20-21-22-23-24^ emissione del 16 aprile 2024, di francobolli ordinari appartenenti alla serie tematica ”il Patrimonio artistico e culturale italiano” dedicati ai teatri storici: Teatro Greco di Siracusa, nel 110° anniversario del primo ciclo di spettacoli classici; Teatro Romano di Lecce; Teatro Romano di Volterra; Teatro Greco di Segesta; Anfiteatro Romano di Suasa
20-21-22-23-24^ emissione del 16 aprile 2024, di francobolli ordinari appartenenti alla serie tematica ”il Patrimonio artistico e culturale italiano” dedicati ai teatri storici: Teatro Greco di Siracusa, nel 110° anniversario del primo ciclo di spettacoli classici; Teatro Romano di Lecce; Teatro Romano di Volterra; Teatro Greco di Segesta; Anfiteatro Romano di Suasa, ognuno con il valore indicato in B, corrispondente ad € 1,25 ciascuno.
- data emissione: 16 aprile 2024
- dentellatura: 11 effettuata con fustellatura.
- dimensioni francobollo: 40 x 30 mm
- tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente.
- Grammatura:90 g/mq.
- Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
- Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
- stampato: I.P.Z.S. Roma
- tiratura: 250.020
- valore: B = €1.25
- colori: quadricromia
- bozzettista: T. Trinca
- num. catalogo francobollo: Michel ______ YT _______ UNIF ________
- Il francobollo: sono accomunate dalla stessa impostazione grafica che mostra, in alto a destra, una maschera, tipica sia dei drammi che delle commedie del teatro antico, e raffigurano ognuna particolari o vedute dall’alto dei teatri a cui la serie è dedicata: il Teatro greco di Siracusa; il Teatro romano di Lecce; il Teatro romano di Volterra; il Teatro greco di Segesta e l’Anfiteatro romano di Suasa. Completano i francobolli le rispettive legende “TEATRO GRECO DI SIRACUSA” e “110 ANNI 1° CICLO DI SPETTACOLI CLASSICI”, “TEATRO DI LECCE”, “TEATRO DI VOLTERRA”, “TEATRO DI SEGESTA” e “ANFITEATRO DI SUASA”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
- data emissione: 16 aprile 2024
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- Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
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- colori: quadricromia
- bozzettista: T. Trinca
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- Il francobollo: sono accomunate dalla stessa impostazione grafica che mostra, in alto a destra, una maschera, tipica sia dei drammi che delle commedie del teatro antico, e raffigurano ognuna particolari o vedute dall’alto dei teatri a cui la serie è dedicata: il Teatro greco di Siracusa; il Teatro romano di Lecce; il Teatro romano di Volterra; il Teatro greco di Segesta e l’Anfiteatro romano di Suasa. Completano i francobolli le rispettive legende “TEATRO GRECO DI SIRACUSA” e “110 ANNI 1° CICLO DI SPETTACOLI CLASSICI”, “TEATRO DI LECCE”, “TEATRO DI VOLTERRA”, “TEATRO DI SEGESTA” e “ANFITEATRO DI SUASA”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
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- dentellatura: 11 effettuata con fustellatura.
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- tiratura: 250.020
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TEATRO GRECO DI SIRACUSA
Il teatro greco di Siracusa è un teatro situato all’interno del Parco archeologico della Neapolis, sulle pendici sul lato sud del colle Temenite, a Siracusa, in Sicilia. Costruito nel V secolo a.C., subì interventi nel III secolo a.C. e ancora in epoca romana. Questo edificio è il più antico teatro di tutto l’occidente.
Il teatro arcaico
L’esistenza di un teatro a Siracusa viene menzionata già alla fine del V secolo a.C. dal mimografo Sofrone, che cita il nome dell’architetto, Damocopos, detto Myrilla per aver fatto spargere unguenti (“myroi”) all’inaugurazione. Non è dimostrato, però, che il passo ricordi questo monumento, potendosi pensare ad altro teatro posto in un altro luogo. È stato ipotizzato che in quest’epoca il teatro non avesse ancora la forma a semicerchio, che diventerà canonica alla fine del IV secolo a.C. e nel corso del III a.C., ma potesse essere costituito da gradinate rettilinee, disposte a trapezio.
Diodoro Siculo riferisce l’arrivo a Siracusa di Dionisio nel 406 a.C. nel momento in cui il popolo usciva da un teatro. Plutarco racconta invece dell’irruzione di un toro infuriato nel teatro durante un’assemblea cittadina (355 a.C.), e dell’arrivo in carro di Timoleonte nel 336 a.C., mentre il popolo vi era riunito, testimoniando l’importanza dell’edificio nella vita pubblica.
Il teatro ellenistico
Sembra che il teatro sia stato sottoposto a un intervento di ristrutturazione nel III secolo a.C. dopo il 238 e certamente prima della morte di Gerone II il 215 a.C., nella forma che oggi vediamo. La sua costruzione era stata progettata tenendo conto sia della forma naturale del colle Temenite, che della possibilità di sfruttare al massimo l’acustica. Tipica caratteristica dei teatri greci è anche la valorizzazione della visione panoramica, cui il teatro di Siracusa non doveva essere esente, offrendo la visione dell’arco del porto e dell’isola di Ortigia, nonostante la scena probabilmente coprisse parte della visuale.
La cavea aveva un diametro di 138,60 metri, uno dei più grandi del mondo greco, ed era in origine costituita da 67 ordini di gradini, per la maggior parte scavati nella roccia viva e divisi in 9 settori (“cunei”) da scalinate. A metà altezza correva una precinzione (“diazoma”) che la divideva in due settori. Sulla recinzione sono incisi in corrispondenza dei cunei nomi di divinità (Zeus Olimpio, Eracle) e di membri della famiglia reale (lo stesso Gerone II, sua moglie Filistide, la nuora Nereide, figlia di Pirro e il figlio Gelone II), che hanno spinto alcuni autori a considerare le iscrizioni medesime utili per una datazione del monumento e se non della costruzione della sua rilavorazione. Le file superiori di gradini, oggi scomparse, erano costruite e poggiavano sopra un terrapieno sostenuto da muri di contenimento. Sull’asse centrale della gradinata è scavata nella roccia una zona che può aver consentito la realizzazione di una tribuna, forse destinata a personaggi di particolare rilievo politico-sociale.
L’orchestra era in origine delimitata da un ampio euripo (canale scoperto), oltre il quale una fascia precedente l’inizio dei gradini era destinata ad ospitare il pubblico.
L’edificio scenico è interamente scomparso e ne sono visibili solo i tagli realizzati nella roccia, riferibili a diverse fasi e di difficile lettura. All’epoca di Gerone II appartiene probabilmente un passaggio scavato sotto l’orchestra, accessibile con una scaletta dal palcoscenico e terminante in una stanzetta: questo allestimento è stato ipoteticamente identificato con le “scale carontee”, che permettevano improvvise scomparse o apparizioni degli attori. Ancora a questa fase dovrebbe appartenere una prima fossa per il sipario (che nel teatro antico non veniva calato dall’alto, bensì issato verso l’alto). Le tracce di un elemento a cui dovevano sovrapporsi colonne e pilastri sono state interpretate come residui di una piccola scena mobile per le farse fliaciche. Alla decorazione della scena apparteneva probabilmente la statua di una cariatide, attualmente conservata nel Museo che riunisce i materiali scavati o recuperati nel Teatro Museo archeologico regionale Paolo Orsi.
Al di sopra del teatro, si trova una terrazza, scavata nella roccia, accessibile da una gradinata centrale e da una strada incassata, nota come “via dei Sepolcri”. in origine la terrazza ospitava un grande portico ed al centro della parete di fondo fu inquadrata una preesistente grotta-ninfeo scavata nella roccia, fiancheggiata da nicchie destinate probabilmente ad ospitare statue e in origine probabilmente inserita tra membranature architettoniche di ordine dorico intagliate nella parete (di esse restano solo parti di un fregio). All’interno il vano (9,35 x 6,35 m, alt. 4,75 m) era dotato di una vasca rivestita in cocciopesto, nella quale sgorgava l’acqua dell’antico acquedotto greco detto “del ninfeo”. Da qui l’acqua si immetteva nel sistema idraulico del teatro. L’insieme è forse identificabile con il Mouseion, o santuario delle Muse, sede della corporazione degli attori
L’attività teatrale in epoca greca
È incerto se il teatro sia stato utilizzato sin da periodo protoclassico, non rimanendo tracce della parte di tale periodo, e quindi non è sicuro se vi si sia svolta l’attività teatrale del commediografo Epicarmo e dei contemporanei Formide e Deinoloco. Eschilo rappresentò a Siracusa nel 470 a.C. Le etnee (tragedia scritta per celebrare la rifondazione di Catania con il nome di Aitna o di un centro con nome Aitna dove avevano trovato rifugio gli esuli catanesi in seguito alla distruzione della calcidese Katane ad opera di Gerone I). Anche I Persiani, già rappresentata ad Atene nel 472 a.C., venne rappresentata a Siracusa. Quest’ultima opera è giunta fino a noi, mentre la prima è andata perduta. Alla fine del secolo V a.C. o agli inizi del IV a.C. vi furono rappresentate probabilmente le opere di Dionisio I e dei tragediografi ospitati alla sua corte, tra cui Antifonte. In merito all’uso del teatro Luciano Canfora aggiunge:
«Prestigio durevole, se si considera la grande richiesta di teatro Euripideo da parte dei siracusani e di altre città della Sicilia, di cui parla Plutarco negli ultimi capitoli della Vita di Nicia, quando racconta che pochi prigionieri ateniesi erano riusciti a riscattarsi recitando pezzi di tragedie Euripidee. Naturalmente le strutture teatrali di cui Eschilo si è servito per la messinscena delle Etnee o nel suo secondo viaggio in Sicilia, quello del 456 a.C. conclusosi con la sua morte, non saranno servite unicamente per l’illustre ospite ateniese. Ci sarà stata un’attività teatrale più o meno continua legata a tali istituzioni.»
(Storia della Letteratura Greca, p.112)
Secondo la tradizione greca l’attività teatrale, essendo considerata una forma di attività istituzionale, era concessa a tutti i cittadini, anche ai più poveri, tramite il Teorico (fondo), un fondo creato per le attività di questo tipo.
Le attività teatrali persero di importanza durante la dominazione romana, dove presero il sopravvento anche gli spettacoli dei gladiatori.
Il teatro in epoca romana
Importanti modifiche furono attuate nel teatro, forse al momento della deduzione della colonia, nella prima età augustea. La cavea venne modificata in forma semicircolare, tipica dei teatri romani, anziché a ferro di cavallo, come d’uso per i teatri greci e furono realizzati i corridoi che permettevano l’accesso all’edificio scenico (parodoi). La stessa scena venne ricostruita in forme monumentali con nicchia rettangolare al centro e due nicchie a pianta semicircolare sui lati, nelle quali si aprivano le porte sceniche. Fu inoltre scavata una nuova fossa per il sipario, con la sua camera di manovra. Nell’orchestra venne interrato l’antico euripo, sostituito da un nuovo canale, molto più stretto e a ridosso dei gradini della cavea, ampliando il diametro da 16 m a 21,40 m. La decorazione della scena subì forse dei rifacimenti in epoca flavia e/o antoniniana.
In epoca tardo-imperiale si ebbero altre consistenti modifiche, destinate ad adattare l’orchestra a giochi acquatici e fu probabilmente arretrata la scena. Non esistono invece tracce di adattamenti che consentissero di ospitare combattimenti di gladiatori o spettacoli con belve in genere rappresentati dall’eliminazione dei primi gradini della cavea allo scopo di consentire la realizzazione di un podio a protezione degli spettatori. Del resto questi spettacoli continuavano probabilmente a tenersi nell’anfiteatro, presente a Siracusa sin dall’epoca augustea.
Un’iscrizione oggi perduta menzionava un Nerazio Palmato come autore di un rifacimento della scena: se si tratta dello stesso personaggio che restaurò a Roma la Curia dopo il sacco di Alarico, gli ultimi lavori nel teatro di Siracusa potrebbero essere datati agli inizi del V secolo d.C.
La storia successiva
Rimasto in abbandono per lunghi secoli, subì a partire dal 1526 una progressiva spoliazione a opera degli Spagnoli di Carlo V, che sfruttarono i blocchi di pietra già tagliati per costruire le nuove fortificazioni attorno Ortigia: scomparvero in tal modo l’edificio scenico e la parte superiore delle gradinate. Dopo la seconda metà del Cinquecento, il marchese di Sortino, Pietro Gaetani, riattivò a proprie spese l’antico acquedotto che portava l’acqua sulla sommità del teatro, favorendo l’insediamento di diversi mulini installati sulla cavea: di questi resta ancora visibile la cosiddetta “casetta dei mugnai” che si erge sulla sommità della cavea.
Sul finire del Settecento riprese l’interesse per il teatro che venne menzionato e riprodotto dagli eruditi dell’epoca (Arezzo, Fazello, Mirabella, Bonanni) e da famosi viaggiatori (d’Orville, von Riedesel, Saint-Non, Houel, Denon ecc.). Nel secolo successivo si ebbero vere e proprie campagne di scavo, grazie all’interesse del Landolina e del Cavallari che si occuparono di liberare il monumento dalla terra che vi si era accumulata. Successivamente le indagini archeologiche proseguirono ad opera di P. Orsi e di altri archeologi, fino a quelle del 1988 ad opera di Voza.
A partire dal 1914 l’Istituto nazionale del dramma antico (INDA) inaugurò nell’antico teatro le annuali rappresentazioni di opere greche (la prima fu la tragedia Agamennone di Eschilo, curata da Ettore Romagnoli). Dopo l’interruzione degli spettacoli causata dalla prima guerra mondiale, le rappresentazioni classiche ritornarono sulla scena nel 1921 con le Coefore di Eschilo. Per l’occasione giunge a Siracusa anche Filippo Tommaso Marinetti che il 18 e il 19 aprile terrà delle conferenze per ribadire la posizione progressista del Futurismo di fronte ad una rappresentazione del passato. Per l’occasione viene anche scritto il Manifesto futurista per le rappresentazioni classiche di Siracusa con cui si ribadisce la linea critica dei futuristi. Proprio per l’importanza delle rappresentazioni nel 1930 il re Vittorio Emanuele III in visita a Siracusa assisterà ad una delle rappresentazioni al teatro greco.
Dal 2010 il Teatro è uno dei monumenti del Servizio Parco Archeologico di Siracusa e delle aree archeologiche dei Comuni limitrofi, organo periferico della Regione Siciliana, Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana (articolo estrapolato dal sito Wikipedia).
TEATRO ROMANO DI LECCE
Il teatro romano di Lecce è un monumento di epoca romana situato nel centro storico della città. Di incerta datazione, il teatro è assegnato al periodo augusteo.
Storia
Il teatro romano di Lecce fu casualmente scoperto nel 1929, durante alcuni lavori eseguiti nei giardini di due palazzi storici della città (palazzo D’Arpe e palazzo Romano). Strettamente legato all’anfiteatro romano, esso infatti è stato probabilmente voluto da Augusto il quale, non ancora imperatore trovò rifugio a Lupiae, antica Lecce e per sdebitarsi ordinò la costruzione di entrambi.
Descrizione
Gli scavi effettuati riportarono alla luce la cavea (diametro esterno 40 m; diametro interno 19 m) che, ricavata in un banco di roccia, fu rivestita in opera quadrata. Essa è divisa in sei cunei da cinque scalette radiali dei cui gradini ogni coppia corrisponde ad uno di quelli riservati agli spettatori. Ogni cuneo è costituito da dodici gradoni (altezza 0,35 m; profondità 0,75 m circa), molti dei quali restaurati. Alla zona dell’orchestra, che era il luogo riservato all’evoluzione del coro, si accedeva mediante una stretta galleria coperta.
Davanti all’orchestra, pavimentata a lastre rettangolari di calcare bianco, si notano tre larghi gradini che girano a semicerchio sui quali venivano, all’occorrenza, collocati seggi mobili riservati ai notabili. Dietro i gradini è presente un muretto (balteus) e, dietro l’orchestra, oltre al canale destinato a raccogliere il sipario, è presente la scena (altezza dal piano dell’orchestra 0,70; profondità 7,70 m; larghezza 30 m).
Apparterrebbero al periodo augusteo alcuni frammenti della decorazione fittile del balteus, mentre all’età degli Antonini si vuole risalgano le statue marmoree che adornavano il teatro. Tutti i reperti facenti parte del teatro romano di Lecce sono custoditi nell’adiacente museo omonimo.
Si suppone infine che il teatro fosse capace di ospitare un pubblico di oltre 5.000 spettatori, per il quale venivano rappresentate tragedie e commedie. Oggigiorno è possibile visitarlo esternamente ed entrare all’interno grazie ai frequenti spettacoli che ancora lo animano.
TEATRO ROMANO DI VOLTERRA
Il teatro romano di Volterra venne riportato in luce negli anni cinquanta da scavi archeologici condotti nella località di Vallebuona da Enrico Fiumi, storico volterrano: furono utilizzati come operai alcuni ricoverati dell’Ospedale psichiatrico di Volterra, come ricordato da una targa posta all’ingresso dell’edificio.
Genesi e costruzione del teatro
Il monumento viene datato alla fine del I secolo a.C. e la sua costruzione venne finanziata dalla ricca famiglia volterrana dei Caecina, in particolare i consoli Gaio Cecina Largo e Aulo Cecina Severo, come ricordato dall’epigrafe dedicatoria del teatro stesso, conservata nel Museo etrusco Guarnacci.
Il teatro era parzialmente scavato nel pendio naturale di un’elevazione, in analogia ai teatri greci. Infatti, questa parte della città non era occupata da costruzioni in epoca etrusca poiché vi si trovavano solamente opere di contenimento del pendio, fortemente scosceso, tanto che dei terrazzamenti furono già eseguiti intorno al II secolo a. C.: questo lo faceva un luogo adatto per la costruzione di un teatro.
Durante gli scavi sono stati rinvenuti vari sedili, realizzati in calcare locale (tufo di Pignano), con ancora incisi i vari nomi dei rappresentanti delle famiglie più influenti della Volterra romana quali i Caecinae, i Persii e i Laelii.; si sono conservate solo in parte alcune delle scalinate disposte a raggiera e realizzate con la pietra di Montecatini Val di Cecina.
La frontescena era lunga 35,98 metri (122 piedi romani) ed era costituita da due piani colonnati per un’altezza superiore ai 16 metri.
La capienza del teatro doveva aggirarsi sui 3500 spettatori viste le sue dimensioni (diametro di 60 metri per 24 gradini), paragonabile ad altri teatri, simili per dimensioni (Trieste, Djemila, Dougga).
Vi era anche un velarium, un telo sostenuto da corde che copriva l’intera area del teatro, poiché rimangono tracce della struttura che lo sosteneva.
Alla fine del III secolo il teatro venne abbandonato e in prossimità dell’edificio scenico venne installato un impianto termale. In epoca medioevale le mura cittadine inglobarono il muro di chiusura della parte più alta delle gradinate.
I resti degli antichi edifici sono attualmente visitabili all’interno dell’area archeologica. Vi si accede dalla zona superiore, subito fuori da Porta Fiorentina ed è utilizzato (anche se raramente) nel periodo estivo per rappresentazioni teatrali.
Al teatro romano di Volterra si svolge annualmente il Festival Internazionale, fondato e diretto dall’attore e regista Simone Migliorini e ogni anno una Giuria prestigiosa assegna i premi “Ombra della Sera”, a importanti personalità dello spettacolo e della Cultura (articolo estrapolato dal sito Wikipedia)..
TEATRO GRECO DI SEGESTA
Il teatro di Segesta è un teatro greco dell’antica città di Segesta sito nell’area archeologica di Calatafimi Segesta, comune italiano della provincia di Trapani in Sicilia.
Descrizione
Alla fine del III secolo a.C., gli abitanti di Segesta costruirono il loro teatro sulla cima più alta del Monte Barbaro, in un sito, alle spalle dell’agorà, che era già sede di un luogo di culto molti secoli prima.
Orientato a nord, verso il Golfo di Castellammare, il teatro di Segesta sfrutta come scenografia lo splendido panorama del mare e delle colline a perdita d’occhio.
Il teatro fu costruito secondo i dettami dell’architettura greco-ellenistica, con blocchi di calcare locale. Si discosta dalla struttura tipica dei teatri greci perché la cavea non poggia direttamente sulla roccia ma è stata appositamente costruita ed è sorretta da muri di contenimento. Consta di due ingressi, leggermente sfalsati rispetto all’asse principale dell’edificio ed è in grado di contenere circa 5000 persone.
La cavea del teatro di Segesta ha un diametro di 63 m ed è divisa in due da un corridoio centrale, il diazoma. Ne derivano due sezioni: una più in basso e una più in alto. La prima conta 21 file di posti divise da 6 scalette in 7 piccoli cunei di dimensioni variabili, la seconda era fornita invece di sedili con schienale. Delle gradinate della summa cavea rimangono però solo poche tracce.
Recenti ricerche hanno mostrato l’esistenza anche di un settore di gradinata più in alto, tra i due ingressi, parzialmente riutilizzato nella necropoli musulmana (prima metà del XII secolo). Ad ovest il Teatro è costeggiato da una strada lastricata che arriva fino ad una grotta naturale, in cui si trova una sorgente sacra. Usata durante l’età del bronzo, fu poi inglobata nel muro di sostegno della cavea.
L’orchestra di forma semicircolare ha un diametro di 18,4 m. L’ingresso è consentito attraverso due aperture, i parodoi, poste ai lati del semicerchio, ortogonalmente rispetto all’asse centrale. Come nel teatro di Siracusa, quello di Segesta è munito di corridoi sotterranei che venivano usati per il passaggio degli attori. Da queste entrate non vi potevano entrare gli stranieri ed i più poveri (articolo estrapolato dal sito Wikipedia).
ANFITEATRO ROMANO DI SUASA
Il teatro di Segesta è un teatro greco dell’antica città di Segesta sito nell’area archeologica di Calatafimi Segesta, comune italiano della provincia di Trapani in Sicilia.
Descrizione
Alla fine del III secolo a.C., gli abitanti di Segesta costruirono il loro teatro sulla cima più alta del Monte Barbaro, in un sito, alle spalle dell’agorà, che era già sede di un luogo di culto molti secoli prima.
Orientato a nord, verso il Golfo di Castellammare, il teatro di Segesta sfrutta come scenografia lo splendido panorama del mare e delle colline a perdita d’occhio.
Il teatro fu costruito secondo i dettami dell’architettura greco-ellenistica, con blocchi di calcare locale. Si discosta dalla struttura tipica dei teatri greci perché la cavea non poggia direttamente sulla roccia ma è stata appositamente costruita ed è sorretta da muri di contenimento. Consta di due ingressi, leggermente sfalsati rispetto all’asse principale dell’edificio ed è in grado di contenere circa 5000 persone.
La cavea del teatro di Segesta ha un diametro di 63 m ed è divisa in due da un corridoio centrale, il diazoma. Ne derivano due sezioni: una più in basso e una più in alto. La prima conta 21 file di posti divise da 6 scalette in 7 piccoli cunei di dimensioni variabili, la seconda era fornita invece di sedili con schienale. Delle gradinate della summa cavea rimangono però solo poche tracce.
Recenti ricerche hanno mostrato l’esistenza anche di un settore di gradinata più in alto, tra i due ingressi, parzialmente riutilizzato nella necropoli musulmana (prima metà del XII secolo). Ad ovest il Teatro è costeggiato da una strada lastricata che arriva fino ad una grotta naturale, in cui si trova una sorgente sacra. Usata durante l’età del bronzo, fu poi inglobata nel muro di sostegno della cavea.
L’orchestra di forma semicircolare ha un diametro di 18,4 m. L’ingresso è consentito attraverso due aperture, i parodoi, poste ai lati del semicerchio, ortogonalmente rispetto all’asse centrale. Come nel teatro di Siracusa, quello di Segesta è munito di corridoi sotterranei che venivano usati per il passaggio degli attori. Da queste entrate non vi potevano entrare gli stranieri ed i più poveri (articolo estrapolato dal sito Wikipedia).
Testi bollettini
Teatro greco di Siracusa
Dopo millenni di oblio, il Teatro Greco di Siracusa, costruito nel V secolo avanti Cristo, ritorna alla vita centodieci anni fa. Il 16 aprile 1914, un comitato civico formato da lungimiranti mecenati riuniti intorno ai fratelli Gargallo riporta in scena al Teatro Greco l’Agamennone di Eschilo, primo atto della trilogia dell’Orestea, tradotto e diretto dal celebre grecista Ettore Romagnoli.
Da allora, il Comitato per le rappresentazioni classiche, trasformato nel 1925 in ente morale, prende il nome di Istituto Nazionale del Dramma Antico, INDA, e diventa un centro di studi e di ricerche, promotore del teatro classico, produttore di grandi spettacoli popolari, dando vita a un’eccellenza culturale unica al mondo destinata a superare vari cambi di regime, dalla monarchia liberale al fascismo, dalla repubblica democratica alla crisi della prima repubblica.
Grazie alla collaborazione con i grandi specialisti del teatro classico, sempre operando a servizio della collettività, l’INDA valorizza l’antico Teatro Greco di Siracusa, riproponendo in chiave contemporanea un antico rito civile e religioso, che attraverso l’esperienza diretta continua a soddisfare l’esigenza imperitura di autocoscienza e libertà nell’uomo moderno.
Marina Valensise
Consigliere Delegato INDA
Istituto Nazionale del Dramma Antico
Teatro romano di Lecce
Tra le più significative testimonianze dell’antica Lupiae – il nome di Lecce in età romana – il Teatro era di certo uno dei monumenti più importanti e maestosi insieme al vicino Anfiteatro, al quale è accomunato da vicende costruttive solo in parte emerse grazie agli scavi archeologici e alle ricerche nell’ultimo secolo.
La costruzione del Teatro, eretto in età augustea e completato forse nel I o II secolo d.C., era parte di un vasto programma di riorganizzazione urbana della città, che si trasformava sovrapponendosi probabilmente ad un più antico insediamento preromano. La ricca statuaria che doveva decorare il monumento, in piccola e frammentaria parte giunta fino a noi, sembra particolarmente dedicata alla celebrazione di divinità e dinastie imperiali, con sculture raffiguranti anche Augusto e Traiano.
Non è semplice ricostruire nel dettaglio l’aspetto originario del monumento, visto che ne sopravvive solo una piccola porzione, ma è possibile formulare qualche ipotesi sulla base di confronti con modelli coevi, diffusi soprattutto in Francia e in Italia. Così possiamo immaginare che la cavea fosse molto più ampia e alta di quella superstite, con le gradinate sostenute da un complesso sistema di percorsi voltati e circondate da un portico su più livelli; e che dietro al palcoscenico (pulpitum) si innalzasse un grande edificio decorato da sculture e architetture che facevano da sfondo alle rappresentazioni eseguite nel sito; inoltre, secondo alcune ricostruzioni, le gradinate erano coperte da un velario retrattile.
Insieme ai resti dell’ima cavea (la parte più bassa delle gradinate destinate al pubblico), all’orchestra e al basamento del palcoscenico, gli scavi novecenteschi restituirono numerosi frammenti di marmo e di pietra locale, che hanno permesso una parziale ricostruzione dell’aspetto originario del monumento e del ricchissimo apparato scultoreo che decorava la scenografia architettonica. Alcune statue celebravano direttamente gli imperatori reggenti (come accennato, Augusto e Traiano erano sicuri protagonisti), mentre altre raffiguravano divinità e personaggi della mitologia come Marte, Afrodite o Minerva, a volte riferiti alla dinastia imperiale come nel caso di Marciana, sorella di Traiano, raffigurata con le sembianze di Giunone.
Con la fine dell’età imperiale romana avviene la progressiva dismissione degli edifici pubblici, che diventano cave di recupero di materiali utili a nuove costruzioni. Anche il Teatro subì lo stesso destino: prima smontato in pezzi e poi inglobato nell’edificazione tardoantica e medievale, fu dimenticato in un lungo oblio interrotto solo da brevi citazioni da parte di alcuni visitatori, fino alla casuale riscoperta nel 1928. Emersi durante alcuni lavori di ristrutturazione, i resti furono prima ricondotti ad un teatro “greco”, e poi correttamente attribuiti al monumento che conosciamo oggi, grazie a numerose campagne di scavo concluse nel 1940.
Recenti scavi e ricerche hanno definito meglio le ipotesi ricostruttive del monumento che, in attesa di un imminente intervento di adeguamento del percorso di visita, dal 2022 è inserito tra i luoghi della cultura della Direzione regionale Musei Puglia del Ministero della Cultura.
Prof. Massimo Osanna
Direttore Generale Musei
Ministero della Cultura
Teatro romano di Volterra
Il teatro romano di Volterra fu costruito agli inizi del I secolo a.C. nell’area di Vallebuona, presso il foro della città. Fu costruito grazie alla generosità di due personaggi di una importante famiglia volterrana, i consoli Gaio Cecina Largo e Aulo Cecina Severo, che donarono alla loro città questo edificio che fu una delle opere più importanti realizzate in periodo romano ed oggi è uno dei principali monumenti archeologici di Volterra.
Il teatro fu arricchito da un porticato costruito alle spalle della scena intorno alla metà del I secolo d.C. Venne poi abbandonato alla fine del III secolo; al posto di esso fu costruito un edificio termale che svolse le sue funzioni fino a quando l’intera area venne interrata. Intorno al 1950 il teatro venne riscoperto e riportato alla luce; gran parte di esso era ancora ben conservato, mentre la scena venne in parte ricostruita con elementi originali.
Giacomo Santi
Sindaco di Volterra
Teatro greco di Segesta
Lo storico Tucidide scrisse che Segesta era la più importante delle città degli Elimi, un misterioso popolo vissuto fra il IX ed il I secolo a.C. proveniente da Troia. In età ellenistica la città assunse un aspetto fortemente scenografico. L’acropoli sud era occupata quasi esclusivamente dall’edilizia residenziale, sull’acropoli nord trovavano sede i grandi edifici pubblici tra i quali il celebre teatro, costruito tra il III e il II secolo a. C., rivolto verso nord sul paesaggio delle colline circostanti.
Era dotato di una struttura scenica con due padiglioni laterali decorata con pilastri, colonne e telamoni. La cavea, con i sedili per gli spettatori, venne interamente costruita e sostenuta da un anàlemma, un potente muro di contenimento. Poteva ospitare oltre 4000 persone ed era suddivisa orizzontalmente da un diàzoma, un largo corridoio delimitato da sedili dotati di schienale. Verticalmente correvano sei kerkìdes, scalette in pietra che formavano sette cunei di dimensioni variabili. Recenti ricerche hanno documentato l’esistenza fra i due ingressi di un settore di summa cavea, parzialmente rioccupato da una necropoli musulmana e, successivamente, da case medievali. Un pozzo ed un serbatoio d’acqua dovevano certamente servire a soddisfare le necessità del pubblico e degli attori. All’orchestra si accedeva dagli ingressi laterali ed i pochi filari di blocchi permettono di ricostruire la pianta della scena che era un edificio di due piani negli stili dorico e ionico, con due corpi laterali avanzati ornati da satiri scolpiti in altorilievo. Nella prima età imperiale romana il teatro subì delle trasformazioni: lo spazio dell’orchestra fu ampliato eliminando una fila di sedili e fu ingrandita la fronte scenica mentre in età medievale le aree furono rioccupate da un vasto settore dell’abitato.
La sua posizione, adagiata su un rilievo che guarda il mare, è estremamente suggestiva e permette ancora ora di assistere a spettacoli all’alba ed al tramonto senza l’uso di alcuna scenografia. Il teatro di Segesta è luogo per l’esercizio dei sensi, odora di terra, di acqua, di origano selvatico, di artemisia e di calendula. Sono i profumi del mito e della storia millenaria in un luogo che vive ancora oggi in perfetta simbiosi con la natura.
I suoni ed i colori del Segesta Teatro Festival vogliono ancora aggiungere stupore con la voglia di narrare il passato e le leggende con tutte le forme ed i linguaggi dell’arte: dal teatro alla danza, dalla musica alle istallazioni contemporanee partecipate.
L’artificio delle sapienti architetture del teatro è ancora un abbraccio di pietra che da secoli avvolge spettatori ed artisti in un lungo afflato che non può avere spazio nelle parole.
Luigi Biondo
Direttore del Parco Archeologico di Segesta
Anfiteatro romano di Suasa
L’anfiteatro è l’unico monumento della Città Romana di Suasa rimasto sempre visibile, a differenza di tutti gli altri che sono stati completamente obliterati nel tempo dalle piene del vicino fiume Cesano.
Dai limiti del pendio collinare a oriente della città l’anfiteatro si affaccia su un settore occupato da complessi di elevato tenore architettonico: Teatro, Domus dei Coiedii e Foro.
Di forma ellittica è per dimensioni uno dei più grandi delle Marche: l’asse maggiore misura 98,7 m. (333 piedi), quello minore 77,2 m. (260 piedi). Una stima approssimativa consente di stabilire tra settemila e diecimila il numero di spettatori ospitati.
L’anfiteatro aveva otto accessi (vomitoria) che permettevano l’ingresso all’arena e ai vari ordini di gradinate.
Si conservano l’intero perimetro a filari di blocchetti di calcare bianco e rosato locale alternati a laterizi e ampi tratti dell’ima cavea, il primo giro di gradinate.
È probabile che quelle sovrastanti (media e summa cavea) fossero costruite in legno.
Le indagini archeologiche hanno permesso di datare il monumento al I sec. d.C. e di cogliere le prime fasi di abbandono già nel corso del III sec. d.C.
Gli interventi di scavo e restauro iniziati negli anni ‘70 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche hanno restituito nella sua interezza il monumento che tutt’oggi è luogo di eventi e spettacoli a carattere culturale.
Abaco Società Cooperativa
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