34-35-36 e 37^ emissione 2025 del 16.04.2025 di n.4 francobolli appartenenti alla serie tematica “le eccellenze del patrimonio culturale italiano” dedicato alle BASILICHE di ROMA: SAN PIETRO, SAN GIOVANNI IN LATERANO, SANTA MARIA MAGGIORE e SAN PAOLO fuori le mura

34-35-36 e 37^ emissione 2025 del 16.04.2025 di n.4 francobolli appartenenti alla serie tematica “le eccellenze del patrimonio culturale italiano” dedicato alle BASILICHE di ROMA: SAN PIETRO, SAN GIOVANNI IN LATERANO, SANTA MARIA MAGGIORE e SAN PAOLO fuori le mura, ognuno dal valore indicato con la lettera rispettivamente B zona 3 – B zona 2 – B zona 1 e B, corrispondente rispettivamente ad € 3,35-2.55-1,35 e 1,30

  • data emissione: 16.04. 2025
  • dimensioni foglietto: 150x 132 mm
  • tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, con imbiancante ottico.
  • Grammatura: 90 g/mq.
  • Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
  • Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 150.000 esemplari di foglietti, pari complessivamente a 600.000 francobolli.
  • colori: Sei
  • bozzettistaMaria Carmela PERRINI
  • num. catalogo francobolloMichel ______ YT _______ UNIF ______SASS _4557____
  • Il foglietto: Ispirandosi a una mappa d’epoca, raffigura un particolare di Roma con il Tevere, un acquedotto, caseggiati e le antiche mura, in cui sono visibili pellegrini che si apprestano a partecipare al Giubileo. Racchiude al centro disposti su due colonne i francobolli. Completa il foglietto la legenda “BASILICHE DI ROMA”. In basso a destra, è presente il codice a barre per la rilevazione automatica dei francobolli, a sinistra il logo MIMIT monocromatico.
  • nota: le opere architettoniche sono state riprodotte per gentile concessione delle rispettive Basiliche: © Fabbrica di San Pietro in Vaticano, © San Giovanni in Laterano, © Capitolo di Santa Maria Maggiore, © San Paolo fuori le Mura.
  • data emissione: 16.04. 2025
  • dentellatura:  9  effettuata con fustellatura.
  • dimensioni francobollo: 48 x 40 mm
  • tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, con imbiancante ottico.
  • Grammatura: 90 g/mq.
  • Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
  • Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 100.016
  • valore tariffa: B zona 3 = € 3,35
  • colori: Cinque
  • bozzettistaMaria Carmela PERRINI
  • num. catalogo francobolloMichel ______ YT _______ UNIF ______SASS _4557____
  • Il francobollo:  riproduce una reinterpretazione artistica della facciata di una delle quattro Basiliche di Roma: Basilica di San Pietro. Completano il francobollo la legenda “BASILICA DI SAN PIETRO”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B ZONA 3”.
  • data emissione: 16.04. 2025
  • dentellatura:  9  effettuata con fustellatura.
  • dimensioni francobollo: 48 x 40 mm
  • tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, con imbiancante ottico.
  • Grammatura: 90 g/mq.
  • Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
  • Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 100.016
  • valore tariffa: B zona 2 = € 2,55
  • colori: Cinque
  • bozzettistaMatias HERMO
  • num. catalogo francobolloMichel ______ YT _______ UNIF ______SASS _4558____
  • Il francobollo:  una reinterpretazione artistica della facciata di una delle quattro Basiliche di Roma: Basilica di San Giovanni in Laterano. Completano il francobollo la legenda “BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B ZONA 2”.
  • data emissione: 16.04. 2025
  • dentellatura:  9  effettuata con fustellatura.
  • dimensioni francobollo: 48 x 40 mm
  • tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, con imbiancante ottico.
  • Grammatura: 90 g/mq.
  • Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
  • Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 100.016
  • valore tariffa: B zona 1 = € 1,35
  • colori: Cinque
  • bozzettistaRita FANTINI
  • num. catalogo francobolloMichel ______ YT _______ UNIF ______SASS _4559____
  • Il francobollo:  il francobollo riproduce una reinterpretazione artistica della facciata di una delle quattro Basiliche di Roma: Basilica di Santa Maria Maggiore. Completano il francobollo la legenda “BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B ZONA 1”.
  • data emissione: 16.04. 2025
  • dentellatura:  9  effettuata con fustellatura.
  • dimensioni francobollo: 48 x 40 mm
  • tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, con imbiancante ottico.
  • Grammatura: 90 g/mq.
  • Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
  • Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 100.016
  • valore tariffa: B = € 1,30
  • colori: Cinque
  • bozzettistaClaudia GIUSTO
  • num. catalogo francobolloMichel ______ YT _______ UNIF ______SASS _4560____
  • Il francobollo:  riproduce una reinterpretazione artistica della facciata di una delle quattro Basiliche di Roma: Basilica di San Paolo fuori le Mura. Completano il francobollo la legenda “BASILICA DI SAN PAOLO FUORI LE MURA”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.

Se sei interessato all’acquisto di questo foglietto, lo puoi acquistare, al prezzo di € 13,00 S.V.V., oppure se sei interessato ad uno o più francobolli li puoi acquistare rispettivamente ad €5,00-4,20-2,20 e 2,00 inviando una richiesta alla email: protofilia1@gmail.com

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La basilica di San Pietro in Vaticano è una basilica cattolica ubicata in Piazza San Pietro nello stato della Città del Vaticano; è un capolavoro dell’arte italiana e, pur non facendone parte, è uno dei simboli della città di Roma, di cui domina il panorama con la sua cupola.

A sinistra: il frontale della Basilica di San Pietro -a Dx splendida foto aerea della Basilica con il suo colonnato che abbraccia i suoi fedeli

È la più grande delle quattro basiliche papali di Roma ed è spesso indicata come la più grande chiesa del mondo sia per le sue dimensioni sia, metaforicamente, per la sua importanza come centro del cattolicesimo. Non è tuttavia la chiesa cattedrale della diocesi romana poiché tale titolo spetta alla basilica di San Giovanni in Laterano, che è anche la prima per dignità essendo Madre e Capo di tutte le Chiese dell’Urbe e del Mondo. Oltre alla sua importanza liturgica, per via della sua storia millenaria, le maestranze coinvolte, l’eccezionale qualità tecnica e artistica, nonché l’enorme e duratura influenza esercitata sull’architettura successiva, la basilica di San Pietro è ampiamente considerata uno dei capolavori assoluti e uno degli esiti più importanti della storia dell’architettura, ed è inclusa all’interno del Patrimonio dell’umanità UNESCO denominato Città del Vaticano e istituito nel 1984.

Storia

La costruzione dell’attuale basilica di San Pietro fu iniziata il 18 aprile 1506 sotto papa Giulio II e si concluse nel 1626, durante il pontificato di papa Urbano VIII, mentre la sistemazione della piazza antistante si concluse nel 1667. Si tratta tuttavia di una ricostruzione, dato che nello stesso sito, prima dell’odierna basilica, ne sorgeva un’altra risalente al IV secolo, fatta costruire dall’imperatore romano Costantino I sull’area del circo di Nerone e di una contigua necropoli dove la tradizione vuole che san Pietro, il primo degli apostoli di Gesù, fosse stato sepolto dopo la sua crocifissione.

Sotto papa Niccolò V (1447-1455), la basilica costantiniana, sopravvissuta ai saccheggi e agli incendi subiti dalla città dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, fu interessata da un progetto di sostanziale trasformazione, affidato a Bernardo Rossellino, che prevedeva il mantenimento del corpo longitudinale a cinque navate coprendolo con volte a crociera sui pilastri che dovevano inglobare le vecchie colonne, mentre veniva rinnovata la parte absidale con l’ampliamento del transetto, l’aggiunta di un coro, che fosse la prosecuzione logica della navata e di un vano coperto a cupola all’incrocio tra transetto e coro.

Questa configurazione forse influì in qualche modo sul successivo progetto di Bramante per un rinnovamento totale dell’edificio, che infatti inizialmente conservò quanto già costruito.

I progetti di Bramante

Il cantiere fu riaperto da Giulio II che probabilmente intendeva proseguire i lavori intrapresi da Niccolò V. Tuttavia nel 1505, forse dietro consiglio di Michelangelo, al probabile fine di dare un grandioso contorno al mastodontico mausoleo che aveva concepito per la propria sepoltura, e comunque all’interno di un clima culturale pienamente rinascimentale che aveva coinvolto la Chiesa, Giulio II decise la costruzione di una nuova colossale basilica.

Il pontefice consultò i maggiori artisti del tempo; tra i quali fra Giovanni Giocondo, che inviò da Venezia un progetto a cinque cupole ispirato alla basilica di San Marco.

I lavori furono affidati a Donato Bramante, da qualche anno giunto a Roma da Milano, che superò il confronto con l’architetto di fiducia del pontefice, Giuliano da Sangallo, affermandosi come il più importante architetto dell’epoca, tanto che a lui fu commissionato anche il disegno del vicino Cortile del Belvedere.

Il dibattito, non privo di polemiche e rivalità, che si svolse nel corso del 1505, si imperniava sull’idea di costruire un edificio a perfetta pianta centrale, condivisa dagli architetti e dagli intellettuali della Curia, tra cui il neoplatonico Egidio da Viterbo.

Bramante non lasciò un unico progetto definitivo della basilica, ma è opinione comune che le sue idee originarie prevedessero un rivoluzionario impianto a croce greca (ideale richiamo ai primi martyria della cristianità), caratterizzato da una grande cupola emisferica posta al centro del complesso. Tale configurazione si può desumere, in parte, dall’immagine impressa su una medaglia del Caradosso coniata per commemorare la posa della prima pietra del tempio, il 18 aprile 1506.

Il cantiere dal 1505 al 1514

Nei lavori in cantiere, infatti, venne mantenuto quanto costruito dal Rossellino per il coro absidale, anzi proseguendo i lavori della muratura perimetrale con lesene doriche, in contrasto con il progetto del “piano pergamena” a cui quindi nel 1506 Bramante e Giulio II avevano in qualche modo rinunciato. La sola certezza sulle ultime intenzioni di Bramante e Giulio II è la realizzazione dei quattro possenti pilastri uniti da quattro grandi arconi destinati a sorreggere la grande cupola, fin dall’inizio, dunque, elemento fondante della nuova basilica.

Per poter eseguire tali lavori Bramante fece demolire quasi tutta la parte presbiterale dell’antica e veneranda basilica, suscitando polemiche permanenti fuori e dentro la Chiesa, a cui presero parte anche Michelangelo, che criticò la distruzione delle colonne, e persino Erasmo da Rotterdam. Bramante fu soprannominato “maestro ruinante” (ossia distruttore). La morte di papa Giulio II (1513), alla quale fece seguito quella dell’architetto (1514), causò forti rallentamenti al cantiere.

Il cantiere dal 1514 al 1546

Dal 1514, come successore di Bramante fu chiamato Raffaello Sanzio con Giuliano da Sangallo e Fra’ Giocondo.

Dopo la morte di Raffaello, dal 1520 subentrò come primo architetto Antonio da Sangallo il Giovane con Baldassarre Peruzzi. Fu solo sotto papa Paolo III, intorno al 1538, che i lavori furono ripresi da Antonio da Sangallo il Giovane, il quale, intuendo che non avrebbe potuto vedere la fine dei lavori per limiti di età, approntò un grandioso e costoso modello ligneo (oggi conservato nelle cosiddette sale ottagone che si aprono tra le volte e il sottotetto della basilica) sul quale lavorò dal 1539 al 1546, avvalendosi dell’aiuto di Antonio Labacco, per illustrare nei minimi dettagli il suo disegno. Il progetto sangallesco si poneva come una sintesi tra la soluzione a pianta centrale di Bramante e la croce latina di Raffaello. 

Il progetto di Michelangelo

Dopo Sangallo, deceduto nel 1546, alla direzione dei lavori subentrò Michelangelo Buonarroti, all’epoca ormai settantenne. La storia del progetto michelangiolesco è documentata da una serie di documenti di cantiere, lettere, disegni dello stesso Buonarroti e di altri artisti, affreschi e testimonianze dei contemporanei, come Giorgio Vasari. Malgrado ciò, le informazioni ricavabili spesso sono in contraddizione tra loro. Il motivo principale risiede nel fatto che Michelangelo non redasse mai un progetto definitivo per la basilica vaticana, preferendo procedere per parti. Tuttavia, dopo la morte di Michelangelo, furono stampate diverse incisioni nel tentativo di restituire una visione complessiva del disegno concepito dall’artista toscano, tra cui quelle di Stefano Dupérac, che subito si imposero come le più diffuse e accettate. Michelangelo, ritenendo il costosissimo modello del Sangallo poco luminoso, troppo artificioso e con richiami all’architettura tedesca (guglie, risalti, ecc.), rifiutò l’idea del suo predecessore; tornò pertanto alla pianta centrale del progetto originario, così da sottolineare maggiormente l’impatto della cupola, ma annullando la perfetta simmetria studiata da Bramante con la previsione di un pronao.  I sostenitori del progetto di Sangallo avanzarono ancora critiche sull’operato di Michelangelo, senza perdere occasione per mettere in cattiva luce il maestro. Nel 1551 un crollo dovuto a un errore tecnico del capomastro di fiducia di Michelangelo non fece altro che gettare benzina sul fuoco, e i lavori subirono un’interruzione. Michelangelo presentò le sue dimissioni nel 1562.

Nel 1564, alla morte dell’artista, la cupola non era stata ancora terminata e i lavori erano giunti all’altezza del tamburo: fu Giacomo Della Porta (1533 – 1602) a eseguirne il completamento (1588 – 1590), conferendole un aspetto a sesto rialzato per ridurre le spinte laterali della calotta. All’epoca del Della Porta risalgono anche le cupole minori, aventi essenzialmente funzione ornamentale, poste intorno a quella maggiore, la cui concezione fu presumibilmente opera di Jacopo Barozzi da Vignola e Pirro Ligorio.

A Sx: il massiccio Altare Papale realizzato sopra alla tomba di San Pietro – a DX: il capolavoro di Michelangelo: la Pietà

Il completamento della basilica

Nel 1603 papa Clemente VIII affidò la direzione del cantiere a Carlo Maderno, il quale dovette affrontare la questione del completamento della basilica. Le intenzioni del pontefice erano probabilmente quelle di far coesistere le navate longitudinali dell’antica basilica costantiniana, con il corpo centrico cinquecentesco, tuttavia, con l’elezione di papa Paolo V nel 1605 prevalse l’orientamento di concludere la pianta centrale di Michelangelo con un nuovo corpo longitudinale. Consapevole di questi desideri Maderno approntò un disegno, forse il primo suo progetto noto per la basilica di San Pietro, che prevedeva l’inserimento di uno spazio biassiale giustapposto a quello esistente.

Per il completamento della basilica fu probabilmente indetto un concorso. Oltre al Maderno, vi parteciparono alcuni tra i più famosi architetti e pittori dell’epoca. Successivamente la questione dei campanili fu ripresa da Gian Lorenzo Bernini. Approvato il progetto e dato inizio alla costruzione, si manifestarono preoccupanti problemi statici alle fondazioni che decretarono la sospensione dei lavori e l’abbattimento di quanto eseguito fino ad allora. Le colonne dell’unico campanile in parte realizzato vennero però reimpiegate per le facciate delle chiese di Santa Maria dei Miracoli e Santa Maria in Montesanto di piazza del Popolo. Frattanto, nel 1611 fu data per la prima volta la benedizione papale dalla nuova loggia; nel 1614 si lavorò alla volta a botte della navata centrale, mentre nel 1615 fu demolito il muro divisorio che divideva la vecchia basilica dalla nuova. Nello stesso tempo si procedette alla realizzazione delle volte delle cappelle laterali e nel 1616 fu conclusa la Confessione. La basilica, completata con le grandi statue alla sommità della facciata, fu consacrata da papa Urbano VIII il 18 novembre 1626. Urbano VIII, salito sul soglio pontificio nel 1623, ebbe un ruolo importante nell’ideazione e progettazione della nuova basilica. Egli fece innalzare il proprio sepolcro con una statua in bronzo somigliante a quella bronzea di San Pietro, inoltre, negli anni trenta del secolo, fece decorare i quattro altari sotto la cupola con simboli araldici e dagli stemmi di famiglia, così da esaltare la sua figura e la sacralità del suo potere.

Il rivestimento in marmo delle grandi paraste dell’interno, fino ad allora trattate in finto marmo bianco, si concretizzò solo a partire dal pontificato di papa Pio IX, con la realizzazione di alcune basi; i lavori furono ripresi sotto papa Pio X, nel 1913, prolungandosi fino all’epoca di papa Pio XII.

Piazza San Pietro

La sistemazione della piazza fu realizzata da Gian Lorenzo Bernini, sotto Alessandro VII, tra il 1657 ed il 1667. La soluzione finale tenne conto di problemi liturgici, simbolici e delle emergenze architettoniche preesistenti. Lo spazio antistante alla basilica fu suddiviso in due parti: la prima, a forma di trapezio rovescio con il lato maggiore lungo la facciata, la quale, grazie al particolare effetto prospettico, assumeva dimensioni meno imponenti; la seconda di forma ovale con l’imponente colonnato architravato sormontato da sculture. Nel progetto berniniano compariva uno spicchio centrale “il nobile interrompimento”  in prosecuzione del colonnato, che, se realizzato, avrebbe nascosto la piazza e la basilica rispetto alla veduta frontale.

a Sx: una foto che ritrae una fase del funerale di Papa Giovanni Paolo II, dove un colpo di vento fa sfogliare il Vangelo posto sulla bara e le vesti dei Cardinali – a DX: l’oceano di fedeli provenienti da tutto il mondo che partecipò ai funerali

Per realizzare il suo progetto Bernini demolì la torre dell’orologio innalzata solo pochi anni prima da Martino Ferrabosco sul lato nord della piazza e pose in asse con la via di Borgo Nuovo il portone in bronzo che conduceva, tramite la Scala Regia, alla Cappella Sistina e ai Palazzi Vaticani; assecondò così l’antico asse di via Alessandrina, creando il suggestivo percorso che accompagnava lo spettatore dalle anguste e articolate strade della “Spina di Borgo” alla grandiosità della piazza San Pietro, tagliandola però in maniera asimmetrica, sul lato nord, così da offrire suggestivi e sempre nuovi scorci verso la facciata della basilica e rendendo nuovamente la cupola michelangiolesca l’elemento di spicco dell’intera composizione. Le aspirazioni del Bernini furono comunque stravolte con lo sventramento del rione di Borgo e l’apertura dell’attuale via della Conciliazione (1936–1950), che resero la facciata della basilica una monumentale quinta al termine di un lungo asse rettilineo.

Gli architetti della basilica

  • dal 1506 Bramante, con la collaborazione di Giuliano da Sangallo
  • dal 1514 Raffaello, con la collaborazione di Giuliano da Sangallo (dal 1515 sostituito dal nipote Antonio da Sangallo il Giovane) e Frà Giocondo fino alla sua morte nel 1515.
  • dal 1520 Antonio da Sangallo il Giovane, con collaboratore Baldassarre Peruzzi fino al 1527
  • dal 1546 Michelangelo
  • dal 1564 Pirro Ligorio e Jacopo Barozzi da Vignola
  • dal 1573 Giacomo Della Porta con Domenico Fontana
  • dal 1603 Carlo Maderno
  • dal 1629 Gian Lorenzo Bernini

Descrizione

La Basilica di San Pietro è uno dei più grandi edifici del mondo: lunga ben 218 metri e alta fino alla cupola 132,30 metri,  la superficie totale è di circa 23 000 metri quadrati e può contenere 60 000 fedeli (secondo altre fonti 20 000).

L’edificio è interamente percorribile lungo il suo perimetro, benché sia collegato ai Palazzi Vaticani mediante un corridoio sopraelevato disposto lungo la navata destra e dalla Scala Regia a margine della facciata su Piazza San Pietro; due corridoi invece lo uniscono all’adiacente Sacrestia. Nonostante questo aspetto tradisca l’idea di una costruzione isolata al centro di una vasta piazza, come probabilmente l’aveva pensata Michelangelo Buonarroti, la presenza di passaggi sopraelevati, che non interferiscono con il perimetro della basilica, permette ugualmente di cogliere la complessa articolazione del tempio. L’esterno, in travertino, è caratterizzato dall’uso di un ordine gigante oltre il quale è impostato l’attico. Questa configurazione si deve sostanzialmente a Michelangelo Buonarroti e fu mantenuta anche nel corpo longitudinale aggiunto da Carlo Maderno.

Lungo le navate, presso i 45 altari e nelle 11 cappelle che si aprono all’interno della basilica, sono ospitati diversi capolavori di inestimabile valore storico e artistico, come diverse opere di Gian Lorenzo Bernini e altre provenienti dalla chiesa paleocristiana, come la statua bronzea di san Pietro, attribuita ad Arnolfo di Cambio.

La facciata

Larga circa 114,69 metri e alta 45,44 metri, venne innalzata da Carlo Maderno fra il 1607 e il 1614, ed è articolata mediante l’uso di colonne d’ordine gigante che inquadrano gli ingressi e la Loggia delle Benedizioni, il luogo dove viene annunziata ai fedeli l’elezione del nuovo papa; al di sotto si trova un altorilievo di Ambrogio Buonvicino, intitolato Consegna delle Chiavi, del 1614 circa.

La facciata è preceduta da una scalinata e da due statue raffiguranti san Pietro e san Paolo, scolpite rispettivamente da Giuseppe De Fabris e Adamo Tadolini nel 1847 per sostituire quelle precedenti volute da Pio II nel 1462 e di attribuzione incerta (forse Paolo Romano o Mino del Reame). Sulla sommità sono disposte le statue, alte anche oltre 5,7 m, di Gesù, Giovanni Battista e di undici dei dodici apostoli (manca san Pietro). Ai lati della medesima sono collocati due orologi realizzati nel 1785 da Giuseppe Valadier, l’orologio a sinistra, detto Oltremontano, indica l’ora reale, quella basata sul fuso orario, mentre quello di destra, detto Italiano, indica l’ora italica solare con inizio del conteggio al tramonto d’ogni giorno e il compimento della ventiquattresima ora al tramonto successivo; inoltre, altra differenza, quello di sinistra ha le due classiche lancette delle ore e dei minuti mentre quello di destra ha un’unica lancetta.

Sotto l’orologio di sinistra si trova la cella campanaria al cui interno sono ospitate le 6 campane: al centro del finestrone la campana maggiore realizzata dal Valadier nel 1785, ai lati superiori le due campane minori; all’interno, dietro al campanone, il “Campanoncino” del 1725 e dietro la “Rota” del XIII secolo; sopra a queste la “Predica” del XIX secolo.

La facciata è stata restaurata in occasione del giubileo del 2000, e riportata ai colori originariamente voluti da Maderno.

Il portico

Varcato il cancello centrale, si accede a un portico che si estende per tutta la larghezza della facciata e sul quale si aprono i cinque accessi alla basilica.

L’atrio è fiancheggiato da due statue equestri: Carlo Magno, a sinistra, di Agostino Cornacchini (1725) e, sul lato opposto, Costantino, creata dal Bernini nel 1670 e che sottolinea l’ingresso ai Palazzi Vaticani attraverso la Scala Regia. Alcuni stucchi arricchiscono tutta la volta sovrastante, ideati da Martino Ferrabosco ma realizzati da Ambrogio Buonvicino, a cui appartengono anche le trentadue statue di papi collocate ai lati delle lunette.

Sulla parete sopra l’accesso principale alla basilica è riportato un importante frammento, ampiamente restaurato, del mosaico della Navicella degli Apostoli, eseguito da Giotto per la primitiva basilica e collocato nell’attuale sede solo nel 1674 .

Le porte

Per entrare nella basilica, oltrepassata la facciata principale, vi sono cinque portali con porte di bronzo.

La porta all’estrema sinistra è stata realizzata da Giacomo Manzù nel 1964, ed è nota come Porta della Morte: venne commissionata da Giovanni XXIII e prende questo nome poiché da questa porta escono i cortei funebri dei Pontefici. È strutturata in quattro riquadri; nel principale vi è la raffigurazione della deposizione di Cristo e della assunzione al cielo di Maria. Nel secondo sono rappresentati i simboli dell’Eucaristia: pane e vino, richiamati simbolicamente da tralci di vite e da spighe tagliate. Nel terzo riquadro viene richiamato il tema della morte. Sono raffigurati l’uccisione di Abele, la morte di Giuseppe, il martirio di san Pietro, la morte dello stesso Giovanni XXIII che non visse abbastanza per vederla, la morte in esilio di Gregorio VII e sei animali nell’atto della morte. Segue la Porta del Bene e del Male, opera di Luciano Minguzzi che vi ha lavorato dal 1970 al 1977.

La Porta Centrale, o Porta del Filarete, fu ordinata da papa Eugenio IV ad Antonio Averulino detto appunto il Filarete e venne eseguita tra il 1439 e il 1445 per l’accesso alla basilica costantiniana. È realizzata in due battenti di bronzo e ogni battente è diviso in tre riquadri sovrapposti. Nei riquadri in alto sono rappresentati a sinistra Cristo in trono a destra Madonna in trono; nei riquadri centrali sono rappresentati san Pietro e san Paolo, il primo mentre consegna le chiavi a papa Eugenio IV, il secondo rappresentato con la spada e un vaso di fiori. I riquadri inferiori rappresentano il martirio dei due santi. A sinistra la decapitazione di san Paolo, a destra la crocifissione capovolta di san Pietro. I riquadri sono incorniciati da girali animati con profili di imperatori e nell’intercapedine fra questi vi sono fregi con episodi del pontificato di Eugenio IV. Dal lato interno vi è l’insolita firma dell’artista. Questo ha rappresentato i suoi allievi al seguito di un mulo che lui stesso cavalca.

A destra rispetto alla precedente si trova la Porta dei Sacramenti realizzata da Venanzo Crocetti e inaugurata da papa Paolo VI il 12 settembre 1965. Sulla porta è rappresentato un angelo che annuncia i sette sacramenti.

La porta più a destra è la Porta santa realizzata da Vico Consorti, fusa in bronzo dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli nel 1950 e donata a papa Pio XII. Nelle sedici formelle che la costituiscono si può vedere lo stesso Pio XII e la bolla di Bonifacio VIII che indisse il primo Giubileo nel 1300.

La navata principale

L’immenso spazio interno, lungo 186,36 metri, è articolato in tre navate per mezzo di robusti pilastri sui quali si aprono grandi archi a tutto sesto, alti 23 metri e larghi 13. La superficie calpestabile è di 15 160 metri quadrati. La navata centrale, dalla controfacciata al primo arco della crociera, è lunga 90 metri, larga 26 metri e alta circa 45 metri, e da sola si estende su quasi 2 500 metri quadrati di superficie. È coperta da un’ampia volta a botte e culmina, oltre la cupola e dietro al colossale Baldacchino di San Pietro, nella monumentale Cattedra. Particolarmente ricercato è il disegno del pavimento marmoreo, in cui sono presenti elementi provenienti dalla precedente basilica, come il disco in porfido rosso egiziano sul quale si inginocchiò Carlo Magno.

Fino all’intersezione col transetto, nelle nicchie ricavate nei pilastri posti sulla destra dell’ingresso, si trovano le statue di vari santi e le acquasantiere, alte quasi due metri, furono realizzate tra il 1722 e il 1725 su disegno di Agostino Cornacchini.

La navata destra

Nella prima cappella a destra è collocata la celebre Pietà di Michelangelo, opera degli anni giovanili del maestro (1499) e che colpisce per l’armonia e il candore delle superfici; la scultura è protetta da una teca di cristallo a seguito dei danneggiamenti subiti nel 1972, quando un folle vi si avventò contro, colpendola in più punti con un martello.

La navata sinistra

La navata si apre con la Cappella del Battesimo, progettata da Carlo Fontana e decorata con mosaici del Baciccio completati poi da Francesco Trevisani; il mosaico che troneggia dietro l’altare fu composto a imitazione di un dipinto di Carlo Maratta, ora collocato nella basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri. Al centro si trova il coperchio del sarcofago dell’imperatore Adriano in porfido rosso trasformato in fonte battesimale nel 1698 da Carlo Fontana.

L’ambulacro

L’ambulacro, ovvero lo spazio che circonda i quattro pilastri che sorreggono la cupola, introduce verso il cuore della basilica così come l’aveva pensata Michelangelo Buonarroti.

Sul pilastro posto in corrispondenza con la navata destra si erge l’altare di San Girolamo, con la tomba di papa Giovanni XXIII posta alla base di un grande mosaico riproducente un dipinto del Domenichino.

il transetto

Il transetto settentrionale, verso i Palazzi Vaticani, fu costruito su progetto di Michelangelo Buonarroti, che eliminò il deambulatorio previsto dai suoi predecessori, murando gli accessi al corridoio esterno, non realizzato, e ricavandovi alcune nicchie sormontate da ampi finestroni rettangolari.

La cupola

Con oltre 133 metri di altezza, 41,50 metri di diametro interno (di poco inferiore però a quello del Pantheon di Roma), 58,90 di diametro massimo esterno e 551 scalini dalla base dell’opera fino alla lanterna, la cupola è l’emblema della stessa basilica e uno dei simboli dell’intera città di Roma. Poggia su un alto tamburo (costruito sotto la direzione di Michelangelo), definito all’esterno da una teoria di colonne binate e aperto da sedici finestroni rettangolari, separati da altrettanti costoloni. Quattro immensi pilastri, di 71 metri di perimetro, sorreggono l’intera struttura, il cui peso è stimato in 14 000 tonnellate.

Come detto, la cupola fu costruita in soli due anni da Giacomo Della Porta, seguendo i disegni di Michelangelo, il quale però forse aveva previsto una cupola perfettamente sferica, almeno secondo quanto attestato dalle incisioni di Stefano Dupérac pubblicate poco dopo la morte dell’artista.

L’altare papale

Lo spazio sottostante la cupola è segnato dal monumentale Baldacchino di San Pietro, ideato dal genio di Gian Lorenzo Bernini e innalzato tra il 1624 e il 1633. Realizzato col bronzo prelevato dal Pantheon, è alto quasi 30 metri ed è sorretto da quattro colonne tortili a imitazione del Tempio di Salomone e del ciborio della vecchia basilica costantiniana, le cui colonne erano state recuperate e inserite come ornamento nei pilastri della cupola michelangiolesca. Al centro, all’ombra del Baldacchino, avvolto dall’immenso spazio della cupola, sorge l’Altare papale, detto di Clemente VIII (che lo consacrò nel 1594), collocato sulla verticale esatta del Sepolcro di San Pietro.

La Fabbrica di San Pietro

All’insieme delle opere necessarie per la sua realizzazione edile e artistica, fu preposto un ente, la Reverenda Fabrica Sancti Petri, del quale recentemente il Vaticano ha aperto gli archivi agli studiosi: fra i preziosi documenti catalogati vi sono migliaia di note, progetti, contratti, ricevute, corrispondenze (ad esempio fra Michelangelo e la Curia), che costituiscono una documentazione del tutto sui generis sulla quotidianità pratica degli artisti coinvolti. L’ente è tuttora operante per la gestione del complesso.

È da segnalare che l’immenso cantiere della basilica non passò inosservato alla cultura popolare romana: per far passare i materiali per il cantiere alle dogane senza che essi pagassero il dazio si incideva su ogni singolo collo l’acronimo A.U.F. (Ad Usum Fabricae: [destinato] ad essere utilizzato nella fabbrica [di San Pietro]). Nella tradizione popolare romana nacque subito la forma verbale “auffo” o “auffa”, tuttora utilizzata a Roma, per indicare qualcuno che vuole ottenere servigi o beni in modo gratuito. Sempre a Roma, ancora oggi, quando si parla di un lavoro perennemente in cantiere si è soliti paragonarlo alla Fabbrica di San Pietro ( articolo parzialmente estrapolato dal sito Wikipedia e le immagini da Google).

 

La Basilica di San Giovanni in Laterano  è la Cattedrale di Roma, e in quanto tale ha il ruolo di chiesa madre della diocesi di Roma, attualmente retta da papa Francesco tramite il cardinale vicario. È la prima delle quattro basiliche papali maggiori e la più antica e importante basilica d’Occidente. Sita sul colle Celio, la basilica è la rappresentazione materiale della Santa Sede, che ha qui la sua residenza.

Una foto della Basilica di San Giovanni

La basilica e il vasto complesso circostante (comprendente il Palazzo Pontificio del Laterano, il Palazzo dei Canonici, il Pontificio Seminario Romano Maggiore e la Pontificia Università Lateranense) godono dei privilegi di extraterritorialità riconosciuti dalla Repubblica Italiana alla Santa Sede che pertanto ne ha la piena ed esclusiva giurisdizione.

La denominazione ufficiale è “Arcibasilica Papale del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista in Laterano”. Papa Silvestro I, nel IV secolo, la dedicò al Santissimo Salvatore; poi papa Sergio III, nel IX secolo, aggiunse la dedica a San Giovanni Battista; infine papa Lucio II, nel XII secolo, incluse anche San Giovanni Evangelista.

Storia

Origini

All’inizio del IV secolo, l’area orientale del colle Celio era di proprietà dell’antica famiglia dei Laterani. Su di essa avevano edificato un palazzo.

Il terreno e il palazzo che vi sorgeva pervennero all’imperatore Costantino quando questi sposò nel 307 la sua seconda moglie, Fausta, figlia dell’ex-imperatore Massimiano. La tradizione cristiana aulica fa risalire la vittoria di Costantino a una visione premonitrice che, nel motto in hoc signo vinces, avrebbe spinto l’Imperatore a dipingere il simbolo cristiano della croce sugli scudi dei propri soldati. Vittorioso, Costantino sciolse il corpo degli equites singulares e donò, in segno di gratitudine a Cristo, gli antichi terreni e la residenza dei Laterani al vescovo di Roma Milziade (310-314). Sul luogo degli antichi Castra venne edificata dunque la primitiva basilica, consacrata da Milziade al Redentore, all’indomani dell’editto di Milano dell’anno 313 che concesse la libertà di culto in tutto l’impero.

La dedicazione ufficiale della basilica al Santissimo Salvatore fu compiuta però da papa Silvestro I nel 324, che dichiarò la chiesa e l’annesso Palazzo del Laterano Domus Dei (“casa di Dio”).

Età paleocristiana: la prima basilica

Sul primitivo aspetto della basilica, dopo l’editto di Milano, sono note le descrizioni delle fonti e le informazioni relative alle successive ricostruzioni, che per un certo periodo continuarono a basarsi sulla struttura originaria.

L’originale basilica era nota, per il suo splendore e per la sua importanza, con il nome di Basilica Aurea ed era oggetto di continue e importanti donazioni da parte degli imperatori, dei papi e di altri benefattori, testimoniate nel Liber Pontificalis.

L’edificio era orientato secondo la direttrice est-ovest tipica delle basiliche paleocristiane, con la facciata rivolta a occidente, cioè verso il tramonto, e l’abside con l’altare rivolti a oriente, cioè verso l’alba.

La primitiva basilica aveva una forma oblunga e disponeva di cinque navate fortemente digradanti in altezza, divise da colonne: la navata centrale era la più larga e più alta e si elevava sopra delle altre permettendo di aprire luminose finestre nel cleristorio. Il soffitto era coperto a capriate, che probabilmente dovevano essere a vista. Opposta alla facciata era presente un’unica abside dove venne posta la cattedra vescovile, in analogia con le tribune allestite per le sedute solenni nelle basiliche civili. In fondo alle navate esisteva una navatella trasversale, il primitivo transetto, nella quale prendevano posto durante la celebrazione il vescovo, sedendo in centro, su un seggio rialzato, affiancato dai sacerdoti, disposti ai lati. Tra le navate e il transetto due possenti colonne sostenevano un grande arco detto arco trionfale.

Già colpita nel 410 dal Sacco di Roma dei Visigoti di Alarico, nel 455 la basilica venne nuovamente saccheggiata dai Vandali di Genserico, che la privarono di tutti i suoi tesori. La chiesa venne però restaurata e riportata al suo originario splendore da papa Leone Magno attorno al 460.

Declinata parallelamente al declino della città, la basilica venne restaurata da papa Adriano I alla fine dell’VIII secolo, apparendo in tutto il suo splendore in occasione della Pasqua dell’anno 774, quando vi ricevette il battesimo Carlo Magno. Nuovi interventi seguirono poi negli anni 844-847, quando papa Sergio II ricavò una confessio sotto l’altare maggiore.

La basilica fu teatro di uno degli avvenimenti più drammatici nella storia della Chiesa cattolica: il processo a papa Formoso, detto anche il Sinodo del cadavere.

Dopo la morte di questi, nell’896, in quello stesso anno, un terremoto fece crollare il tetto sopra la navata centrale, danneggiando gravemente la chiesa: l’evento fu ritenuto un castigo divino nei confronti di Stefano VI. I racconti dicono che la basilica “sprofondò dall’altare alle porte” (ab altari usque ad portas cecidit) e i danni furono così ampi che si rese necessaria una radicale ricostruzione.

Poche tracce rimanenti degli edifici originali possono tuttora essere identificate nelle Mura aureliane, fuori Porta San Giovanni e una grande parete decorata con pitture fu trovata nel XVIII secolo all’interno della basilica stessa, dietro la cappella Lancellotti. Poche altre tracce dell’edificio più vecchio vennero alla luce durante i lavori di scavo effettuati nel 1880, quando erano in corso i lavori per allargare l’abside, ma non fu scoperto niente di importante o di valore.

Una antica stampa raffigurante la Basilica di San Giovanni

Età altomedievale: la seconda basilica

Il nuovo edificio, completato agli inizi del X secolo, rispettava nella loro essenza le proporzioni della basilica costantiniana. Esso venne consacrato da papa Sergio III, il quale, nell’inaugurare anche il nuovo battistero, aggiunse alla chiesa la dedicazione a San Giovanni Battista. Sergio fece inoltre ornare la tribuna di mosaici, lasciando memoria della propria opera in un’elaborata epigrafe, che venne posta al disopra della porta maggiore.

La basilica di papa Sergio era dotata di un campanile, distrutto però da un fulmine nel 1115 e riedificato da papa Pasquale II.

Nel XII secolo, poi, papa Lucio II dedicò il Palazzo del Laterano e la basilica anche a San Giovanni Evangelista. L’apice della gloria della nuova basilica lateranense giunse comunque il 22 febbraio 1300, quando papa Bonifacio VIII vi indisse il primo Giubileo.

La decadenza cominciò però ben presto, appena nel 1305, quando, morto Bonifacio e le sue aspirazioni universalistiche, l’inizio della cattività avignonese segnò l’abbandono di Roma da parte dei papi. Nella notte del 6 maggio 1308 un furioso incendio devastò la seconda basilica laterana, lasciandola scoperchiata per decenni.

Età bassomedievale: la terza basilica

Da Avignone, papa Clemente V e papa Giovanni XXII inviarono il denaro necessario alla ricostruzione e al mantenimento della basilica, ma la chiesa non tornò più al suo splendore originario. Nel 1360, poi, la nuova chiesa venne nuovamente distrutta dal fuoco e ricostruita da papa Urbano V.

Nel 1349 l’edificio venne lesionato da un nuovo terremoto e quindi nuovamente attaccato dal fuoco nel 1361. Papa Urbano V affidò i restauri al senese Giovanni di Stefano, il quale eliminò parzialmente le trabeazioni interne e sostituì le colonne costantiniane con venti pilastri in laterizio, realizzando infine, con il contributo del re di Francia Carlo V il grandioso ciborio, inaugurato nel 1370, nel quale furono inseriti i preziosi reliquiari contenenti le teste dei Santi Pietro e Paolo. Il ciborio tutt’oggi sovrasta l’altare maggiore, nel quale è incastonata la reliquia della tavola su cui celebrò San Pietro.

Al ritorno da Avignone di papa Gregorio XI, nel 1377, i papi scelsero di spostare la loro residenza al Vaticano e il Laterano perse parte della sua importanza a vantaggio di San Pietro.

Alla fine del XVI secolo papa Sisto V fece demolire il vecchio e pericolante palazzo del Patriarchio, facendolo riedificare ex novo dal suo architetto preferito, il ticinese Domenico Fontana. In quest’occasione fu ricostruita la facciata del transetto, fondale prospettico dell’antica via Triumphalis rivolta verso la città, con l’edificazione di una nuova Loggia delle Benedizioni, di fronte alla quale venne ricollocato l’antico obelisco Lateranense.

Età barocca: la quarta basilica

Papa Innocenzo X decise il radicale rinnovo della basilica, affidandone l’opera al Borromini. Il progetto era ambizioso e si protrasse a lungo.

Nel 1660 papa Alessandro VII fece rimuovere i portoni bronzei dell’antica Curia Iulia perché divenissero i battenti del nuovo ingresso della basilica.

I lavori edilizi si prolungarono fino al pontificato di Clemente XII, quando venne realizzata infine la facciata principale, progettata da Alessandro Galilei, completata nel 1734 rimuovendo completamente le vestigia del tradizionale impianto dell’antica basilica.

Della basilica medioevale restarono visibili solo il pavimento, il ciborio e il mosaico absidale, restaurato poi da papa Leone XIII.

Fino al XIX secolo tutti i Papi furono incoronati in Laterano, ma dopo la breccia di Porta Pia l’usanza cadde in abbandono.

Nei primi del XX secolo dopo che un avveniristico progetto di traslazione non poté esser messo in opera in ragione dei costi elevati che avrebbe comportato, l’abside antica fu abbattuta per volontà di Leone XIII e ricostruita in posizione diversa per ospitare un nuovo coro, turbando così la spazialità della basilica.

Il 28 luglio 1993 l’entrata laterale e parte della facciata del palazzo furono danneggiati gravemente da un attentato dinamitardo: esplose un’autobomba. Anche se la statica della facciata fu danneggiata, fu possibile riparare i danni rapidamente.

L’aspetto odierno della basilica

La facciata principale

La facciata principale, costruita nel 1732 secondo il progetto di Alessandro Galilei, è costituita da un lungo atrio e da un arioso loggiato che si innesta sopra a quest’ultimo. L’atrio, che ricalca lo stile, seppur in forme più semplici, di quello di San Pietro in Vaticano, custodisce, in una nicchia quadrangolare posta all’estremità sinistra, una statua di epoca romana raffigurante Costantino I. La porta centrale della basilica proviene dalla Curia Iulia e fu realizzata nel IV secolo d.C., dopo l’incendio del 283 d.C. durante il regno dell’imperatore Diocleziano, già chiesa di Sant’Adriano, ed è stata riadattata dal Borromini per la chiesa. Sulla sommità della facciata si trova un gruppo marmoreo raffigurante Cristo con la croce tra alcuni santi vescovi della Chiesa d’Oriente e di quella d’Occidente. Nel timpano si trova un mosaico proveniente dalla basilica paleocristiana raffigurante Gesù.

La facciata settentrionale

La facciata del transetto nord, inquadrata tra due campanili medioevali dell’epoca di Pio IV, è preceduta da un ampio portico con loggiato, opera di Domenico Fontana. Sul soffitto del portico e su quello della loggia si trovano degli affreschi eseguiti sotto Sisto V raffiguranti Angeli e Santi. In fondo sulla destra, in una nicchia chiusa da un cancello, si trova la statua bronzea di Enrico IV di Francia.

Le navate e le cappelle

La basilica di San Giovanni ha cinque navate. Mentre quella centrale ha il soffitto a cassettoni e le due limitrofe a piccole cupolette, le navatelle estreme hanno il soffitto piatto e sono divise in campate quadrate e rettangolari da lesene. Nella navata centrale, in alcune nicchie ricavate nei pilastri, si trovano le statue dei dodici Apostoli, inserite nella basilica con gli interventi del Borromini, opere di vari artisti tra cui Camillo Rusconi, Pierre Legros e Angelo De Rossi. Negli spazi tra una finestra e l’altra ci sono dei tondi dipinti raffiguranti i Profeti. La pavimentazione è quella cosmatesca della basilica medievale.

Le decorazioni di contorno in stucco sono opera dello scultore messinese Simone Martinez e del figlio Francesco. Nella cappella è inoltre conservata la struggente Pietà marmorea di Antonio Montauti, datata 1733 e considerata il capolavoro dello scultore barocco.

Il transetto nord e il transetto sud

Il transetto nord della basilica ospita nella controfacciata l’enorme organo cinquecentesco di Luca Biagi decorato da Giovan Battista Montano.

L’altare papale e la confessione

L’altare papale si trova nella crociera ed è sormontato dal monumentale ciborio gotico, opera dell’architetto Giovanni di Stefano. Sopra la volta che copre l’area riservata all’altare, chiusa da una fitta grata in oro, si trovano i reliquiari delle teste dei S.S. Pietro e Paolo. I reliquiari sono del 1804 e sostituiscono quelli andati trafugati nel 1799 e che erano stati realizzati da Giovanni di Bartolo. Davanti all’altare si apre la confessione, fatta realizzare per volontà di papa Pio IX nel 1851 su progetto di Filippo Martinucci, in concomitanza con i lavori di rifacimento dell’altare papale diretti dallo stesso Martinucci.

L’abside e il coro di Leone XIII

Papa Leone XIII (1878-1903) fece restaurare l’antica abside della basilica, distruggendo quella con deambulatorio fatta erigere da Niccolò IV (1288-1292) alla fine del XIII secolo. L’abside attuale è preceduta da un nuovo ambiente destinato ad accogliere il coro. Il nuovo coro, fastosamente decorato da affreschi, stucchi e marmi policromi, contiene sei cantorie, tre per lato, con parte delle canne dell’organo della basilica. Nel catino dell’abside c’è l’enorme mosaico del XIII secolo raffigurante la Vergine che presenta il committente Niccolò IV inginocchiato, San Paolo, San Pietro, San Francesco d’Assisi, San Giovanni Battista, Sant’Antonio di Padova, San Giovanni Evangelista e Sant’Andrea. Al centro del mosaico si trovano la Croce di Cristo e la colomba dello Spirito Santo. Cristo è raffigurato con la Gerusalemme celeste: i quattro fiumi che sgorgano dalla croce gemmata al centro rappresentano i Vangeli, le pecore e i cervi che si dissetano rappresentano i fedeli (articolo parzialmente estrapolato dal sito Wikipedia e le immagini da Google).

 

La basilica di Santa Maria Maggiore o basilica Liberiana, è una delle basiliche di Roma, situata in Piazza dell’Esquilino sulla sommità dell’omonimo colle. È la sola basilica di Roma ad aver conservato la primitiva struttura paleocristiana, sia pure arricchita da successive aggiunte.

Status giuridico

L’edificio della Basilica, comprese le scalinate esterne, costituisce area extraterritoriale a favore della Santa Sede. La basilica gode, insieme ad altri immobili e in base ad accordi tra Stato italiano e Santa Sede, del privilegio di extraterritorialità e dell’esenzione da espropriazioni e da tributi, come stabilito dai Patti Lateranensi e formalizzato nell’Accordo di Villa Madama.

Storia e descrizione

Fondazione

Edificata, secondo la tradizione, durante il pontificato di Liberio (352-366), fu ricostruita o ristrutturata da papa Sisto III (432-440), che la dedicò al culto della Madonna, la cui divina maternità era appena stata riconosciuta dal concilio di Efeso (431).

Secondo la tradizione, la Madonna apparve in sogno a papa Liberio e al patrizio Giovanni, suggerendo di erigere una basilica in un luogo che sarebbe stato indicato miracolosamente. Così quando la mattina del 5 agosto un’insolita nevicata imbiancò l’Esquilino, Liberio avrebbe tracciato nella neve il perimetro della nuova basilica, costruita poi grazie al finanziamento di Giovanni. Di questo antico edificio rimane il ricordo solo in un passo del Liber Pontificalis che afferma che Liberio «fecit basilicam nomini suo iuxta Macellum Liviae».

Ad ogni modo il 5 agosto di ogni anno, in ricordo di Nostra Signora della Neve, avviene la rievocazione del cosiddetto “miracolo della nevicata”: durante la celebrazione della messa al mattino e del Vespro alla sera, viene a scendere dal centro del soffitto a cassettoni in corrispondenza della cripta della mangiatoia, una cascata di petali bianchi.

La chiesa precedente era dedicata alla fede nel Credo proclamato dal primo concilio di Nicea.

La basilica costruita da Sisto III a partire dall’anno 432 si presentava a tre navate, divise da 21 colonne di spoglio per lato, sormontate da capitelli ionici, sopra le quali correva un architrave continuo. La navata centrale era illuminata da 21 finestre per lato (la metà delle quali furono successivamente tamponate) ed era sormontata da una copertura lignea con capriate a vista.

I mosaici

La navata venne decorata sempre in età sistina da mosaici, entro pannelli collocati sotto le finestre, in origine racchiusi da edicolette, con un ciclo di storie del Vecchio Testamento: storie di Abramo, Giacobbe, Isacco sul lato sinistro, Mosè e Giosuè su quello destro. Degli originari quarantadue riquadri, molti dei quali presentavano due scene sovrapposte, ne restano 27 (12 sulla parete sinistra e 15 sulla destra) dopo le distruzioni dovute alle aperture laterali settecentesche.

Si tratta certamente del primo ciclo figurativo apparso in una chiesa romana. Le storie veterotestamentarie mostrano indubbie tangenze stilistiche con il cosiddetto “Virgilio Vaticano”, manoscritto dell’Eneide conservato nella Biblioteca apostolica vaticana, e con la Bibbia detta Itala di Quedlinburg, ma sono stati notati anche legami con l’iconografia imperiale, secondo un processo di appropriazione dell’immagine e degli attributi visivi imperiali tipico dell’arte paleocristiana. Questi rapporti, nonché la disposizione non sempre cronologica delle scene e del tutto funzionale a ogni singolo episodio e a rispondenze ritmiche all’interno della serie, sottendono l’utilizzo di un piano figurativo appositamente studiato, forse addirittura dal giovanissimo Leone non ancora papa.

Queste storie presentano caratteri stilistici legati alla pittura tardoantica (una tradizione seicentesca che inizia con Ciampini voleva addirittura che fossero state realizzate nel IV secolo): ombreggiature, sfumature con passaggi di colore graduali, realistica raffigurazione dello spazio e dei volumi, macchie di colore, fondo cangiante in relazione al contrasto con le figure.

Più ieratiche e ritmicamente dilatate sono le scene dei mosaici dell’arco trionfale, rappresentanti alcuni momenti dell’Infanzia di Cristo. Altre tratte dai vangeli (AnnunciazionePresentazione al TempioAdorazione dei MagiIncontro con il governatore AfrodisioStrage degli innocentiRe Magi presso Erode). In particolare, l’incontro con il governatore egiziano Afrodisio davanti alla città di Sotine, oltre ad essere un pendant visivo all’adorazione dei Magi sul lato opposto, è un episodio attestato solo in Santa Maria Maggiore, e tratto dai Vangeli apocrifi: Gesù, durante la fuga in Egitto, entra con i genitori nella città di Sotine, gli idoli pagani immediatamente cadono a terra e Afrodisio saluta il Bambino come Redentore. Alla sommità dell’arco, il Trono dell’Etimasia con una Croce, affiancato dai santi Pietro e Paolo, e sormontato dal Tetramorfo. Sotto compare un pannello, con l’iscrizione Xystus episcopus plebi Dei (Sisto vescovo al popolo di Dio), in lettere d’oro su fondo azzurro, che è la dedica del papa fondatore della basilica. Ai lati, le due città sante, Gerusalemme e Betlemme, all’interno delle quali si prolungano illusionisticamente i colonnati della basilica, a indicare in essa quasi un preludio alla Gerusalemme celeste.

Il disegno programmatico di questa decorazione sistina intendeva perciò riaffermare la divinità del Cristo incarnato nella Vergine, come ribadito nel recente Concilio di Efeso (431), e allo stesso tempo il primato della Chiesa romana nell’ecumene cristiano. La disposizione stessa delle scene veterotestamentarie, la scelta degli episodi dell’arco trionfale, la priorità delle rispondenze visive rispetto a quelle cronologiche, tutto converge nell’individuazione di una sorta di teologia visiva, di manifesto simbolico figurativo, che rappresentava una novità nel quadro della Roma di quegli anni cruciali del V secolo.

Gli interventi dal XII al XIV secolo

Nuova abside e mosaici

Risalivano alla metà del XII secolo, al tempo di papa Eugenio III, il pavimento cosmatesco, rifatto nei restauri del Fuga, e un portico addossato alla facciata (rimaneggiato sotto papa Gregorio XIII e poi distrutto nel Settecento per far posto alla nuova fronte barocca del Fuga).

La basilica fu oggetto di importanti interventi in vista del primo giubileo dell’anno 1300; in particolare durante il pontificato di Niccolò IV venne aggiunto il transetto e fu creata una nuova abside che venne decorata con ricchi mosaici realizzati da Jacopo Torriti (Incoronazione di Maria e Storie di Maria), datati 1295. Si tratta della prima Incoronazione della Vergine absidale. Seduta sullo stesso fastoso Trono e accanto al Redentore, Maria è abbigliata con abiti regali, tipici del modulo bizantino dell’epoca e anche specifici del culto mariano a Roma. Questo mosaico, sintesi fra modi orientaleggianti e spirito artistico romano, conclude una millenaria stagione di arte cristiano-bizantino-romana.

Alla stessa epoca risalgono i mosaici della facciata, opera di Filippo Rusuti, la cui commissione è da riferire al cardinale Pietro Colonna, e la realizzazione della cappella del Presepe di Arnolfo di Cambio (distrutta per far posto alla Cappella Sistina). Le figure superstiti del presepe sono oggi esposte nel museo della basilica.

Campanile

Il campanile romanico è alto 75 metri, il più alto di Roma. Costruito tra il 1375-1376, è stato, nei secoli, rialzato e completato sotto il cardinale Guglielmo d’Estouteville, arciprete della basilica fra il 1445 e il 1483, a cui si deve anche, per fini statici, la grossa volta a crociera di divisione tra la parte inferiore e il primo piano. Nei primi anni dell’Ottocento fu munito di un orologio. Vi troviamo ordini di doppie monofore e, nei piani successivi, bifore.

Il campanile accoglie un concerto di 5 antiche campane fuse da vari fonditori e epoche diverse.

Il campanile conservava anche la campana donata da Alfano, camerlengo di Callisto II (1119-1124), che, rimossa sotto Leone XIII, si conserva oggi nei Musei Vaticani.

La campana maggiore è detta “La Sperduta” e suona appena dopo le 21 ricordando una leggenda che risale al XVI secolo. Si racconta infatti che una pastorella, secondo alcune versioni cieca, si era persa nei prati che a quei tempi circondavano l’Esquilino, pascolando il suo gregge. Calata ormai la sera furono fatte suonare le campane della basilica di Santa Maria Maggiore perché i rintocchi la guidassero a casa. Sembra poi che effettivamente lei non tornò mai più, ma le campane continuano a chiamarla. Da qui il rito serale detto appunto della “Sperduta”. Secondo un’altra tradizione a perdersi, invece di una pastorella, fu una pellegrina (o un distinto viaggiatore, secondo altre fonti) che, venendo a Roma a piedi, aveva perso la strada e aveva quindi pregato la Vergine chiedendo il suo aiuto. Subito udì i rintocchi della campana, seguendo i quali raggiunse la Basilica e quindi la salvezza. In ricordo del fatto la pellegrina lasciò una rendita affinché alle 2 di notte (trasformate alle 9 di sera nei tempi recenti) venisse perpetuamente suonata la campana.

Gli interventi del XV secolo: il soffitto d’oro della navata

Nel Quattrocento il cardinale Guglielmo d’Estouteville (1403-1483) fece coprire con volte le navate laterali, mentre la navata centrale fu decorata da un ricco soffitto a cassettoni realizzato su progetto attribuito all’architetto Giuliano da Sangallo, su commissione del cardinale Rodrigo Borgia, salito al soglio pontificio col nome di Alessandro VI. Il soffitto cassettonato, riccamente intagliato, presenta al centro lo stemma araldico del pontefice, riconoscibile per la presenza del toro. Ogni elemento scolpito ha dorature a foglia d’oro che, secondo la tradizione, furono realizzate con il primo oro giunto dalle Americhe (Perù) e donato dal sovrano spagnolo alla Chiesa.

Gli interventi del XVI secolo: la cappella Sistina

Sisto V, grande protagonista della trasformazione urbanistica di Roma alla fine del XVI secolo, scelse la basilica come sede di fastosa sepoltura per sé medesimo, per la propria famiglia e per il suo grande protettore papa Pio V. A questo scopo incaricò il suo architetto Domenico Fontana, nel 1585, di erigere una nuova cappella monumentale, dedicata al Santissimo Sacramento, memorabile – oltre che per gli arredi e i materiali impiegati – perché integrava in sé l’antico oratorio del Presepe, con le sculture di Arnolfo, le connesse reliquie della mangiatoia e i rilievi realizzati dallo scultore Niccolò Fiammingo.

L’intero piccolo ambiente venne così spostato dalla sua posizione originaria (come annesso della navata destra) al centro della nuova cappella sotto l’altare, in una nuova cripta dotata di deambulatorio, come una vera e propria confessione. Per l’ornamentazione della cappella furono fra l’altro utilizzati marmi policromi e colonne provenienti dal Settizonio, mentre la decorazione cosmatesca dell’antica cappella venne trasferita a rivestire l’altare della nuova confessione sotto l’altare papale, il quale è sormontato da un prezioso ciborio, in cui sono scolpiti quattro angeli in bronzo dorato (di Sebastiano Torrigiani) che sostengono il modello della cappella medesima. Sisto V fece anche eseguire un ciclo di affreschi sulle murature che tamponarono alcune delle finestre paleocristiane.

Alla fine del secolo risale la Cappella Sforza eseguita su disegno di Michelangelo Buonarroti.

Gli interventi del XVII secolo: la cappella Paolina

Nel giugno 1605 papa Paolo V Borghese decise di edificare in basilica la cappella di famiglia, a croce greca e delle dimensioni di una piccola chiesa. La parte architettonica venne affidata a Flaminio Ponzio, vincolato nella pianta dalla speculare cappella di papa Sisto V. Completata la struttura nel 1611, la parte decorativa, con marmi colorati, ori e pietre preziose, venne terminata alla fine del 1616. Alle Pareti laterali sono poste le due tombe dei papi Clemente VIII e Paolo V, racchiuse in un’architettura ad arco trionfale con al centro la loro statua e bassorilievi pittorici.

La parte scultorea venne realizzata tra il 1608 e il 1615 da un eterogeneo gruppo di artisti: Silla Longhi, che ebbe la parte maggiore del lavoro realizzando le due statue papali, Ambrogio Buonvicino, Giovanni Antonio Paracca detto il Valsoldo, Cristoforo Stati, Nicolas Cordier, Ippolito Buzio, Camillo Mariani, Pietro Bernini, Stefano Maderno e Francesco Mochi.

La direzione del lavoro pittorico venne affidata al Cavalier d’Arpino che realizzò i pennacchi della cupola e la lunetta sopra l’altare. Ludovico Cigoli realizzò la cupola mentre Guido Reni fu l’autore principale delle singole figure di santi alle quali posero mano anche il Passignano, Giovanni Baglione e Baldassare Croce; successivamente il Lanfranco, secondo il Bellori, intervenne trasformando un angelo nella Vergine.

Sull’altare della cappella è l’icona della Salus populi romani, immagine dipinta della Vergine del tipo romano orientalizzante (secoli XII-XIII).

L’esterno dell’abside, rivolto verso piazza dell’Esquilino, è opera di Carlo Rainaldi, che presentò a papa Clemente IX un progetto meno dispendioso di quello del contemporaneo Gian Lorenzo Bernini. Questo avrebbe fra l’altro comportato la distruzione dei mosaici dell’abside, che nel nuovo assetto sarebbe arrivata quasi all’altezza dell’obelisco retrostante.

Tra i monumenti sepolcrali si annovera quello di Giovan Pietro Moretti, eseguito dal 1647 al 1649 su disegno di Domenico de Rossi dal maestro scalpellino Alessandro Montonese.

Gli interventi dal XVIII secolo ai nostri giorni

Gli ultimi interventi di grande rilievo sull’esterno della basilica furono realizzati durante il pontificato di Benedetto XIV, che commissionò a Ferdinando Fuga il rifacimento della facciata principale, caratterizzata da un portico e da una loggia per le benedizioni, che fu eseguito tra il 1741 e il 1743. Al Fuga si deve anche il baldacchino della confessione, eretto su colonne di porfido.

La Confessione sotto l’altar maggiore fu voluta da papa Pio IX e realizzata da Virginio Vespignani. Qui, in un reliquiario di cristallo realizzato da Luigi Valadier sono state riposte le reliquie della culla della natività.

La Sagrestia dei Canonici e l’Aula Capitolare furono restaurate sotto la direzione dell’architetto del Capitolo Giovanni Battista Benedetti tra il 1863 e il 1864.

Vennero fatte modellare le porte centrali della Basilica da Ludovico Pogliaghi e fatte fondere dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze

Risale poi al 2001 la benedizione da parte di papa Giovanni Paolo II della Porta Santa, opera dello scultore contemporaneo Luigi Enzo Mattei.

Il 5 agosto 2006, anniversario della fondazione della basilica, veniva inaugurata da parte del cardinale Bernard Francis Law la Porta del Rosario creata dallo scultore bergamasco Mario Toffetti.

In Santa Maria Maggiore è sepolto Gian Lorenzo Bernini, nella tomba di famiglia.

Museo della basilica

Nel museo della basilica di Santa Maria Maggiore è attualmente conservata l’opera scultorea che per tanto tempo è stata considerata il presepio più antico fatto con statue. Si tratta di un’Adorazione dei Magi in pietra, comprensiva delle parziali figure del bue e dell’asino.

Tuttavia un’attenta osservazione dei gruppi scultorei denota che in realtà non si tratta di vere statue a tutto tondo, bensì di altorilievi scolpiti da blocchi di pietra, il cui dorso è visibilmente rimasto piatto, eccettuata la figura del Mago inginocchiato, che risulta essere stata completata successivamente a tutto tondo (cioè scolpendo anche il dorso) da un autore successivo ad Arnolfo di Cambio, così come è accaduto alla figura della Vergine col Bambino, che non è l’originale scolpita da Arnolfo. Le più recenti indagini, infatti, hanno evidenziato che essa sarebbe stata modificata in epoca rinascimentale, scolpendo e modificando la figura originale della Vergine di Arnolfo.

Fu il papa Niccolò IV che nel 1288 commissionò ad Arnolfo di Cambio una raffigurazione della “Natività”, che egli terminò di scolpire in pietra nel 1292. La tradizione di questa rappresentazione sacra ha origini sin dal 432 quando papa Sisto III (432-440) creò nella primitiva basilica una “grotta della Natività” simile a Betlemme. La basilica prese la denominazione di Santa Maria ad praesepem (dal latino: praesepium = mangiatoia). I numerosi pellegrini che tornavano a Roma dalla Terra santa, portarono in dono preziosi frammenti del legno della Sacra Culla (cunabulum) oggi custoditi nella teca dorata della Confessione.

Dopo una chiusura operata dal 2017, il giorno 7 marzo 2022 sono riprese le visite presso la Loggia delle Benedizioni, la Sala dei Papi e annessa la Scala del Bernini, grazie a nuovo personale interno della Basilica tratto dalla Fraternitas del Capitolo, così che i suddetti ambienti sono divenuti parte di un percorso definito in un nuovo assetto del Museo quale Polo Museale Liberiano, sotto la guida di un nuovo direttore.

Scavi archeologici

Tra il 1966 e il 1971, per risolvere problemi di umidità, venne effettuata una campagna di scavi sotto il pavimento della basilica, condotta esclusivamente lungo le navate laterali. Rimosso l’interro che li colmava, vennero rinvenuti numerosi ambienti di II e III secolo, attualmente musealizzati ed accessibili dal museo della basilica.

Il complesso, sulla cui destinazione originaria sono state fatte varie ipotesi, ma nulla che avesse attinenza con la basilica liberiana, si presume privato e quindi non da identificare con il Macellum Liviae, nelle cui prossimità le fonti attestano la primitiva basilica liberiana. Esso si compone di molti ambienti articolati attorno ad un vasto cortile, a vari livelli e di non facile interpretazione, anche perché ascrivibili a diversi periodi e variamente obliterati da successive murature realizzate in tempi diversi. Lungo il percorso si incontrano: tracce di un piccolo stabilimento termale, con mosaici e intercapedini per il riscaldamento; l’esposizione delle tegole antiche; tracce ben conservate di affreschi geometrici decorativi; tracce di affreschi relativi ad un calendario agricolo (che costituiscono forse il reperto più noto del sito); un piccolo ambiente semicircolare con nicchie, resti di affreschi e di un pavimento in opus sectile su suspensura, presumibilmente pertinente all’impianto termale.

 

La basilica papale di San Paolo fuori le mura è una delle quattro basiliche papali di Roma, la più grande dopo quella di San Pietro in Vaticano.

Esterno della Basilica di San Paolo fuori le mura

Sorge lungo la via Ostiense, nell’omonimo quartiere, vicino alla riva sinistra del Tevere, a circa 2 km fuori dalle mura aureliane (da cui il suo nome), uscendo dalla Porta San Paolo. Si erge sul luogo che la tradizione indica come quello della sepoltura dell’apostolo Paolo (a circa 2,6 km dal luogo, detto “Tre Fontane”, in cui subì il martirio e fu decapitato); la tomba del santo si trova sotto l’altare papale. Per questo, nel corso dei secoli, è stata sempre meta di pellegrinaggi; dal 1300, data del primo Anno Santo, fa parte dell’itinerario giubilare per ottenere l’indulgenza e vi si celebra il rito dell’apertura della Porta Santa. Fin dall’VIII secolo la cura della liturgia e della lampada votiva sulla tomba dell’apostolo è stata affidata ai monaci benedettini dell’annessa abbazia di San Paolo fuori le mura.

L’intero complesso degli edifici gode del beneficio dell’extraterritorialità della Santa Sede, pur trovandosi nel territorio della Repubblica Italiana. La Basilica è Istituzione collegata alla Santa Sede, inclusa l’annessa abbazia. Su tutto il Complesso extraterritoriale la Santa Sede gode di piena ed esclusiva giurisdizione nonché del divieto, da parte dello Stato Italiano, di attuare espropriazioni o imporre tributi.

Il luogo rientra nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO dal 1980.

Storia

Prima della basilica

L’area in cui sorge la basilica di San Paolo fuori le mura, al 2º miglio della via Ostiense, era situata presso l’argine del Tevere dove esisteva un’area portuale nota ora come “Darsene di Pietra Papa”, attiva tra I° secolo a.C. e II d.C., costituendo un nodo di un antico reticolo viario (via Ostiense, via Laurentina, via che conduceva alla via Appia, via Grotta Perfetta e oltre l’argine l’antica via Campana). Nelle immediate vicinanze, come emerso dalle ispezioni archeologiche anteriori alla costruzione dell’ospedale Bambino Gesù, erano presenti resti di una proprietà di pertinenza di una villa romana di circa 1100 mq esistente tra il I sec. a.C. e il III d.C. forse appartenente alla famiglia dei Calpurni Pisoni.

Una antica immagine della Basilica di San Paolo

Il territorio era inoltre interessato da un vasto cimitero subdiale, in uso costante nell’era coincidente con l’attività del vicino porto fluviale, dal I secolo a.C. al III secolo d.C. ma sporadicamente riutilizzato, soprattutto per la costruzione di mausolei, fino alla tarda antichità. Era un cimitero esteso e comprendeva diverse tipologie di tombe, dai colombari di famiglia a piccole cappelle funerarie spesso affrescate e decorate con stucchi. La quasi totalità di quest’area sepolcrale è ancora sepolta (per la gran parte sotto il livello del vicino Tevere), ed è stimata estendersi sotto tutta l’area della basilica e della zona circostante. Una minima ma significativa parte di essa è visibile lungo la Via Ostiense, appena fuori del transetto nord della basilica

Dalla sepoltura di Paolo a Costantino

È nell’area dove sorge l’attuale basilica, un non meglio identificato Praedium Lucinae posto lungo la via Ostiense, che una consolidata tradizione cristiana afferma che Paolo di Tarso grazie all’intervento della matrona Lucina, sia stato sepolto all’interno della proprietà di costei, dopo aver subito il martirio per decapitazione non lungi da questo luogo, presso la località nota come Acque Salvie oggi Tre Fontane, dove sorge l’omonima Abbazia.

Sia Paolo che Pietro sarebbero caduti vittime della persecuzione neroniana seguita al grande incendio di Roma del 64. Secondo alcune teorie i due sarebbero stati martirizzati proprio nel 64, dopo l’incendio. Secondo Eusebio di Cesarea, invece, i due sarebbero stati uccisi nel 67. Come per il sepolcro di Pietro, anche quello di Paolo divenne immediatamente oggetto di venerazione per la nutrita comunità cristiana di Roma che relativamente presto eresse, sulle tombe dei due, dei piccoli monumenti funerari. Eusebio di Cesarea riporta nella sua Storia ecclesiastica un passo di una lettera di Gaio, presbitero sotto papa Zefirino, che cita i due trofei posti sopra le tombe degli apostoli, uno sul colle Vaticano e l’altro lungo la Via Ostiense.

Il luogo, meta di pellegrinaggi ininterrotti dal I secolo, venne monumentalizzato, come testimoniato dal Liber Pontificalis, dall’imperatore Costantino, con la creazione di una piccola basilica, di cui si conserva solo la curva dell’abside, visibile nei pressi dell’altare centrale della basilica attuale ed orientato in direzione opposta all’attuale. Doveva trattarsi di un piccolo edificio probabilmente a tre navate, che ospitava in prossimità dell’abside la tomba di Paolo, ornata da una croce dorata.

La basilica di Costantino venne consacrata il 18 novembre 324 durante il pontificato di Silvestro I, e si inserisce nella serie di basiliche costruite dall’imperatore dentro ma soprattutto fuori della città, ed è la seconda fondazione costantiniana in ordine di tempo, dopo la cattedrale dedicata al Santo Salvatore (l’attuale basilica di San Giovanni in Laterano).

La basilica dei Tre Imperatori

La basilica di San Paolo costantiniana risultò nel tempo inadeguata per la folla dei pellegrini che vi si recavano; essa era molto più piccola rispetto alla coeva basilica di San Pietro. Venne quindi ricostruita completamente sotto il regno congiunto degli imperatori Teodosio I, Graziano e Valentiniano II (391), e tale struttura rimarrà sostanzialmente intatta fino al disastroso incendio del 1823.

La costruzione venne affidata a Ciriade professor mechanicus che costruì un edificio a cinque navate, con 80 colonne e un quadriportico che si differenziava dal precedente, oltre che per le dimensioni anche per l’opposto orientamento dell’abside, che la basilica mantenne anche dopo l’incendio del 1823. La basilica fu consacrata da papa Siricio nel 390 e venne completata sotto l’imperatore Onorio nel 395.

A papa Simmaco si deve la ristrutturazione dell’abside pericolante e la realizzazione di “habitacula”, delle dimore per i pellegrini più poveri, rinnovate poi da papa Sergio I.

La basilica da Gregorio I al 1823

Sotto il pontificato di papa Gregorio I la basilica venne modificata drasticamente. Il livello pavimentale venne rialzato, soprattutto nel settore del transetto, per realizzare l’altare direttamente sopra la tomba di Paolo (in precedenza l’altare doveva trovare la sua collocazione presso la navata centrale, mentre sulla tomba vi era un basso monumento, racchiuso da transenne marmoree). Un’operazione del tutto analoga fu compiuta per la basilica di San Pietro. L’esito fu quello di poter realizzare anche una Confessione, cioè un piccolo accesso posto sotto il livello del transetto, dal quale si poteva raggiungere la tomba dell’apostolo.

Ad Adriano I si deve il rifacimento del pavimento dell’atrio, e al suo successore Leone III la collocazione del primo pavimento in marmo. Nel IX secolo, per preservare la basilica, Giovanni VIII la fa circondare da una cinta di mura fortificata con torri, creando un vero e proprio borgo soprannominato “Giovannipoli”. Nell’XI secolo viene eretto il campanile accanto alla navata nord dalla parte della facciata. La basilica si impreziosì poi di un ciborio, realizzato nel 1285 da Arnolfo di Cambio, della struttura del chiostro e di un candelabro per il cero pasquale.

Sotto Clemente VIII, nel 1600, fu costruito l’altare maggiore e nel 1724 Benedetto XIII fece costruire la Cappella del Crocifisso, oggi intitolata al Santissimo Sacramento, per accogliere un crocifisso ligneo del XIV secolo, attribuito a Tino di Camaino.

L’incendio del 1823

La notte del 15 luglio 1823, nella basilica si sviluppò un incendio che durò cinque ore circa, distruggendone una gran parte. Il rogo fu provocato dalla negligenza di uno stagnaio, che, dopo aver aggiustato le grondaie del tetto della navata centrale, dimenticò acceso il fuoco che aveva usato per il lavoro. Un buttero, Giuseppe Perna, che pascolava il bestiame nelle vicinanze, lanciò l’allarme quando l’incendio era comunque già avviato. Avvisati da Perna, i Vigili del Fuoco, al comando del marchese Origo, arrivarono dopo circa due ore. Dopo l’incendio rimasero in piedi poche strutture. Il transetto miracolosamente aveva retto al crollo di parte delle navate e resistito alle altissime temperature dell’incendio, preservando in buona parte il ciborio di Arnolfo di Cambio ed alcuni mosaici. Si salvarono anche l’abside, l’arco trionfale, il chiostro e il candelabro, ma si dovettero ricostruire gran parte delle strutture murarie. Andò invece irrimediabilmente distrutto lo splendido ciclo di affreschi nella navata centrale di Pietro Cavallini: a ciò si aggiunse l’abbattimento del trecentesco campanile, rimasto indenne dalle fiamme. In quell’epoca il dibattito sulle varie teorie del restauro era già piuttosto avanzato rispetto alla scarsa attenzione del passato. Durante la notte del 15 luglio, Pio VII, che era caduto il 6 luglio fratturandosi un femore, era in agonia e non gli venne comunicata la notizia dell’incendio. Morirà il 20 agosto.

La basilica attuale

La ricostruzione fu voluta da Leone XII, che il 25 gennaio 1825 emanò l’enciclica Ad plurimas nella quale invitava i vescovi ad una raccolta di offerte presso i fedeli per la ricostruzione. All’appello rispose buona parte del mondo cristiano, con offerte generose tra le quali quelle del Re di Sardegna, della Francia, delle Due Sicilie, dei sovrani dei Paesi Bassi, dello zar Nicola I — che offrì i blocchi di malachite dei due altari laterali del transetto — e del viceré d’Egitto che inviò le colonne d’alabastro. Proprio il dono dello zar fece sì che non si potesse più collocare nella chiesa l’altare a cui avevano lavorato Camillo Rusconi e Luigi Mirri, che venne così donato da Pio IX alla cattedrale di Santa Croce a Forlì in occasione di un suo viaggio in quella città, nel 1857.

I lavori, diretti dall’architetto Pasquale Belli (che lavorava su un progetto iniziale di Giuseppe Valadier) poterono iniziare l’anno successivo, con la demolizione dell’Arco di Galla Placidia e il reinserimento del quadriportico. L’attuale aspetto della basilica è però dovuto, in massima parte, all’architetto Luigi Poletti. Una prima consacrazione avvenne il 5 ottobre 1840 ad opera di Gregorio XVI, che dedicò solennemente l’altare della Confessione, ma l’intera basilica venne consacrata da Pio IX il 10 settembre 1854, alla presenza di un gran numero di cardinali e di vescovi presenti a Roma per la proclamazione del Dogma dell’Immacolata Concezione.

I lavori comunque andarono oltre, entro il 1874 furono completati i mosaici della facciata, mentre solo nel 1928 fu aggiunto il vasto quadriportico esterno, disegnato da Guglielmo Calderini e Giuseppe Sacconi.

Nel dicembre 2006 furono ultimati alcuni lavori di ristrutturazione nella zona davanti all’altare papale, più bassa rispetto al pavimento della basilica: con la demolizione dell’altare che era presente in questa zona, è stato reso in parte visibile il sarcofago marmoreo che si trova sotto l’altare papale e che, secondo la tradizione, contiene i resti mortali dell’apostolo Paolo. È anche visibile la traccia della piccola abside appartenente alla chiesa più antica e orientata in senso contrario rispetto alla basilica attuale. All’interno della basilica sono stati inumati a tutt’oggi solo due papi: san Felice III e Giovanni XIII.

Descrizione

L’intera basilica, lunga 131 m, larga 65 m, alta 29,70 m. è per grandezza la seconda delle quattro basiliche patriarcali di Roma.

Esterno

Quadriportico

Il corpo della basilica è preceduto dal cortile quadriporticato (70 m di lato) realizzato tra il 1890 e il 1928 da Giuseppe Sacconi e Guglielmo Calderini; il progetto iniziale era stato redatto da Luigi Poletti.

Mentre il nartece, ovvero il portico che costeggia la facciata della basilica, ha una sola fila di colonne, i due laterali hanno una doppia fila, mentre quello che si trova sul lato opposto presenta una tripla fila di colonne, più alte e robuste rispetto alle altre. Le pareti laterali sono decorate con medaglioni raffiguranti i simboli degli apostoli e alcuni discepoli di San Paolo. Nei medaglioni del lato d’ingresso, invece, sono raffigurati i dodici apostoli.

Al centro del cortile si trova la statua di San Paolo, realizzata in marmo di Carrara da Giuseppe Obici.

Le cancellate sono dell’architetto Gino Benigni, vincitore di un apposito concorso nel 1913, e furono poste in opera nel 1926.

Il quadriportico ha subito significativi danneggiamenti in seguito al terremoto del 30 ottobre 2016.

Facciata

La facciata sopra il colonnato è decorata con dei mosaici eseguiti fra il 1854 e il 1874 su cartoni di Filippo Agricola e Nicola Consoni che si ispirarono per quanto possibili a quello originale del X secolo. Il mosaico è suddiviso in tre fasce. In quella inferiore, su sfondo oro, alternati alle finestre sono raffigurati i quattro profeti dell’Antico Testamento: Isaia, Daniele, Geremia ed Ezechiele. Sopra di essi, prima del cornicione, vi è una fascia con l’Agnus Dei sul monte del paradiso da cui sgorgano i quattro fiumi simboleggianti i Vangeli, nei quali si dissetano dodici agnelli, che simboleggiano gli apostoli. Nel timpano triangolare, infine, vi è raffigurato Cristo benedicente posto in mezzo a San Paolo e San Pietro e la striscia centrale

La porta di destra, risalente all’XI secolo è la più antica: divisa in 54 pannelli nei quali sono incise scene di vita di Gesù e dei suoi apostoli, è chiamata “porta bizantina” e fungeva da ingresso principale fino al 1967 quando è stata invece scelta per chiudere dall’interno il vano della Porta Santa. Quest’ultima, opera di Enrico Manfrini, misura 3,71 m in altezza e 1,82 m in larghezza, illustra sull’esterno il tema della Trinità.

Campanile

Alle spalle dell’abside, in posizione centrale, si eleva la torre campanaria, costruita su progetto di Luigi Poletti e terminata nel 1860. In stile neoclassico, fu oggetto di aspre critiche al di fuori dello Stato Pontificio. Il campanile si articola in cinque ordini, dei quali i tre inferiori a pianta quadrata; di questi quello più in alto presenta un finto loggiato tuscanico e si raccorda alla cella campanaria superiore (corinzia, a pianta circolare, che costituisce l’ultimo piano del campanile) con un ordine intermedio ottagonale con colonne ioniche. La copertura è costituita da una cupoletta.

La torre ospita, nei suoi vari livelli, un concerto di 7 bronzi a slancio, fuso nel 1959 dalla Pontificia fonderia di campane Marinelli di Agnone.

Interno

Navate

La basilica di San Paolo fuori le Mura presenta una pianta a croce latina; l’aula è divisa in cinque navate, separate da quattro file di 20 colonne monolitiche di granito di Montorfano, e prive di cappelle laterali. Il rivestimento delle pareti, come quello del pavimento, è in marmi policromi che compongono motivi geometrici. Lungo le due navate laterali più esterne, il transetto e la navata centrale si aprono i grandi finestroni ad arco a tutto sesto, chiusi con sottilissime lastre di alabastro sorrette da elaborate intelaiature in ferro battuto. Nella fascia immediatamente sopra gli archi che dividono le navate, vi è la serie dei tondi contenenti i ritratti di tutti i pontefici, da San Pietro fino a papa Francesco. Realizzati con la tecnica del mosaico e su sfondo oro, furono iniziati nell’anno 1847, durante il pontificato di Pio IX. L’idea di questa serie di tondi ha le radici nell’antica basilica, poiché erano presenti anche in quest’ultima seppure dipinti. Attualmente i tondi sono 265 e i ritratti sono di fantasia; solo i papi a partire dal XVI sec. mostrano fattezze realistiche. Poiché secondo una leggenda Cristo ritornerà quando non vi sarà più spazio sufficiente per un nuovo medaglione, sotto Giovanni Paolo II essendovi solo ancora tre medaglioni liberi, furono realizzati altri 25 tondi, per cui attualmente vi sono 26 medaglioni liberi.

Nella navata centrale, ai lati della scalinata d’accesso al presbiterio, vi sono due statue, raffiguranti rispettivamente San Pietro, di Salvatore Ravelli, e San Paolo, di Ignazio Jacometti.

Arco trionfale

L’arco trionfale, ovvero l’arco che separa il transetto dalla navata centrale, è detto “di Galla Placidia”, dal nome della committente dell’opera, che fece realizzare la decorazione musiva, che lo ricopre tuttora, durante il pontificato di Leone I.

Transetto e cappelle laterali

Il transetto riprende nella decorazione lo schema della navata centrale: le pareti sono decorate da marmi policromi e scandite da lesene corinzie nella fascia inferiore, mentre in quella superiore continuano gli affreschi sulla vita di San Paolo alternati ai finestroni in alabastro. Alle due testate vi sono due altari gemelli, realizzati con la malachite donata dallo zar di Russia Nicola I in stile neoclassico. I due altari sono dedicati alla Madonna (altare di destra, con pala raffigurante l’Incoronazione della Vergine) e a San Paolo (altare di sinistra, con pala raffigurante la Conversione di San Paolo). Sul transetto si aprono quattro cappelle, due a destra e due a sinistra dell’abside, in corrispondenza alle relative navate laterali.

Ciborio

Al centro del transetto della basilica, sotto l’arco trionfale, si trova il ciborio, opera mirabile in stile gotico di Arnolfo di Cambio che lo realizzò per volere dell’abate Bartolomeo nel 1285 in collaborazione con un tal socius Petrus (ipoteticamente identificato con Pietro di Oderisio). Realizzato in marmo, è costituito da un’edicola gotica sorretta da quattro colonne corinzie in porfido rosso (sostituite nei restauri ottocenteschi) che ha alla base, in corrispondenza dei lati, quattro cuspidi che si aprono verso l’interno con degli archi a sesto acuto.

Abside

Una delle strutture meno colpite dall’incendio del 1823 è stata l’ampia abside semicircolare, posta in asse con la navata centrale oltre il transetto. Al centro, vi è l’imponente cattedra, sopra la quale siede il papa quando celebra nella basilica. Il catino absidale è completamente decorato con il pregevole mosaico opera realizzata durante il pontificato di Onorio III (1216-1227) con l’aiuto di artigiani che avevano collaborato ai mosaici di San Marco a Venezia.

L’insieme è dominato dalla figura del Redentore assiso in trono con il libro dei Vangeli aperto nella mano sinistra ed in atto di benedire. Ai suoi lati, vi sono i santi Pietro e Paolo alla sua destra, affiancati dalle figure dei santi Andrea apostolo e Luca evangelista, della medesima grandezza dei primi. Ai piedi del trono, è raffigurato Onorio III in abiti pontificali che rende omaggio a Cristo; esso è raffigurato in scala minore rispetto agli altri personaggi di questa parte di mosaico (articolo parzialmente estrapolato dal sito Wikipedia e le immagini da Google).

 

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