18^ emissione del 10 aprile 2024, di un francobollo commemorativo di GIOVANNI GENTILE, nel 80° anniversario della scomparsa

18^ emissione del 10 aprile 2024, da parte del Ministero dell’Imprese e del Made in Italy, di un francobollo commemorativo di GIOVANNI GENTILE, nel 80° anniversario della scomparsa dal valore indicato in B, corrispondente ad € 1,25

  • data emissione: 10 aprile 2024
  • dentellatura: 11 effettuata con fustellatura. 
  • dimensioni francobollo: 30 x 40 mm
  • tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente.
  • Grammatura:90 g/mq.
  • Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
  • Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura: 250.020
  • valoreB
  • colori: quattro
  • bozzettistaa cura del Centro Filatelico della Produzione dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A.
  • num. catalogo francobolloMichel ______ YT _______ UNIF ________
  • Il francobollo: riproduce un ritratto di Giovanni Gentile, autorevole filosofo del Novecento europeo e tra i maggiori esponenti dell’idealismo italiano; come Ministro della pubblica istruzione (ottobre 1922 – giugno 1924) compì nel 1923 la riforma della scuola italiana nota come la Riforma Gentile. Completano il francobollo le legende “GIOVANNI GENTILE”, “1875 – 1944” e “FILOSOFO E MINISTRO PUBBLICA ISTRUZIONE”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.
  • Nota: la fotografia di Giovanni Gentile è riprodotta per gentile concessione dell’Archivio Gentile della Fondazione Roma Sapienza.

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Giovanni Gentile (Castelvetrano, 30 maggio 1875 – Firenze, 15 aprile 1944) è stato un filosofo, storico della filosofia, pedagogista e  politico italiano.

Sen. GENTILE Giovanni

Fu, insieme a Benedetto Croce, uno dei maggiori esponenti del neoidealismo filosofico e dell’idealismo italiano, nonché un importante protagonista della cultura italiana nella prima metà del XX secolo, cofondatore dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e, da ministro, artefice, nel 1923, della riforma della pubblica istruzione nota come Riforma Gentile. La sua filosofia è detta attualismo.

Inoltre fu figura di spicco del fascismo italiano, considerato persino egli stesso l’inventore dell’ideologia del fascismo. In seguito alla sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana, fu ucciso durante la seconda guerra mondiale da alcuni partigiani dei GAP.

Gli studi e la carriera accademica

Ottavo di dieci figli, Gentile nasce nel 1875 a Castelvetrano, nel trapanese, da Giovanni Gentile senior, farmacista, e Teresa Curti, figlia di un notaio. Frequenta il ginnasio/liceo “Ximenes” a Trapani. Vince quindi il concorso per quattro posti di interno della Scuola normale superiore di Pisa, dove si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia.

Dopo la laurea nel 1897, con massimo dei voti e ottenimento del diritto di pubblicazione della tesi, e un corso di perfezionamento a Firenze, Gentile ottiene una cattedra in filosofia presso il convitto nazionale Mario Pagano di Campobasso. Nel 1900 si sposta al liceo Vittorio Emanuele di Napoli. Nel 1901 sposa Erminia Nudi, conosciuta a Campobasso: dal loro matrimonio nasceranno 6  figli.

Nel 1902 ottiene la libera docenza in filosofia teoretica e l’anno successivo quella in pedagogia. Ottiene poi la cattedra universitaria all’Università degli Studi di Palermo (1906-1914, storia della filosofia), dove frequenta il circolo “Giuseppe Amato Pojero” e fonda nel 1907 con Giuseppe Lombardo Radice la rivista Nuovi Doveri. Nel 1914 all’Università di Pisa (fino al 1919, filosofia teoretica) e infine alla Sapienza di Roma (già dal 1917 professore ordinario di Storia della filosofia, e nel 1926 professore ordinario di Filosofia teoretica).

Il primo dopoguerra e l’adesione al fascismo

All’inizio della prima guerra mondiale, tra i dubbi del neutralismo, Gentile si schiera a favore dell’intervento in guerra come conclusione del Risorgimento italiano. In quel tempo rivelò a sé stesso la passione politica che gli stava dentro e assunse una dimensione che non era più soltanto quella del professore che parla dalla cattedra, ma quella dell'”intellettuale” militante, che si rivela al grande pubblico attraverso i giornali quotidiani.

Nell’immediato dopoguerra partecipa attivamente al dibattito politico e culturale. Nel 1919 è, insieme a Luigi Einaudi e Gioacchino Volpe, tra i firmatari del manifesto del Gruppo Nazionale Liberale romano, che, insieme ad altri gruppi nazionalisti e di ex combattenti forma l’Alleanza Nazionale per le elezioni politiche, il cui programma politico prevede la rivendicazione di uno «Stato forte», anche se provvisto di larghe autonomie regionali e comunali, capace di combattere la metastasi burocratica, i protezionismi, le aperture democratiche alla Nitti, rivelatosi «inetto a tutelare i supremi interessi della Nazione, incapace di cogliere e tanto meno interpretare i sentimenti più schietti e nobili».

Nel 1920 fonda il Giornale critico della filosofia italiana. Sempre nel 1920 diviene consigliere comunale al Municipio di Roma, mentre l’anno successivo viene nominato anche assessore supplente alla X Ripartizione, A.B.A., ovvero alle Antichità e alle belle Arti, sempre del Municipio di Roma. Nel 1922 diviene socio dell’Accademia dei Lincei. Fino al 1922 Gentile non mostra particolare interesse nei confronti del fascismo. Fu solo allora che prese posizione in merito, dichiarando di vedere in Mussolini un difensore del liberalismo risorgimentale nel quale si riconosceva.

Il 31 ottobre, all’insediamento del regime viene nominato da Mussolini ministro della pubblica istruzione (1922-1924, per dimissioni volontarie), attuando nel 1923 la riforma Gentile, fortemente innovativa rispetto alla precedente riforma basata sulla legge Casati di più di sessant’anni prima (1859). Durante il suo ministero si rende responsabile di vari casi di persecuzione politica di insegnanti o funzionari antifascisti, sotto forma sia di licenziamenti o prepensionamenti di tipo discriminatorio, sia di ispezioni ministeriali e provvedimenti disciplinari contro persone politicamente non allineate col governo. Rancori personali, oltre che motivi politici, sono alla base dell’accanita persecuzione cui Gentile sottopone l’archeologo Vittorio Spinazzola, la cui carriera ne esce distrutta.

Il 5 novembre 1922 diviene senatore del Regno. Nel 1923 Gentile si iscrive al Partito Nazionale Fascista (PNF) con l’intento di fornire un programma ideologico e culturale.

Dopo la crisi Matteotti, date le dimissioni da ministro, Gentile viene chiamato a presiedere la Commissione dei Quindici per il progetto di riforma dello Statuto Albertino (poi divenuta dei Diciotto per la riforma dell’ordinamento giuridico dello Stato).

Giovanni Gentile insieme a Mussolini

L’impegno per una cultura fascista

Gentile resta fascista e nel 1925 pubblica il Manifesto degli intellettuali fascisti, in cui vede il fascismo come un possibile motore della rigenerazione morale e religiosa degli italiani e tenta di collegarlo direttamente al Risorgimento. Questo manifesto sancisce l’allontanamento definitivo di Gentile da Benedetto Croce, che gli risponde con un Antimanifesto. Nel 1925 promuove la nascita dell’Istituto Nazionale Fascista di Cultura (INFC), di cui è presidente fino al 1937.

In virtù della sua appartenenza organica al regime, Gentile consegue un forte arricchimento in termini economici e già all’inizio degli anni Trenta la sua famiglia si attesta su un tenore di vita parecchio elevato. Gentile realizza anche un notevole accumulo di cariche culturali, accademiche e politiche, grazie alle quali esercita durante tutto il ventennio fascista un forte influsso sulla cultura italiana, specialmente nel settore amministrativo e scolastico.

È il direttore scientifico dell’Enciclopedia Italiana dell’Istituto Treccani dal 1925 al 1938, e vicepresidente di tale istituto dal 1938, dove accolse numerosi “collaboratori non fascisti” come il socialista Rodolfo Mondolfo. A Gentile si devono in gran parte il livello culturale e l’ampiezza della visione dell’opera: invitò infatti «a collaborare alla nuova impresa 3.266 studiosi, di diverso orientamento», poiché «nell’opera si doveva coinvolgere tutta la migliore cultura nazionale, compresi molti studiosi ebrei o notoriamente antifascisti, che ebbero spesso da tale lavoro il loro unico sostentamento». Egli riesce in tal modo a mantenere una relativa autonomia, nella redazione dell’enciclopedia, dalle interferenze del regime fascista. La collaborazione di antifascisti all’enciclopedia suscita critiche fra le gerarchie, cui Gentile risponde rassicurando Mussolini in una lettera del luglio 1933, in cui scrive fra l’altro che ai non iscritti al partito nazionale fascista «non è dato di inserire di proprio una sola parola nel testo della Enciclopedia», e che «nessun collaboratore, in nessuna materia, ha mano libera; e tutti gli articoli sono soggetti a rigorosa revisione». Tutte le voci dell’enciclopedia che riguardano il fascismo sono sottoposte all’approvazione preventiva di Mussolini. La voce sulla dottrina del fascismo, la cui prima parte è in realtà scritta da Gentile, viene firmata dal solo Mussolini. Il dittatore, costantemente informato dell’andamento dei lavori, legge in bozza i lemmi di suo interesse e talora suggerisce modifiche.

Nel 1928 Gentile diventa regio commissario della Scuola Normale Superiore di Pisa, e nel 1932 direttore. Nel 1930 diventa vicepresidente dell’Università Bocconi. Nel 1932 diventa Socio Nazionale della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Lo stesso anno inaugura l’Istituto Italiano di Studi Germanici, di cui diviene presidente nel 1934. Nel 1933 inaugura e diviene presidente dell’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente. Nel 1934 inaugura a Genova l’Istituto mazziniano. Fu direttore della Nuova Antologia e accolse “collaboratori non fascisti” come il socialista Rodolfo Mondolfo. Nel 1937 diventa regio commissario, nel 1938 presidente del Centro nazionale di studi manzoniani e nel 1941 è presidente della Domus Galilaeana a Pisa.

Promosse l’istituzione dell’obbligo del giuramento di fedeltà al fascismo da parte dei docenti universitari. Sostenuto pubblicamente già nel 1929 da Gentile che lo definì «una nuova formula di giuramento, in cui gl’insegnanti sarebbero invitati a giurare fedeltà anche al Regime», nell’ottica di Gentile esso avrebbe dovuto condurre al superamento della divisione, creatasi nel 1925, tra i firmatari del suo Manifesto degli intellettuali fascisti e coloro che invece avevano aderito al Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto dal suo ex amico e rivale Benedetto Croce. Introdotto nel 1931, questo provvedimento – tipico di un modo d’agire «drasticamente autoritario e repressivo» del regime fascista rispetto al mondo della cultura – causò l’allontanamento di alcuni illustri accademici dall’Università italiana e suscitò una diffusa riprovazione nell’opinione pubblica fuori d’Italia.

Rapporti con la cultura cattolica

Non mancano comunque i dissensi col regime: in particolare il suo influsso all’interno del regime subisce un duro colpo nel 1929, alla firma dei Patti Lateranensi tra Chiesa cattolica e Stato Italiano: sebbene Gentile riconosca il cattolicesimo come forma storica della spiritualità italiana, ritiene di non poter accettare uno Stato non laico. Questo evento segna una svolta nel suo impegno politico militante; è inoltre contrario all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole medie e superiori, mentre riteneva giusto – avendolo inserito nella sua riforma – quello nelle scuole elementari, in quanto lo riteneva una preparazione alla filosofia adatta ai bambini.

Gentile creò la riforma Scolastica nel 1923

Nel 1934 il Sant’Uffizio mette all’indice le opere di Gentile e di Croce, a causa del loro riconoscimento, nel solco dell’idealismo, del cristianesimo cattolico come mera “forma dello spirito”, ma considerato inferiore alla filosofia, come Gentile spiega nel discorso del 1943 La mia religione, in cui vi sono anche alcune velate critiche al papato storico, ispirate da Dante, Gioberti e Manzoni.

Degna di nota anche la sua difesa di Giordano Bruno, il filosofo eretico condannato al rogo dall’Inquisizione nel 1600, al quale dedica un saggio, impegnandosi anche presso Mussolini perché la statua del pensatore nolano – eretta in Campo de’ Fiori nel 1889 e opera dello scultore anticlericale Ettore Ferrari – non fosse rimossa, come richiesto da alcuni cattolici.

Rapporti col regime

Il 21 dicembre 1933, nel corso della giornata inaugurale dell’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente prese posizione contro le teorie razziste che si stavano propagando nella Germania nazista:

«Roma non ebbe mai un’idea che fosse esclusiva e negatrice… Essa accolse sempre e fuse nel suo seno, idee e forze, costumi e popoli. Così poté attuare il suo programma di fare dell’urbe, l’orbe. La prima e la seconda volta, la Roma antica e la Roma cristiana: volgendosi con accogliente simpatia e pronta e conciliatrice intelligenza a ogni nazione a ogni forma di vivere civile, niente ritenendo alieno da sé che fosse umano. Sono i popoli piccoli e di scarse riserve quelli che si chiudono gelosamente in se stessi in un nazionalismo schivo e sterile»

(Giovanni Gentile nel discorso inaugurale dell’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente il 21 dicembre 1933)

Nel 1936 ha luogo una polemica contro il nuovo ministro dell’Educazione Nazionale Cesare Maria De Vecchi, che Gentile accusa di «inquinare la cultura nazionale».

Gentile, personalmente, non condivise le leggi razziali del 1938, come si evince da un carteggio con Benvenuto Donati durato per tutto il periodo tra il 1920 ed il 1943. Benché sia stato indicato da taluni come uno dei firmatari del Manifesto della razza, si tratta di una diceria, in quanto Gentile non lo firmò mai, come dimostrato dallo studioso Paolo Simoncelli.

Soprattutto dopo la promulgazione delle leggi razziali in Italia, si susseguirono gli interventi di Gentile a favore di colleghi ebrei come Mondolfo, Gino Arias e Arnaldo Momigliano.

In un libro pubblicato nel 2021 Mimmo Franzinelli afferma che l’atteggiamento di Gentile nei confronti delle leggi razziali è oggetto di controversia. Alcuni storici hanno sottolineato il suo personale antirazzismo e la solidarietà fattiva da lui dimostrata a livello privato nei confronti di studiosi ebrei, quali ad esempio Paul Oskar Kristeller e Karl Löwith. Da altri si è evidenziato come l’antirazzismo di Gentile non si sia mai tradotto in esplicite prese di posizione pubbliche, e come il filosofo, seppure personalmente dispiaciuto per alcune conseguenze della legislazione antisemita, non abbia però mai pensato di criticare pubblicamente quest’ultima né di separare al riguardo le proprie responsabilità da quelle del regime. Per parte sua, Franzinelli richiama l’attenzione su di una conferenza tenuta a Roma il 3 aprile del 1936 dal ministro nazista e antisemita fanatico Hans Frank: da presidente dell’Istituto fascista di cultura, Gentile organizza e introduce la conferenza esprimendo, secondo Franzinelli, «piena adesione» al nazismo, definito da Gentile in tale occasione «una pratica battaglia della Nazione tedesca anelante […] alla forza che i popoli attingono dalla più fiera coscienza della propria personalità e morale autonomia».

Nel 1938 Gentile fu nominato vicepresidente dell’Istituto della Enciclopedia italiana.

Alcuni volumi della famosa Enciclopedia Italiana – Treccani

In un articolo del gennaio 1942, Gentile tesse le lodi dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo, scagliandosi contro il «doppio pericolo del comunismo e dell’imperialismo industriale dei falsi democratici senza patria, ebrei o no». Secondo lo studioso Giovanni Rota, risulta «difficile interpretare questo articolo come una polemica nei confronti del regime razzista e non è credibile che si volesse, con queste frasi, attaccare l’alleanza con il nazismo proprio mentre la si esaltava».

Il Discorso agli Italiani

Gli ultimi interventi politici sono rappresentati da due conferenze nel 1943. Nella prima, tenuta il 9 febbraio a Firenze, dal titolo La mia religione, in cui dichiarò di essere cristiano e cattolico, sebbene credente nello Stato laico.

Nella seconda, molto più importante, tenuta il 24 giugno su proposta di Carlo Scorza, nuovo segretario nazionale del PNF al Campidoglio a Roma, dal titolo Discorso agli Italiani, esortò all’unità nazionale, in un momento difficile della guerra. Dopo questi interventi si ritirò a Troghi (FI), dove scrive la sua ultima opera, uscita postuma, Genesi e struttura della società, nella quale recupera l’antico interesse per la filosofia politica, e nel quale teorizzò “l’Umanesimo del lavoro”.

Gentile considerò questa sua ultima opera il coronamento dei suoi studi speculativi tanto che all’amico antifascista Mario Manlio Rossi, mostrandogli il manoscritto, scherzando disse: “I vostri amici possono uccidermi ora se vogliono. Il mio lavoro nella vita è concluso“.

La caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 non preoccupò particolarmente Gentile che intese il tutto come un avvicendamento al governo. Inoltre la nomina nel primo governo Badoglio di alcuni ministri che precedentemente erano stati suoi collaboratori come Domenico Bartolini e Leonardo Severi lo confortava. In particolare la vecchia amicizia con il ministro Severi spinse Gentile ad inviargli una lettera di auguri per la nomina e a sottoporgli alcune questioni rimaste in sospeso con il governo precedente.

Il 4 agosto Severi rispose a Gentile, lanciandogli un duro e inatteso attacco. Travisandone volontariamente i contenuti, evitando però di renderli noti, avvalorò l’idea che Gentile gli si fosse proposto come consigliere, ponendolo quindi in obbligo a respingerne la proposta. Gentile replicò al ministro e rassegnò le dimissioni da direttore della Scuola Normale di Pisa.

L’adesione alla Repubblica Sociale Italiana

Gentile respinse in un primo tempo la proposta di Carlo Alberto Biggini, che nel frattempo era divenuto ministro, di entrare al Governo, e dopo un incontro avvenuto il 17 novembre 1943 con Benito Mussolini sul lago di Garda si convinse ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Nel novembre 1943 divenne presidente della Reale Accademia d’Italia, con l’obiettivo di riformare la vecchia Accademia dei Lincei che fu assorbita dall’Accademia.

Sostenne la chiamata alle armi e la coscrizione militare dei giovani nell’esercito della RSI, auspicando il ripristino dell’unità nazionale sotto la guida ancora una volta di Mussolini.

Intanto il figlio Federico, capitano d’artiglieria del Regio Esercito, dopo l’8 settembre era stato internato dai tedeschi in un campo di prigionia a Leopoli in condizioni particolarmente severe: era l’unico ufficiale italiano del campo a non ricevere la posta di ritorno. Federico Gentile aveva aderito alla RSI ma non aveva accettato l’arruolamento nell’Esercito Nazionale Repubblicano, preferendo tornare in Italia da civile. Gentile, in un discorso del 19 marzo 1944, elogiò pubblicamente per la prima volta Adolf Hitler, definendolo il “Condottiero della grande Germania”, e lodando l’alleanza italiana con le Potenze dell’Asse; dopo aver fatto pressioni anche sul Papa, pochi giorni dopo il figlio venne trasferito in un campo meno duro e infine gli fu permesso il ritorno a casa.

Uccisione da parte dei GAP

Il 30 marzo 1944, per il suo appoggio dichiarato alla leva per la difesa della RSI, ricevette diverse missive contenenti minacce di morte. In una in particolare era riportato: “Tu come esponente del neofascismo sei responsabile dell’assassinio dei cinque giovani al mattino del 22 marzo 1944”. L’accusa era riferita alla fucilazione di cinque giovani renitenti alla leva rastrellati dai militi della RSI il 14 marzo dello stesso anno (fucilazione orchestrata dal maggiore Mario Carità, che detestava Gentile, ricambiato; il filosofo aveva infatti minacciato di denunciare le eccessive violenze del suo reparto allo stesso Mussolini). Il governo fascista repubblicano gli offrì quindi una scorta armata che però Gentile declinò: “Non sono così importante, ma poi se hanno delle accuse da muovermi sono sempre disponibile“.

Considerato in ambito resistenziale come uno dei principali teorici e responsabili del regime fascista, “apologo della repressione” e di “un regime ostaggio di un esercito occupante”, fu ucciso il 15 aprile 1944 sulla soglia della sua residenza di Firenze, la villa di Montalto al Salviatino, da un gruppo partigiano fiorentino aderente ai GAP di ispirazione comunista.

Il commando gappista, composto da Bruno Fanciullacci, Elio Chianesi, Giuseppe Martini “Paolo”, Antonio Ignesti e la staffetta Liliana Benvenuti Mattei “Angela” come appoggio e con Teresa Mattei e Bruno Sanguinetti nell’organizzazione logistica, si appostò alle 13:30 circa nei pressi della villa al Salviatino e, appena il filosofo giunse in auto, Fanciullacci e Martini gli si avvicinarono tenendo sotto braccio dei libri per nascondere le armi e farsi così credere studenti. Il filosofo abbassò il vetro per prestare ascolto, ma fu subito raggiunto dai colpi della rivoltella di Fanciullacci. Fuggiti i gappisti in bicicletta, l’autista si diresse all’ospedale Careggi per trasferirvi il filosofo moribondo, ma Gentile, colpito direttamente al cuore e in pieno petto, in breve spirò.

Fu un episodio che divise lo stesso fronte antifascista e che ancora oggi è al centro di polemiche non sopite, venendo infatti già all’epoca disapprovato dal CLN toscano con la sola esclusione del Partito Comunista, che rivendicò l’esecuzione.

Il 18 aprile fu sepolto, per iniziativa del ministro Carlo Alberto Biggini e con decreto di approvazione da parte di Mussolini stesso, nella basilica di Santa Croce a Firenze, il foscoliano tempio dell’itale glorie.

Dopo l’attentato le autorità della RSI — dopo aver sospettato all’inizio lo stesso Mario Carità — promisero mezzo milione di lire in cambio di informazioni sui responsabili, mentre venne disposto l’arresto di cinque docenti, indicati dal capo della provincia Raffaele Manganiello come i mandanti morali dell’agguato: Ranuccio Bianchi Bandinelli (che aveva forse approvato l’uccisione), Renato Biasutti, Francesco Calasso, Ernesto Codignola, Enrico Greppi; ma gli ultimi due sfuggirono alla cattura. Grazie al diretto intervento della famiglia Gentile gli arrestati scamparono alla consueta rappresaglia che i fascisti eseguivano in seguito alle azioni gappiste (meno di due settimane prima, il 3 aprile, a Torino erano stati fucilati cinque prigionieri per l’uccisione del giornalista Ather Capelli), venendo rimessi in libertà.

In occasione del decennale della morte, tra il 15 e il 17 aprile 1955, all’interno della basilica fu inaugurato il primo di una serie di convegni di “studi gentiliani“. Di tanto in tanto si sono levate isolate voci contro la presenza della tomba del “filosofo del fascismo” in Santa Croce, ma senza seguito.

Francobollo commemorativo, emesso nel 1994

Pensiero filosofico

La filosofia di Gentile fu da lui denominata attualismo o idealismo attuale, poiché in esso l’unica vera realtà è l’atto puro del «pensiero che pensa», cioè l’autocoscienza, in cui si manifesta lo spirito che comprende tutto l’esistente; in altre parole, solo quello che si realizza tramite il pensiero rappresenta la realtà in cui il filosofo si riconosce.

Il Pensiero è attività perenne in cui all’origine non c’è distinzione tra soggetto e oggetto. Gentile avversa pertanto ogni dualismo e naturalismo rivendicando l’unità di natura e spirito (monismo), cioè di spirito e materia, all’interno della coscienza pensante, assieme al primato gnoseologico ed ontologico di questa. La coscienza è vista come sintesi di soggetto e oggetto, sintesi di un atto in cui il primo (il soggetto) pone il secondo (autoconcetto). Non hanno quindi senso orientamenti solo spiritualisti o solo materialisti, come non ne ha la divisione netta tra spirito e materia del platonismo, in quanto la realtà è Una: qui è evidente l’influsso del panteismo rinascimentale e dell’immanentismo, più che dell’hegelismo.

Pensiero politico

Gentile fu il primo e più importante ideologo del fascismo, assieme a Mussolini stesso. La sua è una filosofia politica fortemente attivista e attualista (cioè vuole trasporre l’attualismo nel campo civile e sociale), che coniughi «prassi e pensiero», che sia insieme «azione a cui è immanente una dottrina». Essendo insoddisfatto di fronte alla realtà, in Gentile troviamo il primato del futuro, ma, allo stesso tempo, un recupero della concezione romantica della Ragione intesa come Spirito universale che tutto pervade, avversa al materialismo e alla ragione meramente strumentale. Per Gentile, per esempio, il «modo generale di concepire la vita» proprio del fascismo è di tipo «spiritualistico».

Il fascismo non è la sola qualificazione politica che dà della propria filosofia, Gentile infatti vuole essere anche liberale, nonostante sembri respingere quasi in toto il liberalismo ottocentesco ne La dottrina del fascismo. Difatti la sua concezione politica riprende la concezione hegeliana dello Stato etico, per cui libero non è l’individuo atomisticamente e materialisticamente inteso, ma soltanto lo Stato nel suo processo storico.

L’individuo può essere libero ed esplicare la sua moralità esclusivamente nelle forme istituzionali dello Stato, come chiarisce nella voce «Fascismo» dell’Enciclopedia italiana. L’individuo può maturare la sua libertà individuale solo all’interno dello Stato (“libertà nella legge”), cioè unicamente in un contesto istituzionale organizzato. Un esempio di questa concezione si può trovare nella Destra storica, la quale governò i primi anni dell’Unità d’Italia: impostò un governo autoritario (concezione ereditata poi dalla Sinistra storica di Francesco Crispi) che riuscì a moderare l’individualità dei singoli, quella che Gentile definisce come la spinta alla disgregazione; questo modello di governo forte è giusto per Gentile, in quanto lo Stato dev’essere Stato etico, definito mazzinianamente come “educatore”. Se Gentile voglia uno stato totalitario vero e proprio è questione invece incerta; di certo nella sua fase prettamente fascista egli fa riferimento allo “Stato totale”, l’organismo che accoglie tutto in sé.

Con il fascismo si può avere vero “liberalismo” in quanto riporta ai valori primigeni del Risorgimento: Gentile dimostra qui un forte approccio storicistico, secondo il quale il fascismo trarrebbe la sua legittimazione dalla storia, sarebbe appunto una fase storica, non un’ideologia politica.

Il Risorgimento non fu solo un’operazione politica, ma un “atto di fede”: il campione di suddetto atto di fede fu Mazzini: anti-illuminista e romantico, anti-francese, spiritualista e nemico dei principi materialistici.

Lo Stato giolittiano rappresentò invece, secondo Gentile (concezione che lo divide radicalmente da Croce), un tradimento dei valori risorgimentali: per rompere questo status quo degenerativo del processo italiano fu necessario il ricorso all’illegalità e alla violenza del fascismo movimento: una violenza rivoluzionaria, perché portatrice di un nuovo assetto, ma anche statale, perché va a colmare le lacune che vigono nel sistema statale. Gentile insiste molto sulla novità del fascismo: è un modo nuovo di concepire la nazione, ha una consapevolezza mistica di ciò che sta compiendo.

Benito Mussolini viene perciò dipinto come un vero eroe idealistico. La missione del fascismo, secondo Gentile, è quella di creare l’Uomo nuovo: un uomo di fede, spirituale, anti-materialista, volto a grandi imprese. Questo nuovo tipo di uomo sarà antitetico al carattere che Giolitti tentò di imprimere alla nazione e che connotava l’Italia come scettica, mediocre e furbastra.

Egli, in quanto ideologo, sostiene che il fascismo si dovesse istituzionalizzare: ciò avverrà nei fatti attraverso l’istituzione del Gran Consiglio del Fascismo. Il fascismo si deve inoltre far assorbire dall’italianità (e non il contrario): il fine è che nella società non vi siano più contraddizioni, nessuna differenza tra cultura italiana e cultura fascista.

Bisogna arrivare ad una comunità omogenea e compatta anche in ambito lavorativo: attraverso l’istituzione della corporazione, la quale deve sanare la frattura sindacati-datori di lavoro tramite la collaborazione di classe; anche qui egli riprende le teorie mazziniane, oltre che il distributismo. Il corporativismo (di cui le estreme realizzazioni saranno la democrazia organica e la socializzazione dell’economia, progettate nella RSI) permetterà di giungere ad uno stato di fatto in cui i problemi economici si risolveranno all’interno della corporazione stessa, senza provocare fratture all’interno della società, ed evitando la lotta di classe, grazie alla terza via fascista.

Negli ultimi anni di vita Gentile sostenne, opponendosi all’ala estrema e intransigente del fascismo, l’idea una riconciliazione, la più ampia possibile, di tutti gli italiani, sia fascisti che antifascisti: pur riconoscendosi nella RSI, invitò pubblicamente il “popolo sano” ad ascoltare “la voce della Patria”, esortandolo alla pacificazione e ad evitare una “lotta fratricida”, di cui comunque non vedrà la fine.

Il gentilismo fu, assieme al fascismo di sinistra “rivoluzionario” (Malaparte, Maccari, Bottai, Marinetti), al fascismo clericale, alla mistica fascista (Giani, Arnaldo Mussolini) e al neoghibellinismo paganeggiante (Julius Evola), una delle principali correnti culturali del regime fascista.

Critica al marxismo

A differenza di Croce, che riteneva il pensiero di Marx solo “passione politica”, causata da uno sdegno morale a causa delle ingiustizie sociali, per l’idealista Gentile il marxismo è una vera filosofia della storia derivata da Hegel. Questa però è costruita erroneamente sostituendo la Materia – la struttura economica – allo Spirito. Per Hegel lo Spirito è l’essenza di tutta la realtà che comprende la materia come momento del suo sviluppo. Avendo scambiato il relativo con l’assoluto, Marx finisce con l’attribuire a un mero momento la funzione dell’Assoluto – che per Hegel si sviluppa dialetticamente (come in Marx), ma si determina a priori – rendendo così determinato a priori l’empirico, la struttura economica.

Nonostante quella marxiana sia pertanto un’errata filosofia della storia “rovesciata” rispetto all’hegeliana, essa però possiede ugualmente un pregio: è una “filosofia della prassi”. Nelle Tesi su Feuerbach (che Gentile tradusse per primo in italiano) Marx critica infatti il materialismo volgare: questo concepisce astrattamente l’oggetto come dato e il soggetto come mero ricettore dell’essenza-oggetto, non cogliendone il rapporto dialettico. Marx con il concetto di prassi credeva di superare sia questo materialismo volgare, sia l’idealismo. Quest’ultimo infatti considerava il pensiero in maniera astratta. La prassi, concepita da Marx come “attività sensibile umana”, è però criticata da Gentile, perché in Marx il pensiero è in definitiva una forma derivata dell’attività sensibile: cosa inaccettabile per il filosofo siciliano. Gentile, fondatore dell’attualismo, infatti sostiene (influenzato in questo senso dal primo Fichte), invece, come sia l’atto del pensiero a porre l’oggetto, e quindi, in ultima istanza, a crearlo.

Teorie pedagogiche

Gentile riflette a lungo sulla funzione pedagogica e unisce la pedagogia con la filosofia, avviando una rifondazione in senso idealistico della prima, negandone i nessi con la psicologia e con l’etica.

L’educazione dev’essere intesa come un attuarsi, uno svolgersi dello spirito stesso che realizza così la propria autonomia. L’insegnamento è spirito in atto, di cui non si possono fissare le fasi o prescrivere il metodo: «il metodo è il maestro», il quale non deve attenersi ad alcuna didattica programmata ma affrontare questo compito sulla scorta delle proprie risorse interiori. Programmare la didattica sarebbe come cristallizzare il fuoco creatore e diveniente dello spirito che è alla base dell’educazione. Al maestro è richiesta una vasta cultura e null’altro, il metodo verrà da sé, perché il metodo risiede nella Cultura stessa che si forma continuamente da sé nel suo processo infinito di creazione e ricreazione.

Il dualismo scolaro-maestro deve risolversi in unità attraverso la comune partecipazione alla vita dello spirito che tramite la cultura muove l’educatore verso l’educando e lo riassorbe nell’universalità dell’atto spirituale. «Il maestro è il sacerdote, l’interprete, il ministro dell’essere divino, dello spirito».

Il maestro incarna lo spirito stesso, l’allievo deve allora entrare in sintonia nell’ascolto col maestro, proprio per partecipare anche lui dell’attuarsi dello spirito, per farsi libero ed autonomo, e in questa relazione arriva ad auto-educarsi, facendo del tutto propri i grandi contenuti presentati.

Questi concetti ispirano la riforma scolastica del 1923, attuata da Gentile in veste di ministro della pubblica istruzione, anche se solo una parte furono applicati secondo i suoi desideri. Altri principi della filosofia di Gentile presenti nella riforma scolastica sono in particolare la concezione della scuola come membro fondamentale dello Stato (viene infatti istituito un esame di Stato che sancisce la fine di ogni ciclo scolastico, anche se gli studi sono effettuati in un istituto privato) e il predominio delle discipline del gruppo umanistico-filologico.

La riforma della scuola

Gentile fu ministro della pubblica istruzione e nel 1923 mise in atto la sua riforma scolastica, elaborata assieme a Giuseppe Lombardo Radice e definita da Mussolini “la più fascista delle riforme”, in sostituzione della vecchia legge Casati.

Essa era fortemente meritocratica e censitaria; dal punto di vista strutturale Gentile individua l’organizzazione della scuola secondo un ordinamento gerarchico e centralistico. Una scuola di tipo piramidale, cioè pensata e dedicata «ai migliori» e rigidamente suddivisa a livello secondario in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo professionale per il popolo. I gradi più elevati erano riservati agli alunni più meritevoli, o comunque a quelli appartenenti ai ceti più abbienti.

La riforma si ispira, fra l’altro, al principio pedagogico gentiliano secondo cui non esiste un metodo nell’insegnamento; ogni argomento è metodo a sé stesso, cioè non è una nozione astratta da memorizzare ma atto di ricerca attiva e creativa. L’insegnante può adoperare delle indicazioni di metodo per preparare le fasi che precedono l’insegnamento. Le scienze naturali e la matematica furono messe in secondo piano, poiché secondo Gentile erano materie prive di valore universale, che avevano la loro importanza solo a livello professionale. Questa svalutazione, tuttavia, non avvenne nelle Università, in quanto luoghi delle formazioni specialistiche; difatti Giovanni Gentile, a differenza di Croce che sosteneva l’assoluta preponderanza sociale delle materie classiche sulla scienza, pur criticando gli eccessi del positivismo e considerando anch’egli le materie letterarie come superiori, intrattenne anche rapporti, improntati al dialogo, con matematici e fisici italiani (come Ettore Majorana, collaboratore di Enrico Fermi nel gruppo dei “ragazzi di via Panisperna”, che divenne anche amico del figlio Giovanni jr., coetaneo del Majorana) e cercò di instaurare un confronto costruttivo con la cultura scientifica.

L’obbligo scolastico fu innalzato a 14 anni e fu istituita la scuola elementare da sei ai dieci anni. L’allievo che terminava la scuola elementare aveva la possibilità di scegliere tra i licei classico e scientifico oppure gli istituti tecnici. Solo i due licei permettevano l’accesso all’università (il secondo solo alle facoltà scientifiche), in questo modo però veniva mantenuta una profonda divisione tra classi sociali (questo vincolo fu rimosso completamente solo nel 1969).

Per diminuire l’iscrizione al sovraffollato Istituto magistrale, e per mantenere la separazione tra i sessi nei licei dove prevaleva una maggioranza maschile, fece creare un apposito liceo femminile, favorendo l’accesso delle donne all’insegnamento, ritenuto particolarmente adatto a loro, ma escludendole dall’insegnamento delle materie di Storia, Filosofia ed Economia politica nei licei, nonché Materie letterarie, Diritto ed Economia politica nelle scuole e negli istituti tecnici. Alle donne fu tra l’altro preclusa la carica di preside, riservata ai soli uomini. Tutto ciò andava incontro alla visione patriarcale di Mussolini che intendeva spingere le donne a dedicarsi alla famiglia e ad avere più figli, distogliendole dal lavoro e dallo studio. Anche Gentile nel complesso mostrò posizioni maschiliste (“il femminismo è morto” dirà nel 1934), sostenendo che i licei dovessero formare i “futuri capi” guerrieri, mentre le donne avevano una capacità di “comprensione dello Spirito imperfetta” e perciò dovevano dedicarsi ad attività non politiche e non scientifiche, “terreno di battaglia dell’uomo”, studiando in una «scuola adatta ai bisogni intellettuali e morali delle signorine», in cui erano privilegiate la danza, la musica e il canto. Tuttavia non venne vietata alle donne la frequentazione dell’università.

Il varo della riforma fu contrastato da agitazioni studentesche in vari atenei italiani, che furono represse con violenza dagli squadristi e dalle forze dell’ordine. Anche il ministro Gentile contribuì a reprimere tali moti studenteschi; del dicembre 1923 è il seguente suo telegramma al prefetto di Genova:

«Al manifestarsi minima agitazione studenti codesta Università, siano vietati comizi e ordinata immediatamente la chiusura.
Avvertonsi studenti gravità sanzioni disciplinari cui vanno incontro. Si identifichino promotori agitazione, punendoli subito esemplarmente. Attendo precise informazioni. »

Il liceo femminile sarà soppresso già nel 1928, per lo scarso successo ottenuto. Per Victoria de Grazia la riforma della scuola femminile esprimeva la contraddittoria visione della donna nel regime: «come riproduttrici della razza le donne dovevano incarnare i ruoli tradizionali, essere stoiche, silenziose, e sempre disponibili; come cittadine e patriote, dovevano essere moderne, cioè combattive, presenti sulla scena pubblica e pronte alla chiamata».

La riforma Gentile fu sostituita dalla riforma Bottai del 1940, che però non entrerà mai completamente a pieno regime a causa della guerra, e sarà definitivamente archiviata dal 1962. Gran parte della suddivisione ideata da Gentile con la riforma del 1924, tuttavia, come la scuola elementare, media e superiore comprendente i licei, è rimasta formalmente in vigore fino a oggi nonostante vari tentativi di modificarla, mentre venne eliminata la cosiddetta “scuola di avviamento”. Verrà però permesso, dopo il 1968, l’accesso universitario da tutte le scuole superiori.

L’insegnamento della religione cattolica

La religione è insegnata obbligatoriamente a livello primario, introdotta anche per le altre scuole con il Concordato, ma con parere contrario di Gentile. Nella riforma è prevista però la richiesta di esonero, per chi professi altre fedi. Gentile riteneva che tutti i cittadini dovessero possedere una concezione religiosa e che la religione da insegnare fosse la religione cattolica in quanto religione dominante in Italia. Nel triennio dell’istruzione classica veniva poi introdotta, in sostituzione, la filosofia, adatta alle classi dominanti e alla futura classe dirigente, ma non alle masse popolari.

Gentile e la cultura successiva

Con l’uccisione di Gentile — il 15 aprile 1944 — e la fine del regime fascista che egli sino all’ultimo appoggiò, iniziò nei suoi confronti non tanto una forma di ostracismo, quanto di rimozione, attenuatasi però negli ultimi decenni grazie all’opera di studiosi spesso in polemica tra loro. Secondo il filosofo cattolico Augusto Del Noce, uno dei suoi principali rivalutatori, Gentile è un pensatore della secolarizzazione e della risoluzione della trascendenza in prassi — in ciò accomunato a Marx —, determinante addirittura per lo stesso comunismo italiano attraverso la ripresa che ne fece Antonio Gramsci. Da sottolineare che già sulla rivista L’Ordine Nuovo, Piero Gobetti nel 1921 scrive che Gentile «ha veramente formato la nostra cultura filosofica».

Tanto Gobetti quanto Gramsci presero le loro distanze da Gentile dopo l’adesione di quest’ultimo al fascismo. Poco dopo l’entrata di Gentile nel primo governo Mussolini, Gobetti scrisse:

«Non da oggi noi pensiamo che Gentile appartenga all’altra Italia. All’ora della distinzione tra serietà e retorica ha voluto essere fedele a se stesso. Non saremo noi a pentircene. Da un pezzo pensiamo che la religione dell’attualismo sia una piccola setta che ha rinnegato tutta la serietà dell’insegnamento crociano. […] Anche i filosofi hanno le loro responsabilità storiche. Non ci stupiremo che Gentile assuma quelle che può.»

Gramsci nei Quaderni del carcere accusò più volte di equivocità, astrattismo e sofisticheria il pensiero di Gentile e dei suoi seguaci, considerandolo una involuzione rispetto alla filosofia di Croce:

«L’idealismo attuale fa coincidere verbalmente ideologia e filosofia (ciò che, in ultima analisi, non è altro che uno degli aspetti dell’unità superficiale postulata da esso fra reale e ideale, fra teoria e pratica ecc.) ciò che rappresenta una degradazione della filosofia tradizionale rispetto all’altezza cui l’aveva portata il Croce con la cosiddetta dialettica dei «distinti». Tale degradazione è visibilissima negli sviluppi (o involuzioni) che l’idealismo attuale mostra nei discepoli del Gentile […]. L’unità di ideologia e filosofia, quando è affermata in questa forma, crea una nuova forma di sociologismo, né storia né filosofia, cioè, ma un insieme di schemi verbali astratti, sorretti da una fraseologia tediosa e pappagallesca.»

Secondo Gennaro Sasso, a dover essere rivalutata non è affatto la disastrosa prassi politica di Gentile, la cui «passionale» adesione al fascismo «fu filosofica, forse, a parole […] ma nelle cose no». Ciò che merita ancora di essere studiato, sostiene Sasso, è invece «la filosofia dell’atto in atto», e tra essa «e il fascismo non c’è, né ci può essere, alcun nesso». Secondo Martin Beckstein, invece, proprio la filosofia di Gentile rappresenta la «fascistizzazione dell’attualismo» e pertanto una «deformazione dell’idealismo». Al di là della sua appartenenza politica, lo storico Leo Valiani attribuisce comunque a Gentile un notevole spessore filosofico:

«Giovanni Gentile fu fascista e pagò con la vita la sua fedeltà al fascismo. Ma fu anche profondo pensatore. Lo riconobbero, nel primo dopoguerra, persino Gramsci e Togliatti.»

(Leo Valiani, articolo sul Corriere della Sera del 12 settembre 1975)

In termini molto critici nei confronti soprattutto della filosofia politica di Gentile si espresse Norberto Bobbio, il quale riconobbe di aver avuto un «periodo d’infatuazione gentiliana» negli anni 1927-1931, ma affermò di essersi poi progressivamente distaccato dal pensiero e dall’influenza di Gentile, distacco culminato all’epoca dell’adesione di Gentile alla repubblica di Salò nel 1943. Riferendosi al fascismo di Gentile, Bobbio aggiunse:

«E ancora oggi non riesco a capire, come un uomo come Gentile, un “filosofo”, e per giunta un filosofo che aveva fatto della filosofia il motore della storia, abbia potuto prestare la propria opera di inventore di idee e di costruttore di dottrine per sostenere e difendere una delle concezioni più deliranti dei rapporti tra gli uomini che abbiano mai insanguinato il mondo (non dimentichiamo per carità di patria che dal 1938 erano entrate in vigore anche in Italia le leggi razziali). Riesco a capirlo soltanto, se abbiamo il coraggio di affermare che quella filosofia di cui molte generazioni si erano imbevute era una cattiva filosofia.»

Nello stesso scritto Bobbio afferma che la sua è una critica alla filosofia gentiliana e non a Gentile come persona. «Una condanna morale, o peggio moralistica, dell’uomo Gentile non è mai stata nei miei intendimenti. Sotto quest’aspetto, d’altronde, Gentile è sempre stato rispettato anche dai suoi avversari o da coloro che poi lo sarebbero diventati». Citando un proprio scritto precedente, del 1969, Bobbio scrive che nonostante «la sua adesione al fascismo, la sua interpretazione distorta del liberalismo che lo portò a vedere la piena attuazione dell’idea liberale in uno stato di polizia, Gentile rimase nell’animo e nel costume un liberale all’antica e cercò spesso con la sua opera personale di rimediare, specie nel campo della vita intellettuale, alle malefatte del regime».

Targa marmorea a Castelvetrano

Per approfondire gli studi sull’opera del filosofo sono nati negli anni ’80 l’Istituto di studi gentiliani di Roma, presieduto da Antonio Fede e la “Fondazione Giovanni Gentile”, la cui sede, dal 1982, è presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza”, e presieduta da Gennaro Sasso.

La filosofia gentiliana è stimata dal filosofo laico Emanuele Severino, che ravvisandovi una condivisione del sostrato filosofico tecno-scientifico del nostro tempo la considera «uno dei tratti più decisivi della cultura mondiale», mentre per Nicola Abbagnano, «Gentile era certamente un romantico, forse l’ultima più vigorosa figura del Romanticismo europeo».

Nel 1994 gli venne dedicato un francobollo delle Poste italiane, unico tra le personalità di primo piano del regime fascista ad avere questa celebrazione da parte della Repubblica Italiana.

In un testo pubblicato postumo nel 2010 la giornalista e scrittrice fiorentina Oriana Fallaci criticò aspramente l’uccisione di Gentile (articolo parzialmente estrapolato dal sito Wikipedia).

Testo bollettino

Giovanni Gentile nacque a Castelvetrano il 29 maggio del 1875, ottavo di dieci fratelli, due dei quali già morti quando egli vide la luce. Il padre, Giovanni, era farmacista e la madre, Teresa Curti, maestra elementare. Frequentò il Liceo Ximenes di Trapani e, conseguita brillantemente la licenza liceale con un anno di anticipo, nell’ottobre del 1893 vinse il concorso della Scuola Normale Superiore di Pisa, dove ebbe come insegnante di letteratura Alessandro D’Ancona, di filosofia Donato Jaja, che a sua volta discendeva dalla scuola di Bertrando Spaventa, come storico Amedeo Crivellucci, che gli fu anch’egli largo di insegnamenti. Conseguì la laurea, dapprima, nel 1895 in letteratura italiana con una tesi intitolata Delle commedie di Anton Francesco Grazzini detto il Lasca e completò gli studi filosofici, nel 1897, con una tesi su Rosmini e Gioberti (entrambe le tesi ottennero pieni voti e diritto alla pubblicazione). Nella stessa estate conseguì l’abilitazione all’insegnamento con una dissertazione su Il materialismo storico nella storia della filosofia che gli permise di ottenere un ulteriore anno di perfezionamento presso l’Istituto di studi superiori di Firenze. Negli anni 1898-1900 insegnò filosofia al Convitto nazionale Mario Pagano di Campobasso e, nell’abitazione della famiglia che lo ospitava nella cittadina molisana, incontrò Erminia Nudi, maestra elementare, che sposò nel 1901. Dal matrimonio nacquero i sei figli, Teresa, Federico, i gemelli Gaetano e Giovanni, Benedetto, Fortunato.

Negli anni dal 1901 al 1906 insegnò a Napoli nel Liceo Vittorio Emanuele, ebbe un incarico di filosofia teoretica all’Università e di pedagogia all’Istituto Suor Orsola Benincasa. A Napoli rincontrò Benedetto Croce, con il quale era già entrato in contatto quando gli diede da leggere la sua tesi letteraria (estate del 1896). Con Croce strinse un rapporto che fu di intensissima collaborazione intellettuale e filosofica; con lui collaborò alla fondazione e redazione della rivista «La Critica» e alla ideazione di importanti collane editoriali (dei Classici della filosofia moderna, antica e medievale, e degli Scrittori d’Italia). La collaborazione e l’amicizia cessarono nel 1924, in seguito alla diversa valutazione che i due filosofi avevano dato del fascismo, al quale Gentile aderì (rendendo nota la sua iscrizione al Pnf in una lettera pubblica del 31 maggio 1923) e che Croce avversò. Vinto il concorso universitario, si trasferì nell’ottobre del 1906 a Palermo in cattedra di storia della filosofia e lì, nel Circolo filosofico animato da Giuseppe Amato Pojero e nella fondazione della Biblioteca Filosofica nacquero i primi documenti della sua filosofia, che fu definita come Idealismo attuale (al periodo palermitano risalgono la conferenza L’atto del pensare come atto puro e il Sommario di pedagogia come scienza filosofica). Tale orientamento filosofico dell’attualismo ebbe la sua prosecuzione, e approfondimento, nella Teoria generale dello spirito come atto puro, alla quale tenne dietro, nel 1917, il primo volume del Sistema di logica come teoria del conoscere, che giunse alla sua conclusione con un secondo volume pubblicato nel 1922. Negli anni tra il 1914 e il 1917 Gentile aveva insegnato nell’Università di Pisa, dalla quale passò in quella, definitiva, di Roma dove insegnò storia della filosofia, filosofia, filosofia teoretica. A Roma, conclusa la guerra alla quale era stato favorevole, e durante la quale aveva avviato una produzione pubblicistica di articoli per «Il Resto del Carlino», ideò e fondò il «Giornale critico della filosofia italiana» (il primo numero uscì nel gennaio del 1920) al quale collaborarono, tra altri, i suoi più importanti allievi, palermitani e romani, da Adolfo Omodeo a Ugo Spirito a Guido Calogero.

Fu Ministro della pubblica istruzione, e in tale circostanza nominato Senatore del Regno, nel primo Governo di Mussolini (dal novembre 1922 al giugno 1924) e realizzò la Riforma della scuola, di tutti gli ordini e gradi, approvata nel 1923. Negli anni del fascismo non coprì più cariche di governo, ma dette il suo impegno nella ideazione e organizzazione di un’ampia rete di istituzioni della cultura. Della Enciclopedia Italiana (costituita e inizialmente finanziata da Giovanni Treccani nel 1925) fu direttore fino alla conclusione dell’impresa (1938). Presidente dell’Istituto nazionale fascista di cultura, estensore del Manifesto di un gruppo di professori fascisti agli intellettuali d’Europa, uscito sulla stampa quotidiana il 21 aprile 1925 e a cui seguì, su «Il Mondo» del 1° maggio, la Risposta degli intellettuali antifascisti redatta da Croce e Giovanni Amendola, negli anni Trenta al nome di Gentile si legò la costituzione di numerosi istituti culturali, tra i quali, l’Istituto italiano di studi germanici; l’Istituto per il Medio e Estremo Oriente; il Centro di studi manzoniani e Casa del Manzoni; l’ampliamento e la  riforma statutaria della Scuola Normale Superiore di Pisa. In prossimità degli ultimi giorni del fascismo, il 24 giugno 1943, tenne in Campidoglio un Discorso agli italiani invitandoli a stringersi intorno a Vittorio Emanuele Re d’Italia e a Mussolini Duce del fascismo. Caduto il fascismo rimase in disparte a Troghi, vicino Firenze, dove scrisse o completò il suo ultimo libro Genesi e struttura della società. Ma la sua solitudine si interruppe quando accolse l’invito rivolto a lui dal ministro Carlo Alberto Biggini a nome di Mussolini a presiedere l’Accademia d’Italia, che con Gentile si ricostituì nel dicembre a Firenze. La fedeltà confermata alla Repubblica fascista fu la ragione principale della morte che gli fu inflitta da un commando partigiano il 15 aprile 1944, sulla soglia della sua abitazione temporanea sulla collina fiesolana. L’attentato fu rivendicato dal Partito comunista italiano, nel CLN dell’Alta Italia la decisione non era stata unanime. Una lapide a terra con inciso il suo nome indica il luogo della sepoltura nella chiesa di Santa Croce a Firenze.

Cecilia Castellani

Curatrice dell’Archivio Giovanni Gentile – Fondazione Roma Sapienza

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