27^ EMISSIONE 2023, Ministero delle Imprese e del Made in Italy, del 27 maggio, di un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica “il senso civico” dedicato a DON LORENZO MILANI, nel 100° anniversario della nascita

27^ EMISSIONE 2023, Ministero delle Imprese e del Made in Italy, del 27 maggio, di un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica “il senso civico” dedicato a DON LORENZO MILANI, nel 100° anniversario della nascita, dal valore indicato B, corrispondente ad €1.20

  • dentellatura:  11 effettuata con fustellatura
  • dimensioni francobollo: 30 x 40 mm.
  • stampa: in rotocalcografia
  • tipo di cartabianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente; grammatura: 90 g/mq; supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq; adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco)
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 540.000
  • valoreB
  • colori: quattro
  • bozzettistaT.Trinca
  • num. catalogo francobolloMichel ______ YT _______ UNIF ________
  • Il francobollo: il francobollo riproduce un ritratto di Don Lorenzo Milani, sacerdote e maestro, che pensò la scuola e l’istruzione come strumento per dare voce agli ultimi, formare cittadini consapevoli e abbattere le diseguaglianze. Completano il francobollo la legenda “DON LORENZO MILANI”, le date “1923 – 1967”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
  • Nota: la foto raffigurante Don Lorenzo Milani è riprodotta per gentile concessione della Fondazione Don Lorenzo Milani – Firenze.

Se sei interessato all’acquisto di questo francobollo lo puoi acquistare al prezzo di € 1,80; basta inviare una richiesta alla email: protofilia1@gmail.com

Don Lorenzo Milani, nome completo Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti (Firenze, 27 maggio 1923 – Firenze, 26 giugno 1967), è stato un presbitero, scrittore, docente ed educatore cattolico italiano.

Una foto del giovane sacerdote Lorenzo Milani

La sua figura di prete è legata all’esperienza didattica rivolta ai bambini poveri nella disagiata e isolata scuola di Barbiana, nella canonica della chiesa di Sant’Andrea. I suoi scritti innescarono aspre polemiche, coinvolgendo la Chiesa cattolica, gli intellettuali e politici dell’epoca; Milani fu un sostenitore dell’obiezione di coscienza opposta al servizio militare maschile (all’epoca obbligatorio in Italia); per tale motivo fu processato per apologia di reato. In primo grado venne assolto “perché il fatto non costituisce reato”, mentre in appello morì prima che si giungesse a sentenza.

La chiesa e la canonica dove venne svolta “la Scuola di Barbiana”

Il suo libro Esperienze Pastorali, inizialmente dotato dell’imprimatur ecclesiastico, fu oggetto di un decreto del Sant’Uffizio del 1958 contenente la proibizione di stampa e di diffusione e, solo nel 2014, dopo 56 anni, la ristampa del libro non ha più avuto proibizione da parte della Chiesa.

Biografia

Milani nacque da Albano Milani (Milani Comparetti) e da Alice Weiss, ebrea triestina. Era il secondogenito di tre figli, preceduto da Adriano e seguito da Elena. Il padre, un chimico con la passione per la letteratura, si dedicava alla gestione dei suoi poderi di Montespertoli (Firenze), comprendenti la villa nella frazione Gigliola e nei pressi del castello di Montegufoni. Era figlio di Luigi Adriano Milani, archeologo e numismatico  che aveva sposato Laura Comparetti, figlia del filologo Domenico e della pedagogista Elena Raffalovich. Da queste illustri parentele i Milani avevano ereditato libri, opere d’arte e reperti archeologici.

La madre proveniva da una famiglia di ebrei boemi che si erano trasferiti a Trieste per lavoro. Anch’ella poteva vantare un notevole bagaglio culturale: allieva di James Joyce, era cugina di Edoardo Weiss, che la introdusse agli studi di Sigmund Freud. I genitori, che si dichiaravano entrambi agnostici e anticlericali, intesserono rapporti di amicizia con altre famiglie della cultura fiorentina come gli Olschki, i Valori, i Pavolini, i Castelnuovo Tedesco, i Ranchetti Cappelli, gli Spadolini. Lorenzo, Adriano e Elena, dunque, vissero in un clima estremamente vivace dal punto di vista intellettuale. Nel 1930, a causa della crisi economica, la famiglia si spostò a Milano. Trattandosi di una famiglia comprendente ebrei, il progressivo aggravarsi negli anni successivi dell’antisemitismo e l’ascesa del nazismo in Germania indussero i genitori a contrarre cautelativamente matrimonio con rito cattolico e a battezzare i loro figli.

Ragazzo vivace e intelligente, Lorenzo Milani frequentò con scarso profitto il liceo ginnasio Giovanni Berchet di Milano, diplomandosi nel maggio del 1941. Appena diplomato, rifiutò di iscriversi all’università – cosa che i genitori avrebbero desiderato – e manifestò l’intenzione di dedicarsi all’attività di pittore.

A fine maggio 1941 iniziò a frequentare lo studio del pittore tedesco Hans-Joachim Staude a Firenze. Staude si rivelerà figura fondamentale non solo per la crescita artistica di Lorenzo, ma anche per il suo cammino verso la conversione. Secondo la biografia scritta da Neera Fallaci, le regole artistiche apprese dal maestro – in un soggetto cercare sempre l’essenziale, vedere sempre i dettagli come parte di un tutto – saranno da Lorenzo applicate alla vita, così come più tardi dirà lui stesso al suo maestro.

A settembre 1941 Lorenzo Milani si iscrisse al corso di pittura all’Accademia di Brera a Milano. Qui ebbe come insegnanti Achille Funi ed Eva Tea. Quest’ultima ebbe un ruolo importante nel suscitare nel giovane Lorenzo l’interesse per l’arte sacra e la liturgia. Parlava inglese, francese, tedesco, spagnolo, latino ed ebraico.

In quel periodo Milani “aveva una infatuazione per una bella ragazza dai capelli rossi conosciuta a Brera. Si chiamava Tiziana. Lorenzo mi mostrò dei ritratti che le aveva fatto”, ricorda l’amico Saverio Tutino.

Tiziana Fantini, compagna di corso di Lorenzo, era già impegnata sentimentalmente, ma i due trascorrevano insieme molto tempo condividendo la passione per l’arte e un atteggiamento di opposizione al regime fascista. Secondo Valentina Alberici, Tiziana sarà testimone privilegiata del cambiamento interiore di Lorenzo: «Io mi farò prete», le confiderà nel 1942 in una chiesa. Mentre Lorenzo frequenterà solo il primo anno di Accademia, Tiziana Fantini concluderà il corso di studi e diventerà pittrice prima a Milano, poi a Trieste.

Un’altra liaison di una certa intensità riguardò Carla Sborgi, zia di Pietro Ichino (i cui genitori sostennero molte delle iniziative di Don Milani), definita da Neera Fallaci “quasi fidanzata”. Michele Ranchetti, amico sia della donna che di Don Milani, testimoniò della “ferita” che le cagionò l’abbandono da parte di Lorenzo quando questi entrò in seminario; il rapporto non si interruppe, anzi nella sua agonia il religioso la chiamò al suo capezzale e la presentò ai ragazzi di Barbiana.

Il crescente interesse di Lorenzo per la liturgia è testimoniato dal fatto che, nell’estate del 1942, durante una vacanza a Gigliola, decise di affrescare una cappella; durante i lavori lesse un vecchio messale e si appassionò, come scrisse diciottenne all’amico Oreste Del Buono che era stato suo compagno al Liceo Berchet di Milano: «Ho letto la Messa. Ma sai che è più interessante dei “Sei personaggi in cerca d’autore”?». Successivamente, al ritorno a Milano, si interessò ancora di liturgia.

Nel 1943, anche a causa della guerra, Lorenzo lasciò Milano e si trasferì di nuovo con la famiglia a Firenze.

Conversione

Nel 1934 aveva preso la prima comunione a Montespertoli, nella pieve di San Pietro in Mercato; nel 1943 si convertì al Cattolicesimo e il 13 giugno ricevette la cresima dal cardinale Elia Dalla Costa. La svolta ci fu grazie al colloquio con don Raffaele Bensi, che in seguito fu il suo padre spirituale e che così la descrisse: «Perché incontrare Cristo, incaponirsene, derubarlo, mangiarlo, fu tutt’uno. Fino a pigliarsi un’indigestione di Gesù Cristo»

Le circostanze della sua conversione sono sempre rimaste piuttosto confuse e oscure, anche per la riservatezza dello stesso Milani sull’argomento. Tuttavia dalle testimonianze di Hans-Joachim Staude e di Tiziana Fantini sembra evidente che Lorenzo fosse in uno stato di ricerca spirituale da vario tempo.

Neera Fallaci riporta tuttavia un passo dello stesso Don Milani: «E in questa religione c’è fra le tante cose, importantissimo, fondamentale, il Sacramento della confessione dei peccati. Per il quale, quasi solo per quello, sono cattolico. Per avere continuamente il perdono dei peccati. Averlo e darlo.»  

Il 9 novembre 1943 entrò nel seminario di Cestello in Oltrarno. Il periodo del seminario fu per lui piuttosto duro, poiché cominciò fin dall’inizio a scontrarsi con la mentalità della Chiesa e della curia: non riusciva a comprendere le ragioni di certe regole, prudenze, manierismi che ai suoi occhi erano lontanissimi dall’immediatezza e sincerità del Vangelo. Fu ordinato sacerdote nel duomo di Firenze il 13 luglio 1947 dal cardinale Elia Dalla Costa. Il suo primo, e breve, incarico fu a Montespertoli come vicario in aiuto del parroco locale.

Il periodo a San Donato di Calenzano

Venne inviato come coadiutore a San Donato di Calenzano, vicino a Firenze, dove lavorò per una scuola popolare di operai e strinse amicizia con altri sacerdoti come Danilo Cubattoli, Bruno Borghi e Renzo Rossi. Gli fu amico e collaboratore il calenzanese Agostino Ammannati, che insegnava lettere nel liceo classico Cicognini a Prato.

Negli anni a Calenzano scrisse Esperienze pastorali, che ebbe una forte eco per i suoi contenuti.

Don Milani contornato dai suoi allievi

La scuola di Barbiana

Nel dicembre del 1954, a causa di screzi con la Curia di Firenze che lo riteneva troppo franco e poco felpato nei toni e troppo vicino agli emarginati, venne mandato a Barbiana, minuscola e sperduta frazione di montagna nel comune di Vicchio, in Mugello, dove entrò in contatto con una realtà di povertà ed emarginazione ben lontana rispetto a quella in cui aveva vissuto gli anni della sua giovinezza. Iniziò in quelle circostanze il primo tentativo di scuola a tempo pieno, espressamente rivolto a coloro che, per mancanza di mezzi, sarebbero stati quasi inevitabilmente destinati a rimanere vittime di una situazione di subordinazione sociale e culturale. In quelle circostanze, iniziò a sperimentare il metodo della scrittura collettiva.

Alcuni francobolli emessi e dedicati a Don Lorenzo Milani: Italia 2015 (alto Sx) Vaticano 2017 (alto DX) e qui sopra il mini foglietto di San Marino del 2017

Gli ideali della scuola di Barbiana erano quelli di costituire un’istituzione inclusiva, democratica, con il fine non di selezionare ma piuttosto di far arrivare, tramite un insegnamento personalizzato, tutti gli alunni a un livello minimo d’istruzione garantendo l’eguaglianza con la rimozione di quelle differenze che derivano da censo e condizione sociale.

La sua scuola era alloggiata in un paio di stanze della canonica annessa alla piccola chiesa di Barbiana, un paese con un nucleo di poche case intorno alla chiesa e molti casolari sparsi sulle pendici del Monte Giovi: con il bel tempo si faceva scuola all’aperto sotto il pergolato. La scuola di Barbiana era un vero e proprio luogo collettivo dove si lavorava tutti insieme e la regola principale era che chi sapeva di più aiutava e sosteneva chi sapeva di meno, 365 giorni all’anno.

La scuola suscitò immediatamente molte critiche e ad essa furono rivolti attacchi, sia dal mondo della chiesa sia da quello laico.

Le risposte a queste critiche vennero date con “Lettera a una professoressa” (maggio 1967), in cui i ragazzi della scuola (insieme a don Milani) denunciavano il sistema scolastico e il metodo didattico che favoriva l’istruzione delle classi più ricche (simboleggiate da “Pierino del dottore”, il figlio del dottore, che sa già leggere quando arriva alle elementari), mentre permaneva la piaga dell’analfabetismo in gran parte del paese. La Lettera a una professoressa fu scritta negli anni della malattia di don Milani. Pubblicato un mese prima della sua morte è diventata uno dei testi di riferimento del movimento studentesco del ’68. Altre esperienze di scuole popolari sono nate nel corso degli anni basandosi sull’esperienza di don Lorenzo e sulla Lettera a una professoressa.

Fu don Milani ad adottare il motto inglese “I care”, letteralmente mi importa, mi interessa, ho a cuore (in dichiarata contrapposizione al “Me ne frego” fascista), che sarà in seguito fatto proprio da numerose organizzazioni religiose e politiche. Questa frase scritta su un cartello all’ingresso riassumeva le finalità educative di una scuola orientata alla presa di coscienza civile e sociale.

Don Milani abolì ogni forma di punizione corporale (canna per bacchettare, sale sulle ginocchia, ecc.) all’epoca ammesse per legge nella scuola pubblica, sostituendole con la perdita della benevolenza o del sorriso del maestro. Sebbene l’attività sportiva rivestisse un’importanza molto limitata nel modello educativo di don Milani, egli imitò l’esempio del pedagogista rinascimentale Vittorino da Feltre che appunto sosteneva la necessità che l’esercizio mentale si alternasse alle pratiche ginniche. La sua concezione pedagogica è detta del professore-amico in contrapposizione al modello prevalente di un docente distaccato e autoritario che trovava legittimazione nel primato dell’autorità della cultura come era riconosciuto dalle stesse famiglie degli studenti: erano rari gli episodi di cause in tribunale e contestazioni dei voti o del comportamento dei docenti, le famiglie tendevano a dare ragione al maestro piuttosto che ai figli.

Critiche alla pedagogia di Barbiana

«La colpa dell’insegnante, agli occhi dei ragazzi di Barbiana, è di essere la ligia e ben retribuita esecutrice di un complotto scientemente ordito dal Sistema. Un complotto che, come si ripete tante volte nella lettera, mira a ingannare i poveri e i contadini… È l’idea che ci sia uno Stato, una scuola, una società, in una parola, un Sistema di cui si parla in terza persona, il cui preciso fine è quello di fregare, appunto, un noi in cui s’includono tutti coloro che, almeno pro tempore, lottano per il disvelamento del grande inganno (e perciò sono esenti da qualsiasi colpa) … [Ma] … nell’arco di pochi anni ricchi e poveri saranno indistinguibili, e finiranno per scambiarsi le parti … Potenti diverranno gl’incensatori dell’altarino di don Milani, mentre gli odiati laureati, lungi dall’accaparrarsi laticlavi e ministeri… faranno la coda per un posto da lavapiatti… A restare al suo posto sarà solo la professoressa, composta donna d’ordine che ieri bocciava troppo e oggi nemmeno può, anche volendo: ieri come oggi, sotto la gragnuola d’insulti di chi la vuole responsabile di tutti gli analfabetismi, capro espiatorio di ogni delitto».

È stato osservato come la scuola italiana attuale sia in fondo quella auspicata da don Milani: «…abbiamo emarginato sempre più la grammatica e la lettura (dei classici, in primis)… s’invita la professoressa a non fare Foscolo o l’Iliade tradotta dal Monti perché la difficoltà di quei testi umilia i “poveri”…». Lo studio di Vanessa Roghi, dedicato alla Lettera a una professoressa di don Milani, ha in realtà dimostrato l’infondatezza della lettura di Paola Mastrocola.

Si scrive nella Lettera: «Bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri (…) I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro (…). Tutti i cittadini sono eguali senza distinzione di lingua, l’ha detto la Costituzione. Ma voi avete più in onore la grammatica che la Costituzione» Concludeva la Lettera: «A pedagogia vi chiederemo solo di Gianni. A italiano di raccontarci come avete fatto a scrivere questa bella lettera. A latino qualche parola antica che dice il vostro nonno. A geografia la vita dei contadini inglesi. A storia i motivi per cui i montanari scendono al piano. A scienze ci parlerete di sarmenti e ci direte il nome dell’albero che fa le ciliegie».

E in realtà la scuola attuale raccomanda più del “sapere” il “saper fare” ma «Non dovremmo quindi stupirci se ora i nostri ragazzi non sono capaci di scrivere, non sanno dov’è il Caucaso, non studiano più latino e hanno un lessico ristrettissimo. Ma … il colpevole non è don Milani, siamo noi, è la pervicacia sconsiderata con cui per cinquant’anni abbiamo continuato quella sua strada, forse giustissima allora, ma oggi?».

Al tempo il problema era quello di offrire la scuola anche ai figli dei contadini ma ora la scuola è veramente aperta a tutti: «Certo, abbiamo ancora, e sempre più, i deboli da proteggere: i ragazzi che arrivano dall’estero, che abitano in quartieri socialmente e culturalmente degradati […] Che l’idea di don Milani avesse allora un senso, non implica che quel senso non fosse sbagliato già allora, e che lo sia probabilmente oggi più che mai. Voglio dire che si potrebbe avere un’idea esattamente contraria, per raggiungere lo stesso nobile fine: cioè, proprio per aiutare i figli dei contadini (tradotto i ragazzi oggi più deboli), si potrebbe rendere più difficile, e non più facile, la scuola. […] Arriveremo mai a pensare che proprio insegnare ai massimi livelli la nostra lingua, facendo leggere i testi più difficili del nostro patrimonio culturale, aiuterebbe i giovani (tutti i giovani!) ad avere gli strumenti per migliorare la loro sorte, di cittadini e lavoratori, ma prima di tutto di persone? Siamo destinati ancora per quanto a trascinarci appresso vecchi fantasmi e arrugginite catene? »

La morte

Don Milani morì il 26 giugno del 1967, a 44 anni, a causa di un linfoma di Hodgkin; negli ultimi mesi della malattia volle stare vicino ai suoi ragazzi perché, come sosteneva, “imparassero che cosa sia la morte”. Tuttavia, nei suoi ultimi giorni di vita fu riportato a Firenze, per morire in casa di sua madre.

Fu poi tumulato nel piccolo cimitero poco lontano dalla sua chiesa-scuola di Barbiana, seppellito in abito talare e, su sua espressa richiesta, con gli scarponi da montagna ai piedi (articolo parzialmente estrapolato dal sito Wikipedia).

Testo bollettino

Don Lorenzo nacque a Firenze il 27 maggio 1923. Nel 1930 la famiglia si trasferì a Milano dove Don Lorenzo fece gli studi fino alla maturità classica. Dall’estate del 1941 Lorenzo si dedicò alla pittura iscrivendosi dopo qualche mese di studio privato all’Accademia di Brera. Nell’ottobre del 1942 la famiglia Milani ritornò a Firenze. Nel novembre del 1943 entrò al Seminario Maggiore di Firenze. Nel 1947 il 13 luglio fu ordinato prete e in ottobre nominato cappellano a San Donato di Calenzano (FI), dove fondò una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia.

Don Lorenzo fu nominato priore di Barbiana il 7 dicembre 1954, dove radunò fin da subito i giovani della nuova parrocchia in canonica con una scuola popolare simile a quella di San Donato. Il pomeriggio faceva invece doposcuola in canonica ai ragazzi della scuola elementare statale. Nel 1956 rinunciò alla scuola serale per i giovani del popolo e organizzò, per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari, una scuola di avviamento industriale. Nel maggio del 1958 dette alle stampe Esperienze pastorali iniziato otto anni prima a San Donato.

Nel dicembre dello stesso anno il libro fu ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio, perché ritenuta “inopportuna” la lettura. Nel dicembre del 1960 fu colpito dai primi sintomi del male (linfogranuloma) che sette anni dopo lo portò alla morte. Il primo ottobre 1964 insieme a Don Borghi scrisse una lettera a tutti i sacerdoti della Diocesi di Firenze a seguito della rimozione da parte del Cardinale Florit del Rettore del Seminario Mons. Bonanni.

Nel febbraio del 1965 scrisse una lettera aperta ad un gruppo di cappellani militari toscani, che in un loro comunicato avevano definito l’obiezione di coscienza “estranea al Comandamento cristiano dell’amore e espressione di viltà”. La lettera fu incriminata e Don Lorenzo rinviato a giudizio per apologia di reato. Al processo, che si svolse a Roma, non poté essere presente a causa della sua grave malattia. Inviò allora ai giudici un’autodifesa scritta.

Il 15 febbraio 1966, il processo in prima istanza si concluse con l’assoluzione, ma su ricorso del pubblico ministero, la Corte d’Appello quando Don Lorenzo era già morto modificò la sentenza di primo grado e condannò lo scritto. Nel luglio 1966 insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana iniziò la stesura di Lettera a una professoressa.

Don Lorenzo morì a Firenze il 26 giugno 1967 a 44 anni.

Per mantenere sempre vivo il messaggio potente dell’esperienza educativa che  Don Lorenzo promosse insieme ai giovani figli di contadini e operai.

Filippo Carlà Campa                            Rosy Bindi                                     

Sindaco di Vicchio                               Presidente Comitato Centenario Don Milani 

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