140^ emissione del 05 Dicembre 2024, di n.1 francobollo ordinario appartenente alla serie tematica “il patrimonio naturale e paesaggistico ” dedicato all’APICOLTURA

140^ emissione del 05 Dicembre 2024, di n.1 francobollo ordinario appartenente alla serie tematica “il patrimonio naturale e paesaggistico ” dedicato all’APICOLTURA, dal valore indicato in B, corrispondente ad €1,25

  • data emissione: 05 dicembre 2024
  • dentellatura:  11 effettuata con fustellatura.
  • dimensioni francobollo: 30 x 40 mm
  • tipo di carta: bianca, patinata neutra, autoadesiva, con imbiancante ottico.
  • Grammatura: 90 g/mq.
  • Supporto: carta bianca, Kraft monosiliconata da 80 g/mq.
  • Adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco).
  • stampato: I.P.Z.S. Roma
  • tiratura : 250.020
  • valore tariffa: B = €1,25
  • colori: Cinque
  • bozzettistaC. Giusto
  • num. catalogo francobolloMichel ______ YT _______ UNIF ______SASS _____
  • Il francobollo: raffigura un apicoltore al lavoro mentre raccoglie il miele dal favo, con il suo caratteristico abbigliamento: tuta, maschera e guanti, circondato da api e fiori. Completano il francobollo la legenda “APICOLTURA”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.

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L’apicoltura (o apicultura) è l’allevamento di api (Apis mellifera, Apis cerana) allo scopo di sfruttare i prodotti dell’alveare dove per tale si intenda un’arnia popolata da una famiglia di api. Le arnie “razionali” sono quindi le strutture modulari strutturate con favi mobili dove l’apicoltore ricovera le api. Le arnie più primitive non avevano favi mobili ed erano dette bugno o “bugno villico”. Malgrado le specie di api siano diverse, per la sua produttività ha netta predominanza l’Apis mellifera. Il mestiere dell’apicoltore consiste sostanzialmente nel procurare alle api ricovero e cure, e vegliare sul loro sviluppo; in cambio egli raccoglie una quota discreta del loro prodotto, consistente in: miele, polline, cera d’api, pappa reale, propoli, veleno.

Un apicoltore all’opera

Praticata in tutti i continenti, questa attività varia a seconda delle varietà delle api, del clima e del livello di sviluppo economico dell’agricoltore, e in essa pratiche ancestrali come l’affumicamento si mischiano a metodi moderni come l’inseminazione artificiale delle regine. Tale allevamento è branca della zootecnica, seppure intesa in accezione ampia, e viene insegnata a livello accademico nei moduli di apicoltura come attività zootecnica, per quanto riguarda le scienze e tecnologie delle produzioni animali, nei corsi di zootecnia in medicina veterinaria, e nei corsi di zoocolture nell’ambito di scienze biologiche e naturali.

Storia

Il miele viene utilizzato da circa 12.000 anni.

Tutti i prodotti derivati dal miele

Che venisse praticata la raccolta del miele in epoca preistorica è attestato dalla pittura rupestre della «cueva de la Araña» (la grotta del ragno) che si trova presso Valencia, in Spagna. Vi si vede un uomo appeso a delle liane che porta un paniere per contenere la raccolta, con la mano infilata in un tronco d’albero alla ricerca del favo di miele.

Non si sa con precisione quando l’uomo imparò ad allevare le api. Tuttavia l’apicoltura era un’attività normale durante l’Antico Regno dell’Egitto, 2400 anni prima di Cristo: scene di raccolta e conservazione del miele sono raffigurate in rappresentazioni riportate alla luce nel tempio del re della V dinastia Niuserra a Abusir.

Il primo apiario nacque probabilmente raccogliendo uno sciame allo stato selvatico. Più tardi, man mano che si padroneggiarono le tecniche di “accasamento” delle api, comparvero i primi alveari artificiali, fatti probabilmente di tronchi cavi o di scorza di sughero.

Nella storia dell’apicoltura particolare importanza riveste l’arnia in cesta di paglia o di vimini, che veniva impermeabilizzata con una copertura in creta o in creta e sterco. In questo caso si richiama l’attenzione sull’uso greco di porre i cesti rovesciati verso l’alto con una serie di legnetti ed una copertura di pietra o di corteccia. In tale caso i favi venivano spesso costruiti dalle api appesi ai legni mobili posti superiormente e la sfasatura delle pareti, analoga a quella naturale dei favi, non provocava la saldatura alle pareti tipica altrimenti di questi “bugni villici”: erano le antesignane delle arnie moderne a favi mobili. Si afferma poi sicuramente un tipo di arnia o “bugno villico”, costituito da quattro assi poste a formare un parallelepipedo vagamente piramidale con un imbocco leggermente più piccolo rispetto alla parte terminale. Quest’ultima veniva chiusa da uno sportellino rimovibile. L’origine di tali ricoveri per le api si perde nei secoli e il loro utilizzo, in maniera quasi immutata, è continuato fino a qualche decina di anni fa. L’uso e l’allevamento delle api è comune a molte culture: da quella egizia, che li ha effigiati nelle decorazioni tombali, a quella greca e romana, che inseriva con sapienza il miele nella propria alimentazione, codificandone l’uso gastronomico. Virgilio, nelle “Georgiche” descrive le tecniche apistiche. Il miele è poi citato anche nelle religioni ebraiche e musulmane dove “fiumi di latte e miele ristoreranno i guerrieri morti valorosamente per la fede”. In tutta Europa, nel diradarsi della cortina che avvolge l’alto Medio Evo, troviamo gli evidenti segni di rinascita e razionalizzazione dell’agricoltura, tramite l’opera degli ordini religiosi monastici. Il binomio apicoltura e religione poi, per vari motivi, rimane sempre una costante fino ai nostri giorni. Non bisogna infatti dimenticare, ad esempio, che la cera vergine rappresentava la materia prima delle candele che rischiaravano i luoghi di culto (da alcuni decenni si utilizzano candele bianche in paraffina e stearina).

Alla fine del Settecento risalgono alcuni trattati di Anton Janša. Nell’Ottocento, in tutto il mondo, il settore apistico registra un fermento nuovo, una storica rivoluzione. L’arnia in paglia con favi mobili di tipo greco aveva ispirato nel corso dei secoli alcuni sviluppi verso l’arnia razionale, ma si erano tutti arenati. Nel 1851 Lorenzo Langstroth fa proprie alcune esperienze precedenti ed inventa il favo mobile. Apre una strada. È tutto un pullulare di invenzioni, molte delle quali abortiscono o non vengono raccolte, ma altre determinano in pochi anni un’autentica rivoluzione, che porta all’arnia moderna. A differenza dell’arnia di antica concezione, la nuova struttura è costituita da un modulo base contenente favi mobili e un sistema modulare di melari, contenenti favetti, sempre mobili, per il periodo di raccolto. Ma le invenzioni non si limitano alle arnie: nel 1857 sono i fogli cerei, e nel 1865 lo smielatore centrifugo. Nasce la moderna apicoltura. Ci vorrà quasi un secolo però per soppiantare completamente i bugni villici e l’apicoltura di tipo più tradizionale.

L’alveare

La gestione di un alveare consiste soprattutto nel sorvegliarne lo sviluppo in funzione del periodo e delle condizioni ambientali.

Una colonia di api è costituita da un’unica regina, da molte operaie (femmine sterili), da un piccolo numero di fuchi (maschi) e dalla covata (larve). Un alveare è composto da un’unica colonia o famiglia.

Per riprodursi e sopravvivere, una colonia di api cerca di accumulare il massimo possibile di provviste durante la buona stagione, per poter passare l’inverno. La popolazione della colonia varia secondo le stagioni. È molto grande nei periodi in cui le risorse naturali sono abbondanti (da 30.000 a 70.000 individui), allo scopo di fare la maggiore raccolta possibile. D’inverno si riduce fino a scendere attorno ai 6.000 individui, per ridurre al minimo indispensabile il consumo delle provviste. La popolazione non può tuttavia scendere oltre un certo limite, giacché è quella che deve mantenere la temperatura all’interno dell’alveare e dovrà rilanciare la colonia in primavera.

L’ape

L’apicoltura riguarda l’allevamento dell’ape domestica (Apis mellifera) o per le zone asiatiche dell’ape indica (Apis cerana). Altre api che producono il miele sono Apis florea, Apis andreniformis, Apis dorsata, Apis laboriosa, Apis koshevnicovi, Apis nigrocincta. Altre apidi allevate dall’uomo per il miele sono i Meliponini e la Tetragonula iridipennis. Le api esistono sulla terra da 4 milioni di anni con lo stesso aspetto attuale, come mostrano reperti fossili. Questa longevità e stabilità della specie sono il risultato della sua eccezionale capacità di adattamento. Il comportamento dell’ape dipende, secondo i casi, sia da fattori innati che dalla sua adattabilità alle condizioni ambientali.

La Regina degli insetti … l’ APE

La nascita

La regina depone l’uovo fecondato in una cella. Tre giorni dopo essere stato deposto, l’uovo si schiude. La larva viene dapprima nutrita con la pappa reale, liquido secreto dalle ghiandole faringee delle operaie, poi con un misto di polline e di miele. Solo la larva predisposta a diventare poi una regina, viene nutrita esclusivamente con pappa reale, mentre le larve che diventeranno operaie o fuchi, dopo il terzo giorno di nutrizione a base di pappa reale, assumeranno il misto di polline e miele. Dieci giorni dopo essere stata deposta, la larva ha completato la crescita, e le operaie provvedono ad opercolare la cella (cioè a chiuderla con della cera). La larva intanto si chiude in un bozzolo. Dodici giorni dopo, dalla celletta esce una giovane ape che ha già le dimensioni e l’aspetto definitivi: dalla deposizione sono passate 3 settimane.

L’ape operaia

L’operaia d’estate

  • i primi 3 giorni spazzina: l’ape si dedica alla pulizia delle celle e a rivestirle di propoli.
  • dal 4º giorno al 10º giorno, nutrice: per tutto il tempo di sviluppo delle proprie ghiandole, la nuova ape si occupa anzitutto di preparare le celle per le prossime uova. Dopo, potrà nutrire le giovani larve con la pappa reale che lei stessa secernerà. Alla fine di questo periodo farà i suoi primi voli attorno all’alveare.
  • dall’11º al 16º giorno costruttrice o ceraiola:
    le ghiandole faringee si sono atrofizzate, mentre si sono sviluppate le ghiandole sericipere (quelle che producono e secernono la cera), e ora l’ape partecipa all’ampliamento dei favi, alla trasformazione in miele del nettare portato dalle bottinatrici, alla pulizia e alla regolazione termica dell’alveare (ottenuta agitando le ali “da fermo”), alla sua protezione contro i predatori (soprattutto vespe) e i ladri (api “straniere”, cioè provenienti da altri alveari).
  • dal 16º al 20º giorno becchina: si occupano di portare via dall’alveare le api morte
  • dal 21º giorno fino alla fine della vita bottinatrice:in giro per la campagna nel raggio di 3 km per approvvigionare l’alveare di nettare, melata, polline, propoli e acqua.

L’ape completa in questo modo il ciclo della propria vita: generalmente, un’operaia muore di sfinimento durante un ultimo giro di bottinaggio.

L’operaia d’inverno

Alla fine dell’estate o all’inizio dell’autunno nascono delle operaie che vivranno da 5 a 6 mesi, dal corpo più ricco di acidi grassi. Il loro lavoro sarà proteggere la regina, mantenere lo sciame nel glomere che passerà l’inverno ad una temperatura di circa 30 °C, e poi, dal mese di febbraio, preparare l’arrivo delle nuove generazioni.

L’ape regina

La regina proviene da un uovo fecondato identico a quello da cui nasce l’operaia. Durante il suo sviluppo la larva sarà nutrita esclusivamente di pappa reale, e sarà proprio questa dieta che le permetterà di diventare la regina.

Nasce 18 giorni dopo la deposizione dell’uovo, cioè 5 giorni prima dell’operaia.

È raro riuscire a vedere una regina all’esterno, mentre è relativamente facile riconoscerla dentro l’alveare: si distingue infatti dalle numerose operaie che la circondano, la proteggono e la nutrono, e per la maggiore lunghezza dell’addome.

Le regine nascono sia per sostituire una regina vecchia o malata che abbandona l’alveare (fenomeno detto sciamatura e che tranne casi patologici avviene solo in primavera), sia in caso di morte della regina precedente (il che può avvenire in qualsiasi periodo dell’anno).

Una settimana dopo la nascita, la giovane regina intraprende il suo volo nuziale. Raggiunge un punto dove si riuniscono i maschi del vicinato (assicurando così la diversità genetica) e si accoppia con diversi maschi, in volo, finché il ricettacolo seminale di cui è dotata non è pieno. I maschi che l’hanno fecondata, il cui apparato genitale viene divelto nell’accoppiamento, moriranno tutti poco dopo: il loro ruolo è terminato.

La regina fa un unico volo nuziale: tutto lo sperma ricevuto viene conservato nel suo ricettacolo, ed essa resta in questo modo fecondata per il resto della vita (che dura da quattro a cinque anni).

Una regina che, a causa di malformazioni, maltempo o altri motivi non riesce ad effettuare in tempo il volo d’accoppiamento inizia a deporre uova non fecondate da cui possono nascere solo maschi (questi ultimi infatti sono aploidi, ossia dotati solo di mezzo patrimonio genetico): in questo caso si parla di regina fucaiola. Una colonia con regina fucaiola non è in grado di sopravvivere e dopo un paio di settimane, a causa della confusione ormonale, perde anche la capacità di allevare una regina nuova se le vengono fornite delle larve femminili. Una regina può diventare fucaiola anche in seguito a traumi, esaurimento della spermateca o virosi (in questo caso può essere leggermente contagiosa ed è sconsigliato unificare la famiglia in questione con un’altra). In generale, tutte le regine di sostituzione nate durante l’inverno sono fucaiole in quanto in questa stagione non esistono maschi, che vengono uccisi dalle operaie alla fine dell’autunno.

La Cartolina filatelica emessa dal Ministero nel 2023, dedicata al Miele Ambrosoli

Apicoltura, economia, ambiente

Grandi esportatori di miele sono l’Ungheria, nell’Unione europea, e l’Argentina, in America.

In Italia, il consumo di miele è fortemente tributario delle importazioni, come si vede nella tabella. La produzione è fortemente variabile, in relazione all’annata climatica (freddi, siccità) e alla salute degli alveari.

Tra le varie forme di allevamento, l’apicoltura è tra quelle che richiedono maggior passione e vocazione, trattandosi di un’attività che può certo essere razionalizzata, ma in nessun caso industrializzata.

Ad Einstein è stata falsamente attribuita la frase “Quando l’ape scomparirà, l’uomo non avrà più di quattro anni da vivere“.

la casa delle api l’Arnia

E in effetti a prescindere dalla correttezza della citazione (il cui significato fa riferimento all’opera di impollinazione svolta dalle api, fondamentale per buona parte delle coltivazioni) l’apicoltura può essere assai significativa anche ai fini del controllo ambientale, essendo l’ape un animale molto sensibile alla qualità dell’ambiente in cui vive, e inoltre, per la natura stessa della sua attività, una sorta di “campionatore biologico” assai funzionale, almeno d’estate, in quanto le api, nella loro attività di bottinamento, ispezionano una vasta area attorno all’alveare, venendo a contatto con suolo, vegetazione, aria e acqua. Inoltre il corpo, rivestito di peli, è particolarmente adatto per trattenere i materiali e le sostanze con cui viene a contatto.

L’apicoltore è il primo a constatare il problemi delle sue colonie, e spesso interviene per allertare i poteri o l’opinione pubblica sulla presenza nell’ambiente di inquinanti pericolosi: in Europa, alcuni prodotti fitosanitari sono stati proibiti proprio grazie all’intervento degli apicoltori.

I prodotti dell’alveare

Il miele

Il miele è prodotto dall’ape sulla base di sostanze zuccherine che essa raccoglie in natura.

Le principali fonti di approvvigionamento sono il nettare, che è prodotto dalle piante da fiori (angiosperme), e la melata, che è un derivato della linfa degli alberi, prodotta da alcuni insetti succhiatori come la metcalfa, che trasformano la linfa delle piante trattenendone l’azoto ed espellendo il liquido in eccesso ricco di zuccheri.

Per le piante, il nettare serve ad attirare vari insetti impollinatori, allo scopo di assicurare la fecondazione dei fiori. A seconda della loro anatomia, e in particolare della lunghezza della proboscide (tecnicamente detta ligula), le api domestiche possono raccogliere il nettare solo da alcuni fiori, che sono detti appunto melliferi.

La composizione dei nettari varia secondo le piante che li producono. Sono comunque tutti composti principalmente da glucidi, come saccarosio, glucosio, fruttosio e acqua.

Il loro tenore d’acqua può essere importante, e può arrivare fino al 90%.

La produzione del miele comincia nel gozzo dell’operaia, durante il suo volo di ritorno verso l’alveare. Nel gozzo l’invertasi, un enzima che ha la proprietà di scindere il saccarosio in glucosio e fruttosio, si aggiunge al nettare, producendo una reazione chimica, l’idrolisi, che dà, appunto, glucosio e fruttosio.

Giunta nell’alveare, l’ape rigurgita il nettare, ricco d’acqua, che deve poi essere disidratato per assicurarne la conservazione.

A questo scopo, le bottinatrici lo depongono in strati sottili sulla parete delle celle. Le operaie ventilatrici mantengono nell’alveare una corrente d’aria che provoca l’evaporazione dell’acqua. Quando questa è ridotta ad una percentuale dal 17-18%, il miele è maturo. Viene quindi immagazzinato in altre cellette, che una volta piene saranno sigillate con un sottile strato di cera (opercolate).

La pappa reale

La pappa reale è prodotta dalle secrezioni del sistema ghiandolare cefalico delle api operaie (ghiandole ipofaringee e ghiandole mandibolari) tra il 5º e il 14º giorno di vita (le operaie vengono chiamate in questo periodo nutrici).

È una sostanza biancastra dai riflessi madreperlacei, di consistenza gelatinosa, di sapore caldo, acido e leggermente dolce, che costituisce l’esclusivo nutrimento di:

  • tutte le larve della colonia, senza eccezione, dalla schiusa al terzo giorno di vita;
  • delle larve scelte per diventare regine, fino al quinto giorno di vita;
  • della regina della colonia per tutta la sua vita, dal momento in cui lascia la cella reale.

La propoli

Il termine propoli viene dal greco pro, che vuol dire davanti, e polis, la città. È un materiale utilizzato come malta per ridurre o adattare la dimensione delle aperture dell’alveare in funzione delle condizioni climatiche.

Col nome propoli si indica tutta una serie di sostanze resinose, gommose e balsamiche, di consistenza viscosa, raccolte dalle api su alcuni vegetali (essenzialmente gemme e scorza di certi alberi), che esse portano nell’alveare ed elaborano parzialmente, mescolandole a secrezioni proprie (soprattutto cera e secrezioni salivari).

La cera

La cera è una secrezione prodotta da 8 ghiandole situate sull’addome delle api giovani, tra i 12 e i 19 giorni, per costruire i favi. L’ape ha bisogno di miele, da 10 a 11 kg, per produrre un kg di cera.

La cera appartiene alla famiglia chimica dei lipidi, è costituita da acidi e alcoli grassi a catena molto lunga (da 20 a 60 atomi di carbonio). Il suo punto di fusione è attorno ai 64 gradi Celsius, e la sua densità è 0, 97. È insolubile nell’acqua e resiste all’ossidazione.

Viene ancora utilizzata nella fabbricazione di candele e di encaustici per la falegnameria e i parquet. In apicoltura si usa per la fabbricazione di fogli di cera stampata che vengono posti negli alveari per economizzare miele (articolo parzialmente estrapolato dal sito Wikipedia e le immagini da Google).

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