quale diede in più occasioni definizioni molto decise. Nella sua relazione sulla mafia tenuta nell’incontro di studio per magistrati organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura a Grottaferrata il 3 luglio 1978 così si era espresso:
«Riprendendo il filo del nostro discorso, prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione, non era mai esistita in Sicilia.»
e più oltre aggiunge:
«La mafia […] nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia. »
Più tardi, nella detta intervista con I Siciliani, approfondì la definizione:
«La mafia è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione della ricchezza. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti pubblici, i mercati più opulenti, i contrabbandi che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi. La mafia è dunque tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. […] La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere. Se lei mi vuole chiedere come questo rapporto di complicità si concreti, con quali uomini del potere, con quali forme di alleanza criminale, non posso certo scendere nel dettaglio. Sarebbe come riferire della intenzione o della direzione di indagini. »
In una delle sue ultime interviste, Chinnici disse:
«La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare. »
L’attentato e la morte
Rocco Chinnici fu ucciso alle 8 del mattino del 29 luglio 1983 con una Fiat 126 verde, imbottita con 75 kg di esplosivo parcheggiata davanti alla sua abitazione in via Giuseppe Pipitone Federico a Palermo, all’età di 58 anni. Ad azionare il telecomando che provocò l’esplosione fu Antonino Madonia, boss di Resuttana, che si trovava nascosto nel cassone di un furgone rubato parcheggiato nelle vicinanze di via G. Pipitone Federico. Accanto al suo corpo giacevano altre tre vittime raggiunte in pieno dall’esplosione: il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico in cui Chinnici viveva, Stefano Li Sacchi. L’unico superstite fu l’autista Giovanni Paparcuri, che riportò gravi ferite. I primi ad accorrere sul teatro della strage furono due dei figli di Chinnici, Elvira e Giovanni, rispettivamente di 24 e 19 anni, che erano in casa al momento dell’esplosione. Dopo i funerali, la salma di Chinnici venne tumulata presso il cimitero comunale di Misilmeri, suo paese natale.

Nel 2002 la Corte d’assise di Caltanissetta, dopo un complicato iter processuale durato quasi vent’anni, ha condannato all’ergastolo come mandanti dell’attentato i vertici della “Cupola” mafiosa (Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Raffaele Ganci, Antonino Geraci, Giuseppe Calò, Francesco Madonia, Salvatore Buscemi, Salvatore Montalto, Matteo Motisi, Giuseppe Farinella) e, come esecutori materiali, Antonino Madonia, Calogero Ganci, Stefano Ganci, Vincenzo Galatolo, Giovanni Brusca, Giuseppe Giacomo Gambino, Giovan Battista Ferrante, Francesco Paolo Anzelmo (articolo parzialmente estrapolato dal sito Wikipedia e le immagini da Google).
Testo bollettino
Rocco Chinnici nacque a Misilmeri, a pochi chilometri da Palermo, il 19 gennaio del 1925. Compì studi classici al Liceo Umberto I di Palermo, laureandosi in Giurisprudenza nel 1947 presso l’Università di Palermo.
Nel 1952 divenne magistrato e dal ’54 al ’66 fu pretore a Partanna, centro agricolo nella Valle del Belice. Dall’aprile del 1966 fu Giudice Istruttore a Palermo.
Nel 1971 istruì uno dei primi importanti processi di mafia, quello per la c.d. “strage di viale Lazio”.
Nel dicembre del 1979 venne nominato Consigliere Istruttore dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. Come capo di quell’ufficio iniziò una straordinaria fase di impegno personale e professionale nel contrasto alla mafia che, in quegli anni, aveva assunto modi di agire particolarmente violenti e sanguinari, colpendo persino i rappresentanti dello Stato.
A Rocco Chinnici si devono le intuizioni più importanti nella metodologia di contrasto alla criminalità organizzata, poi entrate a far parte della cultura giudiziaria italiana ed europea: la specializzazione giudiziaria, il contrasto patrimoniale, il coordinamento delle indagini da parte dell’autorità giudiziaria. Nel 1980 fondò il cosiddetto pool antimafia, chiamando a farne parte i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nell’Ufficio Istruzione da lui diretto videro la luce i fascicoli istruttori poi confluiti, dopo la sua morte, nel Maxi Processo di Palermo. Diede inoltre un contributo decisivo alla stesura e all’adozione della legge Rognoni-La Torre (l. n. 646 del 1982), con cui furono introdotti il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), fattispecie capace di realizzare la necessaria ricostruzione giuridica del fenomeno mafioso e che ancora oggi conserva intatta tutta la sua attualità, e le misure di prevenzione patrimoniali, in particolare la confisca, fondamento del sistema di cui all’attuale Codice Antimafia.
Il suo impegno non si esaurì all’interno delle aule giudiziarie. Consapevole del fatto che la mafia trova la sua forza nel consenso di alcune parti della società, iniziò a rivolgersi ai cittadini, soprattutto ai giovani; sede preferita dei suoi incontri erano soprattutto le scuole. Celebre la sua frase: “la mia fiducia è nelle nuove generazioni. Nel fatto che i giovani si ribellano, respingono il potere della mafia”.
Grazie alla sua guida, l’Ufficio Istruzione di Palermo divenne un formidabile e modernissimo avamposto giudiziario nel contrasto alla criminalità organizzata. Ma proprio l’efficacia dei metodi giudiziari del Giudice, la sua indipendenza e la sua inavvicinabilità, lo posero nel mirino di cosa nostra e degli intrecci politico-affaristico-mafiosi dell’epoca. Rocco Chinnici ne era pienamente consapevole ma, nonostante ciò, continuò con entusiasmo ed impegno il suo lavoro, finché, la mattina del 29 luglio 1983, la prima strage perpetrata con il sistema dell’auto bomba pose fine alla sua vita. Con lui morirono due carabinieri della scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, ed il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi.
I figli
Caterina, Elvira, Giovanni Chinnici

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